Giancarlo Ferrero è nella buona e nella cattiva sorte.
Lo trovi lì, con le spalle grandi, ad aspettare il peso dei giorni sportivamente pieni di nuvole. Senza un tentennamento, senza una smorfia.
E lo trovi, con il sorriso migliore, quando le gambe tremano perché stai per affrontare il viaggio riservato solo alle grandi squadre: fiero, orgoglioso, emozionato.
Questo ritorno biancorosso alle Final Eight non può iniziare senza la voce del capitano: l’attesa, i ricordi, i compagni, i memento… E la consapevolezza, soprattutto.
Buon viaggio, dunque…
Ci pensava, Giancarlo Ferrero, alle F8 durante gli anni di “digiuno"?
Certo, con tanta invidia per chi c’era e con il rammarico di non essere fra quelli. Le Final Eight sono un obiettivo intermedio che vale per tutti e che ogni anno si ripropone. E non costituiscono solo un premio per quello che hai fatto, ma anche e soprattutto la possibilità di vivere al centro del basket per qualche giorno: tutta l’attenzione è su di te, tutte le squadre migliori sono nello stesso posto.
L’ultima volta nel 2019, a Firenze: cosa ricorda?
Beh innanzitutto posso dire con orgoglio di essere l’unico reduce di allora. Ed è una bella sensazione. Tra l’altro, nella gara precedente ai quarti di finale di quella edizione, feci una grande partita contro Trieste, segnando 28 punti: anche per questo ho conservato il ricordo di quei giorni molto bene…
E allora rammenterà anche che quella Varese, pur trovandosi di fronte i futuri vincitori del torneo, avrebbe forse potuto fare di più…
Sì, negli spogliatoi, dopo aver perso contro Cremona, ci fu chiara la sensazione di non essere riusciti a esprimere al meglio la pallacanestro che ci aveva portato fin lì. Giocammo male e fu il preludio di un girone di ritorno in cui uscimmo dalla zona playoff…
E se dovesse confrontare le due vigilie?
Anche allora l’attesa era grande, perché avevamo fatto una andata molto promettente. Oggi, tuttavia, l’entusiasmo è maggiore, perché stiamo vivendo in un clima di novità da inizio stagione…
Come stanno sentendo l’appuntamento gli americani del roster?
A loro abbiamo spiegato tutto e, fin da subito, abbiamo messo la qualificazione a Torino tra gli obiettivi comuni. Non è stato difficile peraltro coinvolgerli, perché la formula con cui si gioca è molto USA, fa molto March Madness: te la giochi, se vinci resti, se perdi vai a casa. Per questo sono molto carichi e sanno anche che in parterre troveranno tanti addetti ai lavori e sarà quindi possibile mettersi in mostra.
Hanno capito tutti, ormai, cosa vuol dire giocare a Varese?
Direi di sì, sia quelli che sono alla prima esperienza in Europa che quelli, come Johnson e Brown, già abituati. Tutti, però, nessuno escluso, hanno compreso grazie a Masnago cosa sia il legame che lega questa squadra ai suoi tifosi… E sono concordi nel sostenere di non aver mai vissuto dentro un’atmosfera del genere.
Capitano, ma lei ogni tanto ci pensa ad alzare un trofeo con la canotta biancorossa addosso?
Certo, è uno dei miei desideri più grandi. Lo sanno anche i sassi di questa città che Varese mi è entrata sotto pelle e che i miei sogni - ora - sono uguali a quelli dei nostri tifosi. E allora a tutti dico solo una cosa: viviamo questo sogno. Ok, ci sono gli avversari di mezzo, ma viviamocelo e facciamo - a partire da oggi - ogni giorno qualcosa affinché possa realizzarsi.
Ma la Openjobmetis può crescere ancora o si deve fermare a un certo “livello”?
Secondo me i margini sono ancora ampi: vogliamo e dobbiamo crescere. Ci sono momenti in cui commettiamo troppi errori e dobbiamo e possiamo essere più lucidi, cinici ed esperti. Ma c’è una cosa che conterà più delle altre: la nostra vera crescita starà nel credere ancora di più al nostro modo di giocare. Abbiamo un’identità chiara e non dobbiamo smarrirla nei frangenti dei match nei quali andiamo in difficoltà.
Sconfiggere Pesaro vorrebbe anche dire togliersi la “scimmia” delle “grandi”, mai battute…
E infatti rappresenta una grande opportunità, visto che finora non abbiamo mai raccolto nulla. D’altronde non si scappa: sei lì con le migliori, se vuoi andare avanti devi iniziare a batterle.
Nell’ultimo mese è uscito dalle rotazioni di coach Brase: giornalisti e tifosi ne continuano a parlare, lei è rimasto in silenzio. Vuole per caso dire ora qualcosa in merito alla situazione?
Sì, due cose. La prima, già detta ma da ripetere: non voglio che ci siano delle polemiche. Non è questo il momento adatto per parlarne: questa società e i suoi tifosi meritano di vivere le F8 senza alcuna ombra e al 100%.
E la seconda?
Io rispetto le scelte che il coach sta prendendo. E so che devo fare solo una cosa: farmi trovare pronto in caso di chiamata. È quello che è sempre accaduto e deve accadere ancora. Poi, a 34 anni suonati, so anche cosa sia la consapevolezza: e sono pienamente consapevole che un contributo per arrivare alle F8 io l’abbia dato…