«Il lockdown non è stato un’esperienza sufficiente per annunciare l’inizio dell’era del reale Smart Working. Con taglio multidisciplinare e alla luce dei dati raccolti dalla ricerca scientifica, rifletteremo sugli elementi di interesse effettivamente replicabili e segnalando, al contempo, i rischi e i problemi di una possibile “rivoluzione”. La quale, come sempre, non potrà essere un pranzo di gala per tutti».
Sarà dedicata allo Smart working come “nuova organizzazione di lavoro oltre le utopie” la serata promossa da Ucid all’Idea Verde mercoledì 22 marzo.
Non si vorrà dire che la pandemia ha decretato il trionfo del lavoro agile, ma si analizzerà criticamente il fenomeno mettendo in luce pro e contro. A illustrare l’attuale discorso, Luca Pesenti, professore di sociologia in Cattolica e direttore scientifico dell’Executive Master Terzo settore e Impresa sociale.
Indiscutibile il fatto che prima del marzo 2020 lo Smart working era il perfetto sconosciuto. Dopo la pandemia, ecco che ha fatto irruzione in tutte le case, dapprima come lavoro forzato o domiciliare, una sorta di telelavoro poi ha consentito, virus dilagando, di portare avanti scuola e lavoro.
«Obiettivo di questi mesi non è stato l’aumento del benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, né l’aumento della loro produttività – spiegano gli organizzatori - bensì il tentativo di contenere la diffusione del virus, permettendo il proseguimento da remoto di tutte le attività di lavoro possibili. Si sono diffuse narrazioni che, accompagnando la remotizzazione di massa del lavoro, hanno tentato di rendere trendy un’esperienza umana che di giorno in giorno si faceva sempre più difficile. Ci siamo così ritrovati in Smart Working a nostra insaputa». Quello che serve è una corretta progettazione.