Il borgo di Santa Maria del Monte spicca contro un cielo blu cobalto, più sotto la casa di Ludovico Pogliaghi, mentre in basso a sinistra un vagoncino della funicolare arrampica verso la stazione. La parte sinistra del quadro illustra invece il massiccio del Campo dei Fiori, il Grand Hotel e il tracciato della funicolare, ben evidente vista la scarsità della vegetazione. L’opera, imponente, di 1,45 metri per 2,85, fu realizzata negli anni Venti da Giuseppe Talamoni, monzese di origine, uomo di ingegno eclettico, pittore, ceramista, scenografo, attore, regista e autore teatrale, fondatore del Gruppo Folkloristico Bosino nel 1927 nonché autore dello splendido “Canzoniere Bosino” del 1932, con prefazione di Giovanni Bagaini.
Il grande dipinto è assieme a un’altra tela, delle dimensioni di 1,30 metri per 2,40, del figlio di Giuseppe, Pier Luigi, scultore e pittore di talento, scomparso nel 2010, che raffigura il lago di Varese al tramonto con il Rosa sullo sfondo, ripreso dalla località Loreto.
«Il quadro di nonno Giuseppe ha una storia», racconta la nipote Maria Talamoni, «fu esposto durante la guerra a Merano, ma i tedeschi in fuga lo mitragliarono. Così lui lo riportò a Varese e incominciò a restaurarlo, aiutato poi da Sergio Colombo, che però sovrappose altri colori, per cui mio padre e io lavorammo tre mesi per riportarlo allo splendore originale. Mio nonno era chiamato “il pittore della neve”, perché amava dipingere paesaggi innevati, e al suo funerale nevicò. Ho in casa una piastrella che realizzò quando era ceramista a Ghirla, che raffigura un gruppo di signore con abiti belle époque che camminano nella neve e un magnifico pastello che mostra la portineria dietro la chiesa della Motta sempre incappucciata di bianco».
Giuseppe Talamoni, nato nel 1886 e morto nel 1968, è stato anche regista, allo scomparso Teatro Sociale di Varese, delle commedie dialettali del collega pittore e drammaturgo Guido Bertini, e ritrattista delle signore dell’alta società ospiti del Grand Hotel “Campo dei Fiori”.
«Nonno le ritraeva a pastello o a carboncino, ho ancora qualche album di schizzi. Mio papà Pier Luigi, invece, aveva incominciato come scultore, poi si mise a dipingere, soprattutto ritratti e figure, ma anche nature morte e paesaggi. Era anche un appassionato motociclista, fino a tarda età amava girare sul suo “Galletto” Guzzi rosso fuoco».
La famiglia Talamoni conta anche un altro pittore, Luigi: «Era il fratello di mio nonno, è stato anche lui apprezzato ceramista a Ghirla e bravissimo acquerellista, e anche autore di splendidi ferri battuti, tanto da realizzare anche alcuni lampadari per la Villa Reale di Monza».
Due quadri, due storie, due pittori, padre e figlio, che è bello riscoprire per mostrare ai giovani quanto fosse intenso il loro l’amore per la nostra città e il paesaggio circostante, tanto da ritrarlo in ogni stagione e in diverse ore del giorno, come testimoniano le grandi tele del lago e del Sacro Monte, i due simboli che ogni varesino dovrebbe avere nel cuore.















