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Basket | 06 settembre 2020, 11:55

BASKET Quei contrasti sotto traccia e la "miccia" Scola: ecco perché Caja è stato esonerato

Proviamo a ricostruire il terremoto di queste ore. L'allenatore, finora sempre difeso ma anche "sopportato" per il suo carattere, è entrato in rotta di collisione con la società: decisiva la gestione dell'argentino e le sue lamentele. La situazione precipitata ieri notte. Il successore? Buscaglia è un papabile, ma Varese ora dovrà pagare due anni di contratto all'ex coach

Attilio Caja si arrabbia con i suoi giocatori durante un match

Attilio Caja si arrabbia con i suoi giocatori durante un match

Da una parte, quella visibile, quella che in fondo dovrebbe contare di più, un allenatore che in cinque anni ha fatto le fortune, sul campo, del club che ha allenato: salvezze conquistate di slancio, una stagione con una rimonta formidabile (il campionato 2017/2018), una bella cavalcata in Europa e uno stile di gioco riconoscibile, proficuo e disciplinato. Un allenatore ben voluto dai tifosi (almeno da quelli che guardano solo ai risultati) e - fino all’inizio di quest’anno agonistico - anche da chi in società ha sempre avuto in mano le redini delle decisioni tecniche.

Dall’altra un rapporto consumato. E non da oggi. Tra il coach (e la persona) Attilio Caja e chi nel tempo ha lavorato a stretto contatto con lui. I modi bruschi e spicci usati talvolta con giocatori e altri membri dello staff, alcuni contrasti, saltuari eccessi, la filosofia con cui intendere i rapporti lavorativi e quelli umani, a volte diametralmente opposta a quella di chi gli stava intorno: tutte divergenze che negli anni sono rimaste sotto traccia, nascoste dal senso di opportunità e da ciò che accedeva sul parquet, ma che in profondità hanno scavato un solco. E, forse, predisposto una miccia che aspettava solo una scintilla per poter esplodere.

La scintilla si è materializzata quest’estate e prende il nome di Luis Scola. Senza l’ingombrante - a conti fatti - presenza dell’argentino, Caja oggi sarebbe ancora l’allenatore della Openjobmetis Varese. Forse solo fino a fine stagione e non fino alla naturale scadenza del contratto (il 2022), ma di sicuro quanto arrivato a far tremare la terra cestistica varesina oggi pomeriggio apparterrebbe ancora al mondo della fantasia. 

L’avvento di Scola, inaspettato, per alcuni aspetti fortunoso, di certo frutto anche di una conduzione propizia delle trattative da parte del sodalizio cestistico cittadino (con Caja coinvolto e convinto) non poteva non scompaginare le carte nel piccolo mondo antico varesino. Dopo anni di squadre operaie, ricche di scommesse emergenti unite a usati sicuri, squadre che vedevano in prima pagina solo l’allenatore e il lavoro con cui le plasmava, ecco un campione. Vero. E come tale condizionante. Uno dei giocatori più famosi dell’universo, uno che ha fatto la storia della pallacanestro. Varese e il suo ambiente si esaltano, sognano, sperano di poter lucrare dal clamoroso “sì” dell’argentino sia in risultati che in visibilità, ma si trovano ad affrontare due inevitabili questioni: l’integrazione di Scola sul parquet, in un gruppo formato per il resto da esordienti e giovani (Douglas a parte) e l’integrazione dello stesso argentino in quella “zona” che sta a metà tra il campo e l’esterno del campo, fatta di rapporti, abitudini, regole, consegne, opportunità e disciplina…

Sulla prima questione non occorre soffermarsi troppo, almeno per chi ha gli occhi per vedere: le prime tre partite disputate quest’anno hanno dimostrato che la missione era già pressoché compiuta. Per merito della classe del giocatore, ovviamente, ma anche per merito della capacità di Caja di introdurre nelle specificità del suo riconosciuto gioco i necessari adattamenti a far brillare la stella. E il tempo avrebbe solo aiutato la crescita tecnica generale. 

Quasi superfluo scrivere questo paragrafo: un allenatore come l’Artiglio non può essere messo in discussione per ciò che riguarda il parquet, l’ha dimostrato con i fatti qui sotto al Sacro Monte. Sempre. E in un mondo ideale, che non esiste, conterebbe solo questo.

Sulla seconda, invece, i problemi sono emersi eccome. E, trovando terreno fertile nel pregresso spiegato qualche riga sopra, hanno condotto - come in un piano inclinato - ai fatti di oggi. Luis Scola va gestito: vista l’età, ha dell’esigenze riguardo ai ritmi e alla frequenza degli allenamenti che non possono non essere considerate. Lo sa anche Caja, che infatti si dichiara disponibile e prova a fare concreti passi verso l’argentino e i suoi bisogni. Sembra andare tutto bene, ma c’è dell’altro. Ci sono i metodi umani e di lavoro che vengono considerati troppo duri. Ci sono supposti (scriviamo così perché agli allenamenti, quest’anno, vista anche l’emergenza Covid, la stampa non è mai stata ammessa) atteggiamenti  troppo aspri del coach pavese, non tanto verso l’argentino, ma verso i suoi compagni e l'intero contorno, atteggiamenti che allo stesso Scola non piacciono (e non solo a lui...) e ai quali non è abituato. Ci sono dei contrasti su alcune scelte, anche dei litigi.

Tutto potrebbe rimanere nascosto (più o meno: a Varese gli informati di basket hanno sempre la gola florida…), come più o meno nascosto era rimasto negli scorsi anni. Invece inizia a emergere. Si fanno riunioni, diverse, che vedono partecipi lo stesso Scola, lo stesso Caja e poi il gm Andrea Conti e in alcune anche il responsabile nel consiglio d’amministrazione dell’area tecnica Toto Bulgheroni (leggi qui). Ufficialmente si cerca di comporre la situazione in subbuglio, ma in realtà pare che emerga anche una sorta di ultimatum che preluderebbe a una scelta: così non si può più andare avanti…

Si arriva a venerdì sera, al post partita contro Cantù. Scola si sarebbe ancora una volta lamentato degli allenamenti troppo duri (e sarebbe stata la terza lamentela “ufficiale” in poco tempo) e anche di alcune imposizioni prescritte da Caja verso altri compagni per i giorni successivi, giudicate dall’ex NBA troppo severe. Le lamentele giungono a Conti, c’è un’altra riunione, i toni solo alti, ma sembra che tutto - come nel passato - possa restare sotto traccia.

Invece no. Dell’ennesimo alterco viene informato Toto Bulgheroni che, come dichiarato in questa breve intervista, prende la decisione di esonerare Caja , d’accordo con la proprietà. Il coach non viene avvisato se non a cose fatte. Quasi casualmente, nel secondo pomeriggio.

Questi i fatti. Varese si è stancata di ciò che di Attilio Caja non si può controllare: il carattere e quello che ne è derivato. E tra lui e la “filosofia” Scola, onde anche evitare ulteriori problemi nel corso della stagione, ha scelto la seconda. Dando il benservito al coach, tenendo sempre presente tutto il pregresso. Ha deciso di dire basta ora, pensando potesse essere meglio farlo adesso piuttosto che a campionato iniziato. Su questo, difficile darle torto.

Ora però si apre una parentesi non priva di nodi da sciogliere. Chi sarà il sostituto del coach (nel frattempo la squadra andrà in mano a Vincenzo Cavazzana)? Banchi, Pianigiani, Buscaglia sono i nomi degli allenatori “liberi” più famosi, ma solo il terzo è forse un’opzione che la società può economicamente considerare: l’ex coach di Trento e Reggio Emilia, esonerato dalla società emiliana in primavera, è ancora a libro paga del sodalizio reggiano e potrebbe accontentarsi di un accordo non poi così gravoso per le casse biancorosse. L’aspetto economico è tutt’altro che secondario in questo momento: Attilio Caja aveva ancora due anni di contratto con Varese (la stagione 2020/2021 e quella successiva) e richiederà - come suo diritto - ogni emolumento a essi corrispondente. 

Un commento a questo terremoto? È presto per scriverlo. Due cose appaiono però evidenti fin da subito. La prima. Ad Attilio Caja (qui il suo saluto) puoi chiedere (e da lui ottenere) tutto: risultati sul campo, abnegazione nel lavoro, passione, di firmare contratti con uno stipendio al minimo (lo fece all’inizio della sua avventura a Varese), di ridursi lo stipendio causa Covid (lo ha fatto, è stato tra i primi e se lo è ridotto anche più degli altri) etc etc… Ma non puoi chiedergli di cambiare il suo carattere. E quanto scritto non è un giudizio sulla decisione presa dalla società né sul carattere del nostro, ma una constatazione su cui non si può sorvolare. Lo si sa oggi, ma lo si sapeva anche ieri.

La seconda. Finire così un’era ben identificabile della storia della Pallacanestro Varese, un’era fatta di dignità, di ordine, di disciplina, di risultati, di piccole gioie - quelle concesse da questa epoca di vacche magre e di rapporti di forza irrimediabilmente cambiati - tutte ottenute, un’era tecnica durata come poche altre in questi settantacinque anni, è un po' una sconfitta per tutti. E non rende onore né ad Artiglio e a quello che ha fatto per Varese, né a una società che lo ha sempre difeso contro tutto e tutti, permettendogli di lavorare come sapeva lavorare. Fino a oggi.

Fabio Gandini


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