Territorio | 27 aprile 2024, 07:30

Deputato o sindaco di Cagliari, quando Gigi Riva disse no alla politica: «Si è sempre battuto dalla parte di chi lottava per la propria dignità»

A tre mesi dalla morte del grande campione abbiamo intervistato Giovanni Gelsomino, scrittore sardo e autore del libro "Riva e l'isola nel pallone" dedicato a Rombo di Tuono: «Fece di tutto per scoraggiarmi a scriverlo ma lui ha portato la Sardegna in serie A, come potevamo non sentirlo nostro fratello anche se ricordava con orgoglio Leggiuno e la sua casa». Tanti gli aneddoti: «Le ragazze scappavano dai collegi per andare a vederlo giocare»

Giovanni Gelsomino, scrittore sardo e autore del libro "Riva e l'isola nel pallone" dedicato a Rombo di Tuono

Giovanni Gelsomino, scrittore sardo e autore del libro "Riva e l'isola nel pallone" dedicato a Rombo di Tuono

Giovanni Gelsomino è un giornalista e scrittore sardo, gallurese per la precisione, ed è autore di numerosi libri dedicati alla conoscenza del territorio del nord della Sardegna e della sua storia.

Ha dedicato un libro a un grande sardo come Enrico Berlinguer e a due sardi "acquisiti" e di adozione come il genovese Fabrizio De André e il leggiunese Gigi Riva. 

Nella nostra chiacchierata con Gelsomino partiamo proprio da quest'ultimo, intitolato "Riva e l'isola nel pallone". Com'è nata l'idea di scrivere un libro su Rombo di Tuono? 

L'idea è nata diversi anni fa, volevo ricordare tre personaggi che hanno avuto un rapporto stretto con la Sardegna: uno per la politica, uno per la musica e uno per lo sport. Sono partito con il libro "Enrico Berlinguer. L'ultimo leader", uno degli uomini politici che godeva di stima e di amore trasversale, se posso usare questo termine, amatissimo dai sardi. È stata poi la volta di "Fabrizio de André e l'isola paradiso", dove si racconta con testimonianze inedite e moltissime immagini altrettanto inedite, i suoi ultimi 24 anni trascorsi in Gallura e il suo grande amore per la nostra gente e il nostro territorio. Il terzo non poteva che essere "Riva e l'isola nel pallone". "Giggi" con due G come lo chiamavamo. Con lui abbiamo vissuto una specie di riscatto: ha portato l'isola in serie A non solamente in senso calcistico. Lui ha condiviso l'orgoglio di un popolo che, sia pure per una stagione, si è sentito protagonista. Tutte cose che non si dimenticano.

Raccontaci come ha accolto l’idea del libro Gigi Riva e come hai fatto a convincerlo, conoscendo il suo carattere schivo. 

Non è stato semplicissimo, ci siamo sentiti soprattutto per telefono. Inizialmente era contrario e ha fatto di tutto per scoraggiare l'iniziativa. Era una persona che non amava i riflettori, che continuava a ripetere di avere "solamente fatto il proprio dovere". Mi suggeriva invece di parlare e scrivere dei giovani che non trovavano lavoro e che ancora negli anni Duemila erano costretti ad emigrare. Un grande uomo, questa la mia impressione.

Oltre a te quali sono stati e che ruolo hanno avuto coloro che hanno collaborato alla stesura del libro su Riva?

Ho messo su una squadra di persone entusiaste e tu, Claudio, eri tra quelli. Ognuno aveva un suo Riva da raccontare. Ricordo di aver parlato con Gianni Mura, giornalista sportivo a "La Repubblica", che mi fece avere l'intervista che gli aveva fatto in occasione dei suoi settant'anni "Duri e felici". Ma anche qualche tifosa ci ha raccontato il suo amore per il campione e le fughe dal collegio, di nascosto dai superiori, per andarlo a vedere giocare.

Come è nata l’idea di chiedere a Walter Veltroni di scrivere la prefazione?

L'ho incontrato a Sassari quando è venuto per girare il documentario su Berlinguer. Gli ho parlato dell'idea di dedicare un libro simile a Riva. "Cercami, ti faccio l'introduzione" mi disse. È stato di parola, ricordando anche "un calcio ruvido e bello di cui Gigi è stato protagonista assoluto". Ma anche un calcio dove "i soldi non erano tutto, in cui i calciatori anche quando avevano vent'anni erano uomini e non ragazzi".

Un argomento di cui si parla poco è il rapporto tra Gigi Riva con il mondo della politica e con i politici. Che cosa ci puoi raccontare da questo punto di vista?

È stato super corteggiato, i socialisti gli hanno offerto la candidatura alla Camera e anche a sindaco di Cagliari. Non avrebbe avuto difficoltà ad essere eletto. Nel 1996 scrisse sul quotidiano "La Nuova Sardegna": «Sono lombardo da molte generazioni e orgoglioso d'esserlo. Ma non contro italiani di altre regioni e tradizioni. Non mi pare giusto sentire e vivere questa identità come esclusiva ed egoistica, a maggior ragione ne rifiuto un'interpretazione di antagonismo e contrapposizione verso altri. Da bambino, sono stato dalla parte perdente della barricata, quando gli svizzeri, a cinque chilometri da Leggiuno, ci trattavano come esseri inferiori, con disprezzo bruciante e indimenticabile, deridendoci per il nostro dialetto. Perciò trovo inaccettabile che si organizzi la discriminazione verso altri, dopo averla subita sulla propria pelle, solo perché adesso una parte dei lombardi e altri settentrionali si sentono come i ricchi svizzeri della mia infanzia». È sempre stato dalla parte chi lottava per vedere riconosciuta la propria dignità, il diritto al lavoro e all'istruzione. La vita gli aveva insegnato che c'è sempre il Sud di qualcuno. Come potevamo non sentirlo nostro fratello?

Come ti spieghi il rapporto speciale di Riva con i giovani e, secondo te, per quale motivo è ancora così amato dalle giovani generazioni?

Perché i veri campioni, vale a dire quelli che lo sono in campo e nella vita di tutti i giorni, diventano per ognuno una persona di famiglia, nei quali è facile riconoscersi, al di là delle parole, nei fatti concreti e nell'esempio. E Riva è stato un esempio sotto ogni punto di vista. Difficile muovergli critiche.

Hai qualche episodio inedito da raccontare sull'"hombre vertical"?

Non so quanto è inedita la sua conoscenza con un altro grande che diventerà anche lui sardo a tutti gli effetti e a tutti gli affetti: Fabrizio De André. Si sono conosciuti a Genova dopo una partita giocata e vinta dal Cagliari contro la Sampdoria. Doppia contentezza per Fabrizio, accanito tifoso del Genoa. Li accomunava la riservatezza e il carattere schivo. Riva ricorda così il loro incontro: «Ci trovammo in casa De André assieme a Ferrero, dopo una nostra partita a Marassi. Ci guardammo in faccia io e Fabrizio, impiegammo un po' prima di iniziare a dialogare. Entrambi introversi, le parole non volevano uscire dalla bocca. Ci vollero un po' di sigarette e quattro whisky prima di rompere il giaccio. Poi divenne facile e parlammo di tutto».

Ti ha mai raccontato del rapporto con la sua Leggiuno?

Non ha mai nascosto di amare "orgogliosamente" la sua terra e la gente di Leggiuno. Ricordava di avere ancora la sua casa lì e di averla ristrutturata «per le mie sorelle e i nipoti, spero anche per i miei figli». Parlava spesso con passione ed affetto dei suoi concittadini, dei personaggi di Leggiuno, ma anche dei vini, della gastronomia, dei fiumi e dei laghi. 

Claudio Ferretti

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