Sabato 14 dicembre, dalle 10 alle 12, la scuola secondaria di primo grado Giovanni Battista Monteggia di Laveno Mombello apre le porte ai prossimi primini. Invitati tutti gli alunni delle quinte delle scuole della zona. Appuntamento in via Maria Ausiliatrice 13 (zona Ponte, per chi è avvezzo alle suddivisioni del Comune).
Non serve prenotazione: basta presentarsi all’ingresso o alle 10 o alle 11. Sono due, infatti, i turni di visita della scuola, strutturati nello stesso modo. Si parte col benvenuto, nell’atrio, da parte del dirigente prof. Fabio Giovanetti e da parte di alcuni alunni di terza, che presenteranno il funzionamento della Monteggia e la sua proposta educativo-didattica. A seguire, ci si potrà spostare nell’edificio per partecipare a cinque laboratori gestiti dai professori e da altri alunni in versione tutor: inglese, steam (un approccio integrato di scienze, tecnologia, ingegneria, arte e matematica), tedesco, scienze e arte. Attivo anche uno spazio-domande per i genitori. Alle 11 si ripete il programma in modo identico per chi deciderà di arrivare per quell’ora.
Monteggia vuole dire scienza e vuole dire Laveno (e perfino una frattura). Da queste parti quel cognome è anche il nome di una zona del paese, la frazione in collina alle spalle del centro, sulla destra andando verso Luino lungo la vecchia strada del lago. Proprio in Monteggia, l’8 agosto 1762 nacque il Giovanni Battista che dà il nome alla storica (e unica) scuola media di Laveno Mombello. Fu un medico di fama mondiale, una specie di celebrità in epoca napoleonica. Lavorò a Milano all’Ospedale Maggiore (dal 1929 il padiglione di chirurgia si chiama come lui), fu consulente del foro criminale (una specie di medico legale ante litteram), scrisse Istituzioni chirurgiche, un'opera omnia medica in otto volumi. C’è perfino una frattura al braccio che porta il suo nome. Morì nel gennaio 1815, ad appena 52 anni.
Carlo Porta, poeta dialettale contemporaneo di Monteggia, gli dedicò una poesia, Remirava con tutta devozion, in cui - osservando busto e incisione commemorativi del medico lavenese fuori dall’Ospedale Maggiore - concludeva amaramente, ahinoi, “che var pù on asen viv che on dottor mort”.