I vecchi lo chiamavano il “calabrone di San Giovanni”, perché intorno al 24 giugno, festa del santo, lo si vedeva ronzare per i campi, segnale inconfondibile della natura, come un tempo l’arrivo dei maggiolini nel mese della Madonna.
In realtà, il cervo volante (Lucanus cervus) non è un calabrone, un vespide, ma un coleottero della famiglia dei Lucanidi, che, come si legge nel “Vocabolario milanese-italiano” di Francesco Cherubini, era chiamato in dialetto “cornabò” e nelle campagne anche “cornabobò”, per via delle mandibole molto sviluppate, soprattutto nel maschio, simili a piccole corna. Appendici che servono per masticare e combattere ma non sono in grado di “mordere” nessuno perché i loro muscoli sono troppo deboli.
In questi giorni i cervi volanti, puntuali con la loro ricorrenza, sono comparsi nei giardini e le loro dimensioni possono incutere paura, perché il “cornabò” in volo, con le ali spiegate, può somigliare a un piccolo uccello, ma è totalmente innocuo. Il cervo volante è una specie a rischio, per la distruzione degli habitat e l’abbattimento dei vecchi alberi dove la femmina depone le uova, e per questo è protetto dall’Unione Europea con la Convenzione di Berna.
Purtroppo la grande ignoranza in materia naturalistica di gran parte delle persone, porta ad aver paura di qualsiasi animale, visto soltanto come un pericolo o una minaccia e quindi sistematicamente eliminato, e così molti “cornabobò” sono schiacciati senza pietà, colpevoli di cercare soltanto del cibo, di solito frutta matura o anche linfa degli alberi. L’arrivo del cervo volante era un segno dell’inizio dell’estate, ed è quasi miracoloso che, ancora oggi con l’inquinamento e la mutazione climatica, i buffi coleotteri dalle grandi “corna” ronzino all’imbrunire sopra le nostre teste, ricordandoci che la natura rimane uguale a sé stessa nonostante le malefatte del cosiddetto “Homo sapiens”.