La saracinesca in via della Ricordanza a Borsano, vicino alla fermata dell’autobus e alla chiesa, è abbassata.
Il rumore del filtro della macchina del caffè sbattuto due volte, il tintinnio di tazzine e cucchiaini, il vociare dei clienti, più intenso durante le partite di carte più combattute, hanno lasciato spazio a un silenzio inusuale.
Dopo oltre quarant’anni, ieri il bar De Filippo ha chiuso i battenti.
«Mi devo abituare a fare i caffè con la moka», scherza Antonella, provando a scacciare la malinconia che inevitabilmente affiora.
Antonella De Filippo ha ereditato la gestione del bar dai genitori. Era il 1980 quando papà Franco, che fino a quel momento aveva fatto tutt’altro, decise di dedicarsi al bar.
La moglie Venera non gli parlò per due anni, ricorda sorridendo la figlia. Antonella allora aveva quattro anni. È cresciuta – letteralmente – dietro al bancone, alternandosi ai genitori e al fratello Pasquale.
Erano tempi diversi. «Il bar era sempre, sempre pieno», racconta. «Quando mio padre abbassava la clèr, chi c’era in quel momento rimaneva a cena. Era mamma a preparare. Ricordo tante feste. A papà piacevano i fuochi d’artificio, ogni tanto si è preso anche qualche rimbrotto».
E che festa per la famiglia De Filippo, originaria di Caserta, quando il Napoli vinse il campionato: la prima volta, nel 1987, e poi tre anni più tardi. «Papà fermava la gente e chiedeva di aiutarlo a disegnare lo scudetto sull’asfalto. Si mise alla griglia insieme a un amico soprannominato Maradona. Non so quanti salamini prepararono, regalandoli ai ragazzi che passavano qui davanti».
La serranda si abbassa proprio quando il Napoli si accinge – al bando la scaramanzia – a tornare a vincere il tricolore, 33 anni dopo. Un segno del destino, la chiusura di un cerchio.
«Non mi sembra ancora vero – ammette Antonella –. Ma i tempi sono cambiati, soprattutto dopo il lockdown, e ho dovuto prendere una decisione».
Impossibile, ieri, trattenere le lacrime quando i clienti l’hanno abbracciata: «Erano tutti dispiaciuti. Per molti di loro questa era una seconda famiglia».
Il bar De Filippo – per alcuni ancora “Lavazza – è stato un punto di riferimento per tanti. Un luogo di passaggio per un caffè al volo, tra la chiesa e il negozio di alimentari. O, più spesso, una tappa fissa. Ragazzi ed ex ragazzi, generazioni diverse che si sono date il cambio, come nella canzone di Gino Paoli. A suo modo, un pezzo di storia di Borsano. Che ora non c’è più.
«È una vita», sussurra Antonella De Filippo con lo sguardo che si perde nel locale ormai spoglio. «Questo bancone ha 43 anni. Per ogni cosa che ho smontato o ritirato c’è un ricordo. Qui tutto è stato costruito da papà».
L’ultimo pensiero è ancora per i suoi clienti, alcuni dei quali sono gli stessi di quarant’anni fa: «Ci sono stati nei momenti belli e in quelli difficili. Li ringrazio di tutto».
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