«La tecnologia è uno strumento ineliminabile che ci aiuta a superare certi limiti. Ma più una tecnologia è potente, più tende a farci dimenticare il valore del limite: ci permette di superarlo continuamente, ma in questo continuo superamento, nel momento stesso in cui ci imbattiamo in qualche limite, si vive questo confine come qualcosa di scandaloso, come se la tecnologia rischiasse di rendere deboli di fronte al limite».
Si è parlato di “Verità e tentazione della tecnica” ieri con l’Ucid. E per sviscerare questo delicato tema l’Unione cristiana imprenditori e dirigenti (sezione Bustese, Alto Milanese e Valle Olona) ha pensato di invitare un docente di filosofia teoretica dell’università Cattolica di Milano, Silvano Petrosino, che in una serata conviviale in poco più di mezz’ora ha incantato la platea riunita all’Idea Verde con una lezione sui “limiti” della tecnologia.
La tecnologia va gestita e non subita: ovvio
Il professore ha esordito sfatando dei luoghi comuni. In primo luogo, questo. È ovvio che la tecnologia vada gestita e non subita – ha chiarito – È scontato che i giovani vadano educati. Il Covid ha spinto a questa alfabetizzazione del digitale. La tecnologia è un dono, una meraviglia, ma bisogna imparare a utilizzarla. Da qui, una serie di riflessioni».
Più un mezzo è potente, più tende a essere percepito e vissuto come un fine
Punto numero uno: più un mezzo è potente più tende a essere percepito e vissuto come un fine e il digitale da questo punto di vista è assolutamente esplicativo. «I cellulari che avete voi – non io, ci tiene a precisare - servono a fare una quantità di operazioni che non farete mai. Dunque è una questione di “fine”. Il soggetto si realizza non nel fare, ma nel sapere di poter fare. Uno strumento non è mai neutro: quando è potente tende ad assorbire l’attenzione del soggetto e quindi il mezzo è percepito come un fine. Questo modifica il rapporto che s’instaura con lo strumento. Il digitale è potente e si configura come un fine. Da qui, il secondo punto».
Il poter fare tutto fa percepire ogni limite come un’ingiustizia
«Più uno strumento è potente e dà l’illusione di fare tutto, più crea limiti. Ogni volta che ci imbattiamo in un limite, percepiamo questo come un’ingiustizia. Dunque, perché spesso si sente parlare di “elogio della povertà”? Diminuendo la resistenza delle cose, abbiamo la sensazione di poterle conquistare all’infinito. Più ci si sente illimitati, più diventa insopportabile ogni limitazione. Oggi con i ragazzi si assiste a un’idolatria dell’eccellenza. Se uno diventa un semplice cuoco e non uno chef stellato, si percepisce come un frustrato. Questo genera un popolo di falliti. Questo modo di ragionare ricalca quello del serpente con Eva: la logica del tutto o niente: terribile, devastante. Questa logica diabolica genera depressione e paranoia. Una logica che genera distruzione».
Il limite è una condizione di vita, non un’obiezione
Così il professore ha rimarcato che il limite non è un affronto. D’obbligo la citazione di Nietzsche: “Se soffro significa che qualcuno ha la colpa”. Quindi più la tecnica è potente, più questo fa vivere ogni limite come un fallimento e porta alla perdita della dimensione del simbolico. La tecnica tende a semplificare questa realtà metaforica.
Interessanti considerazioni dunque che hanno dato vita a parecchi interventi in cui il professore di filosofia ha approfondito ulteriori concetti come la distinzione tra compimento e successo e i disturbi dei ragazzi legati alla sfera sessuale e al cibo.