“Se non puoi parlare bene di qualcuno, non parlarne affatto”. La massima è di Rosa Falasca Andreotti, mamma del più noto Giulio. E pare che il politico più famoso della Prima Repubblica italiana sia cresciuto coltivando con estrema applicazione il dettame materno con cui era stato nutrito: d’altronde, alla continenza delle dichiarazioni in pubblico, per il Divo faceva da contraltare un’agendina tenuta con cura.
Che non è mai stata trovata.
Parafrasiamo donna Rosa: se non puoi parlare bene di Varese, parla della Virtus.
E ce n’è, effettivamente. La Bologna targata Banchi è uno spettacolo per gli occhi, anche quando gioca in modo “normale”. Venezia ha dovuto mostrare i muscoli per annientare i biancorossi e lo ha fatto in modo ostentato, violentandola in quelli che notoriamente sono i suoi punti deboli: la Segafredo no.
La Segafredo si è presa in mano la partita odierna senza quasi farsi notare, anzi lasciando ai padroni di casa la falsa illusione di poter competere. E allora mentre Mannion e sodali cullavano, anche con meriti difensivi giustamente da sottolineare, il sogno di non perdere terreno e l’aspirazione di portare il punto a punto fino al 40’, le V Nere mettevano lo zucchero nel serbatoio masnaghese. Lo facevano abbassando i ritmi fino a quelli desiderati, disabilitando i giochi a due avversari, lasciando all’ex Red Mamba il primo passo e l’entrata ma non lo scarico e colpendo con una varietà di soluzioni tale da non lasciare spazio ad alcun automatismo contenitivo.
Se poi si va sui singoli, si va anche di endecasillabi: se li meriterebbe Belinelli, poesia in movimento e fuori dai blocchi; o Zizic, con il suo tonnellaggio usato con sapienza; o Lundberg, veloce, esplosivo e determinante; o Dunston, esperienza al potere, riabbracciato da un Lino Oldrini commosso al ricordo di quella favola senza lieto fine che lo ha visto protagonista.
E poi c’è Banchi. Che, come Spahija domenica scorsa, ha rispettato Varese ed è per questo che non le ha dato scampo. Nessuna sorpresa: chi riesce a prendere e migliorare (anzi rivoluzionare) una squadra forte e vincente è un grande condottiero.
Come dite? Volete che scriviamo qualcosa anche di Varese?
Magari dell’allenatore che siede sulla panchina di casa, vittima di altri, gratuiti fischi pre-partita, conditi stavolta pure da una sollevazione popolare al cambio Mannion-Moretti nell’ultimo quarto?
Oppure di Young, l’impresentabile, altro bersaglio prediletto dell’arena?
O ancora di Woldetensae, il figliol prodigo, il prigioniero dell’orco B. cui l’arena di cui sopra - ora che non mette piede nemmeno per sbaglio sul rettangolo di gioco - una domenica sì e l’altra pure, osanna come se fosse un eroe di guerra, dimenticandosi dei mormorii quando dalle sue mani piovevano unicamente triple respinte dal ferro?
Ma no, magari “parliamo” del “sistema”, continuando a dimenticarci che non cambierebbe nemmeno se alla Openjobmetis toccasse ogni domenica giocare contro avversarie più grosse e lunghe e talentuose…
Oppure dei Pelligra, perché se fossero arrivati loro, con i loro soldi profumati di Mr. Crocodile Dundee, allora sì che avremmo un quattro stazzato…
Negativo.
Oggi ci fermiamo qui. Venezia e Bologna, oltre a essere una disgrazia puntuale del calendario, danno anche un grande beneficio: quello di poter sospendere il giudizio.
Ci sarà tempo da settimana prossima per tornare a circumnavigare il pianeta biancorosso, pur nella consapevolezza che non tutti si sforzano di capirlo, soprattutto in quelle che sono le sue irrimediabili stranezze…