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Varese | 09 ottobre 2024, 07:50

«Il Campo dei Fiori? È ancora in convalescenza dopo incendi e tempesta, ma non è più un recinto chiuso. Oggi è fruibile a tutti»

Viaggio nelle attività dell'ente Parco Campo dei Fiori che da 40 anni tutela il cuore della montagna sentinella della città. Il presidente "per amore del territorio" Giuseppe Barra ripercorre le ferite degli ultimi anni ma anche la reazione collettiva dei varesini e l'opera di cura e salvaguardia: «Lavori importanti al Tinella, ripiantumazione di 40 ettari in vetta, sentieri segnalati per 240 chilometri». Tra rilievi scientifici, pulizia di chi ancora abbandona rifiuti e compie piccoli vandalismi e visitatori triplicati, i 6.384 ettari del Parco hanno una nuova identità

Il presidente del Parco Campo dei Fiori Giuseppe Barra, in sella da 14 anni: sotto in gallery è in foto tra Giancarlo Bernasconi, direttore, e Marco Pistocchini, tecnico forestale

Il presidente del Parco Campo dei Fiori Giuseppe Barra, in sella da 14 anni: sotto in gallery è in foto tra Giancarlo Bernasconi, direttore, e Marco Pistocchini, tecnico forestale

Sembra ieri quando la Consulta delle associazioni naturalistiche di Varese, sotto la sapiente guida di Salvatore Furia, attivò una raccolta firme a tappeto per far sì che il Campo dei Fiori fosse tutelato e nascesse un parco, per difendere la biodiversità. Chi scrive c’era in quel lontano 1983, e ricorda ben mille firme raccolte in un sabato pomeriggio sotto l’Arco Mera, segno che ai varesini stavano a cuore le sorti della montagna, lì come un totem a segnare i contorni della città e del lago. Oggi il Parco del Campo dei Fiori compie 40 anni, è un adulto consapevole, che strada facendo ha cambiato carattere e modi di agire, come è giusto che sia quando si matura. 

Ha un presidente, l’architetto Giuseppe Barra, in sella da 14 anni, un direttore dinamico come Giancarlo Bernasconi, 14 dipendenti nella sede di Brinzio e oltre 70 guardie ecologiche volontarie che ne tutelano il territorio. Una realtà importante e multi faccia, non più l’ente mal visto da agricoltori e cacciatori per paura di restrizioni e immobilismo, ma una struttura agile e attenta alle esigenze di tutti, residenti e turisti, con molte iniziative promozionali ma soprattutto una costante attenzione scientifica a ogni angolo del parco, grazie a studi importanti e a cospicui finanziamenti pubblici e privati.

Come sta il Parco a sette anni dallo spaventoso incendio e a quattro dai danni causati dalla Tempesta Alex? Lo chiediamo al presidente Barra.

«È ancora in convalescenza, ma gli interventi per risanarlo sono stati molteplici e alcuni tuttora in corso. Il 25 ottobre del 2017 partì il primo focolaio dal monte San Francesco sopra Luvinate ma in giornata fu spento e si pensava che fosse finita lì. Invece la mattina dopo riprese con altri inneschi sopra la Rasa, con ben 312 ettari interessati a sud e 60 verso la vetta, con le fiamme che lambirono l’Osservatorio astronomico. Le ville in sommità furono evacuate e 50 ettari subirono danni pesantissimi. Non fu un incendio “di chioma”, nel senso che gli alberi bruciarono al suolo, e le fiamme trovarono facile via grazie al materiale del sottobosco, da tempo non più pulito. A distanza di anni, si è visto che le piante sono seccate in piedi, alcune vennero poi colpite dal Bostrico dell’abete rosso, i danni più grandi li subirono i castagni», spiega il presidente Barra, architetto urbanista e già ricercatore universitario sul tema della pianificazione.

«Nel 2019 poi ci fu l’altro incendio, sulla Martica, che partì dalla Motta Rossa è “saltò” la vallata, aiutato da un vento fortissimo. Questo causò poi pesanti dissesti sulla strada che va verso il Brinzio, perché il reticolo idrico entrò in sofferenza. Qui furono interessati ben 367 ettari, il 10 per cento della superficie del Parco, le fiamme bruciarono perlopiù arbusti cosicché la vegetazione per fortuna ha potuto rinnovarsi», dice il tecnico forestale Marco Pistocchini.

Ma il Campo dei Fiori non ebbe pace, perché il 2 e 3 ottobre 2020 si scatenò la Tempesta Alex, con lo scirocco che arrivò da sud, pelando letteralmente la sommità della montagna e devastando gli abeti rossi verso il Forte di Orino. Un disastro che interessò ben 7mila alberi. Da allora partirono i lavori di sistemazione, con investimenti ingenti da parte del comune di Luvinate, di Regione e Ente regionale servizi agricoltura e foreste (Ersaf).

«Il primo aspetto da considerare è stato il rischio idrogeologico, con la pulizia degli alvei del Tinella e del Rio Cassini. Sul Tinella sono stati fatti lavori importanti, la rimodellazione del fiume con briglie che rallentano le acque e il deposito di materiali, e vasche di laminazione sopra il sentiero numero 10. Sono interventi che vanno spesso rimodulati a cagione del cambiamento climatico. La Regione ha finanziato i lavori per la parte alta della montagna, per metter mano ai versanti, togliere gli alberi caduti e stabilizzare il terreno. Sono attività complesse, per portare via il materiale a metà versante è dovuto intervenire più volte l’elicottero», aggiunge Barra.

Nella parte superiore del Sentiero 10 e nell’area dell’Osservatorio è stata completata la ripiantumazione, finanziata da un bando del 2018 del Ministero per l’Ambiente. Sono stati interessati 40 ettari, in vetta, in zona Rasa e Sacro Monte. Nelle zone di prati magri sono state riaperte le radure e tolte le specie esotiche, sostituite con latifoglie tipiche delle nostre aree, come acero montano e campestre, sorbo, tiglio e roverella, faggi e cerri. Non sono mancati interventi collaterali, finanziati da privati, aziende importanti come Zeiss ed enti come Univa.

«I varesini ci aiutarono molto dopo il primo incendio, ci fu un’onda di commozione che portò a donazioni per ripartire. I dipendenti delle aziende donatrici venivano ad aiutarci a ripulire come volontari, è stata ed è una bella gara di solidarietà. Oggi è in corso il terzo lotto di lavori al Tinella, con il finanziamento Ersaf e i fondi europei del “Life Climate Positiv”, poi c’è il Progetto Parco con la Regione per il recupero della selva castanile della Zambella sopra Luvinate, sopra il Sentiero 10, recentemente riaperta. Un’alta realtà importante che si è creata dopo le catastrofi è Asfo, l’Associazione fondiaria nata tra i comuni di Luvinate e Varese e i proprietari dei terreni del versante luvinatese per gestire insieme la manutenzione del territorio, 600 ettari di gestione condivisa. L’importante, insomma, è dare continuità agli interventi».

A 40 anni dalla fondazione, dovuta alla legge 17 del 1984, i 6.384 ettari del Parco hanno una nuova identità, fatta di soggetti che si preoccupano di valorizzarli, con un ampio ventaglio di attività. Per l’anniversario è stato pubblicato uno splendido libro, dal titolo “Io Parco, prima persona plurale”, che raccoglie tutte le informazioni utili sui 17 comuni che ne fanno parte, su flora e fauna, ecosistemi e itinerari. 

«Nonostante ci sia ancora qualcuno che borbotta, oggi il Parco non è più visto come qualcosa che limita ogni azione, un recinto chiuso e lasciato a sé stesso. Siamo attivi tutto l’anno, il territorio è più fruibile da tutti, grazie ad attività sportive, all’attenta gestione dei sentieri, tutti segnalati per circa 240 chilometri, a eventi culturali e all’opera di divulgazione nelle scuole e con i cittadini. Certo, c’è ancora chi abbandona rifiuti e compie piccoli vandalismi, ma le guardie ecologiche operano sistematicamente anche nell’educazione ambientale e nello scoprire magari qualche piccola discarica abusiva».

Forte è l’impegno dell’Ente Parco con le scuole, con visite guidate in collaborazione con associazioni come Lega Ambiente o i Castanicoltori, i giovani vivono il territorio anche grazie a Bio Blitz, un progetto regionale di scoperta delle bellezze naturali con il coinvolgimento di volontari e campi di lavoro, come quello di Cunardo.

«Non mancano i rilievi scientifici, come lo studio e il monitoraggio del gambero di fiume, delle riserve naturali, delle orchidee spontanee, i censimenti delle specie invasive, la protezione degli anfibi in particolare del tritone crestato, dei muschi del lago di Ganna. I visitatori del Parco sono triplicati rispetto al passato, grazie anche all’apertura della Via Francisca del Lucomagno, cui sono state pubblicate cartine dedicate», afferma il direttore Giancarlo Bernasconi.

«Se prima eravamo visti come una riserva indiana, oggi siamo l’ente di riferimento per i Plis, Parchi locali di interesse sovracomunale, della Bevera e del comparto di Quassa vicino a Ispra, dove diamo supporto forestale e progetti naturalistici, anche di concerto con associazioni quali Lipu e Wwf, mentre con Alfa e Lereti definiamo un piano per preservare le sorgenti».

Giuseppe Barra, originario di Cocquio Trevisago, oggi abita a Varese e il Parco lo vive dentro e fuori: «Sono arrivato a dirigerlo per amore del nostro territorio, sono un fruitore obbligato, ma ho la passione del camminare e di scoprire e conoscere la fauna e le grotte come la Marelli. Ma il mio ricordo va a Salvatore Furia, che aveva una straordinaria capacità di trascinare le persone nei suoi progetti. Quando mi ero appena insediato, mi disse di mettere mano alla pecceta presente in vetta, gli abeti rossi piantati in passato che non c’entravano niente con la flora autoctona. Gli diedi retta, tagliando gli alberi nelle aree del comune di Varese, anche se temevo, come del resto successe, critiche anche pesanti un po’ dappertutto. Ma piano piano la gente si abituò a vedere l’apertura di panorama che ne era risultata, con il lago di Varese sullo sfondo, e nel “Corriere della Sera” uscì un pezzo dove si lodava il nostro operato. Questo successo lo devo anche a lui».

Mario Chiodetti

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