Sono da poco passate le 11 di sabato 23 aprile 2022. A Gallarate, angolo tra via Curioni e via Mameli, un drappello di persone affronta una giornata non proprio solare, baveri rialzati a proteggersi dal vento. C’è un momento organizzato da Anpi e Associazione Mazziniana con il Comune. Bisogna scoprire la pietra d’inciampo, appena collocata, che ricorda Vittorio Arconti. Resistente, operaio, sindacalista. Morto male al castello di Hartheim. Morto male non per una sua condotta riprovevole. Morto male per la sua rettitudine e la determinazione contro il nazifascismo.
La pietra è lì, incastonata nel marciapiedi. A meno di un metro c’è un immobile sorto al posto della casa di Vittorio. Tag e scritte. Le coprono, con alterne fortune, il tricolore e la bandiera della pace. Il sindaco, Andrea Cassani, e l’assessore alle Attività formative, Claudia Mazzetti, portano il loro saluto e il loro ringraziamento. Michele Mascella, presidente della sezione locale Anpi, affiancato dal “mazziniano” Michele Rusca, fa gli onori di casa.
Si nota una presenza. Quella dei familiari di Vittorio Arconti. Prende la parola Nadia. Dice grazie. Dice grazie allo zio, «…un grazie che parte dal 1944 e forse anche da prima. Grazie a chi come lui ha dato la vita, a chi ha lottato per la libertà e perché fosse possibile, come facciamo oggi, essere qui a esprimerci liberamente».
Gli applausi coprono la sua voce. Vorrebbe concludere: «Grazie anche a chi è andato avanti a ricordare e ha fatto tutto quello che ha fatto per queste persone». Ma non è finita.
Bastano pochi secondi e il pensiero corre innanzitutto allo zio Vittorio. Nato a Lonate Pozzolo nel 1901, disegnatore residente a Gallarate, iscritto al Partito Comunista dal 1922. Schedato come “pericoloso”, Arconti nutriva profonda avversione per il regime, al pari del fratello Aronne. Detenuto a Gallarate e trasferito a Ustica, poi a Ponza. Fu liberato il 4 maggio 1929 e, in seguito, sottoposto a sorveglianza e inserito nell’elenco di persone da fermare preventivamente in caso di eventi particolari. Come avvenne, per esempio, in occasione della conferenza internazionale di Stresa. Assunto alla Ercole Comerio di Busto Arsizio, animò lo sciopero del 10 gennaio 1944.
Fu arrestato in fabbrica dalle SS e, con cinque compagni, deportato a Mauthausen l’11 marzo 1944, registrato con il numero di matricola 56901. Classificato con il triangolo rosso da Schutzhaftling, deportato per motivi di sicurezza, venne trasferito a Gusen. Morì il 29 novembre 1944 al castello di Hartheim. Davanti alle autorità e agli studenti di Falcone, Gadda Rosselli e Licei, si affida spontaneamente a Nadia la rivelazione della pietra. «Non era previsto», si schermisce.
Avvicinata e interpellata dalla stampa, a margine della cerimonia, la nipote di Vittorio, conscia di una passione per la libertà passata attraverso diversi componenti della sua famiglia, sottolinea: «Perché è importante questo momento? Perché ci sono gli studenti. Perché ci sono tutti i miei nipoti». La bandiere coprono e insieme rivelano le scritte sui muri. La storia e l’umanità, grandi e piccole, sono passate anche da qui. E continuano a farlo.