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Territorio | 29 gennaio 2024, 17:20

Valceresio, 40mila euro in ricariche Postepay: «E’ circonvenzione d’incapace»

Due persone a processo. Avrebbero sfruttato le fragilità di un 50enne, collega di uno degli imputati, per farsi dare i soldi. In aula la madre della vittima: «Mio figlio era il loro bancomat»

Valceresio, 40mila euro in ricariche Postepay: «E’ circonvenzione d’incapace»

(Gabriele Lavagno da LuinoNotizie.it) L’accusa è di circonvenzione d’incapace, per aver manipolato una persona fragile, non in grado di valutare correttamente le conseguenze di determinate scelte, convincendola a prelevare soldi e a inviarli ad una carta Postepay. Per un totale di oltre cento ricariche e 40mila euro spariti dal conto.

A processo in tribunale a Varese, un collega della vittima – che è un 50enne della Valceresio – e una sua amica, intestataria della carta utilizzata per i versamenti, fatti tra il 2019 e il 2021.

Sui fatti si è espresso in aula, davanti al giudice, il consulente incaricato dalla procura di valutare le condizioni del 50enne: «Un soggetto borderline, con un quoziente intellettivo basso e in condizioni di fragilità emotiva e comportamentale». Queste le parole che lo specialista ha usato in udienza, dove è stata chiamata a testimoniare anche la madre della persona offesa, che con il figlio – e con l’assistenza dell’avvocato Andrea Brenna – si è costituita parte civile nel processo.

«Mio figlio era il bancomat dei due colleghi di lavoro che considerava amici». Uno è l’uomo oggi a processo, difeso dall’avvocato Alessandra D’Accardio (l’amica è invece difesa dall’avvocato Nicola Giannantoni, e la madre del 50enne ha affermato di non averla mai sentita nominare); mentre la posizione dell’altro collega è stata archiviata in un diverso procedimento.

E’ proprio la madre dell’odierna persona offesa a insospettirsi per i ripetuti prelievi del figlio, per i numerosi pieni di benzina, per le sue uscite all’alba, in netto anticipo rispetto all’orario d’inizio turno nell’azienda in cui lavorava: «Se ne andava alle 6.30 del mattino, allungava il giro e passava a prendere il collega (l’imputato, ndr). Io gli chiedevo conto di tutti quei soldi spesi, ma lui non dava spiegazioni o inventava scuse. Diceva che il sabato e la domenica frequentava prostitute in Svizzera. Cosa che poi a distanza tempo ha negato».

La verità per il genitore sarebbe un’altra: «Mio figlio veniva minacciato dai suoi colleghi, e aveva paura. Gli facevano il lavaggio del cervello e lo avevano avvertito che se avesse parlato lo avrebbero fatto a pezzi. Di notte aveva gli incubi».

Fu la madre del 50enne a recarsi dai carabinieri per denunciare una situazione diventata insostenibile. Poi si recò in banca e il direttore le mostrò le foto che ritraevano il figlio allo sportello per i prelievi: «Mi sono cadute le braccia – ha ricordato la donna – perché era lui che prelevava. E poi dava i soldi ai colleghi». Oggi il 50enne ha un amministratore di sostegno e non ha più accesso diretto al bancomat che è stato causa di tante sofferenze, per lui e per la sua famiglia. Al ritorno in aula, fissato per l’estate, potrà fornire la propria versione dei fatti.

Gabriele Lavagno da LuinoNotizie.it

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