Urla, pianti, piedini che battono sul pavimento, giocattoli che si rovesciano… tutto questo è molto familiare? Probabilmente allora, si ha un bambino piccolo e si catalogano spesso questi comportamenti sotto il termine “capriccio”.
Qualche manciata di anni fa non c’era giusta informazione o sensibilizzazione nei confronti del “sentire” dei bambini più piccoli, e i genitori tendevano a sottovalutare o ad etichettare alcune esternazioni dei loro figli come “buone o cattive”, lamentando alcuni atteggiamenti come capricciosi. O peggio, lamentando che il proprio figlio fosse un “bambino capriccioso”. Fortunatamente oggi esistono corsi per genitori, soprattutto per quelli più attenti e sensibili, che aiutano a decodificare le esternazioni dei propri bimbi e a guardarle dal loro punto di vista.
Frustrazione emotiva: vediamo cos’è
Il capriccio del bambino non è una presa di posizione gratuita, né tantomeno un atteggiamento “sbagliato”. La maggior parte delle volte, quello che noi chiamiamo capriccio non è nient’altro che un momento di grandissima frustrazione che il nostro piccolo sta vivendo perché fatica a capire e a farsi capire. Il cervello dei bambini è ancora profondamente immaturo, quindi non sono in grado di fare pensieri “manipolatori” come spesso noi adulti gli affibbiamo. Una frase come “fa così perché sa che dopo ottiene qualcosa” non è particolarmente realistica se applicata a un piccolo di pochi anni. Sarebbe più giusto, in un frangente del genere, guardare a quel comportamento come “vorrebbe così tanto quella cosa e non capisce perché non può ottenerla, ecco perché si dispera così”.
Aiuta il tuo bambino a regolare le sue emozioni
Le neuroscienze ci hanno insegnato una grande verità sullo sviluppo emotivo del cervello dei bambini. Una di queste verità è che il bambino non sa autoregolare le proprie emozioni: questo comporta reazioni che l’adulto reputa “eccessive”, ma che per il bambino sono perfettamente fisiologiche.
Quando rimaniamo sconcertati da un “capriccio” che scaturisce dal non voler indossare un cappellino, ad esempio, non possiamo decodificare quella reazione con gli occhi dell’adulto. Il bambino che entra in crisi conosce solo quella sensazione: quel che si può fare in quanto “grandi” è stargli accanto, parlargli dolcemente, aspettare che superi il momento di rabbia e poi provare a spiegare o a distrarlo con altra attività.
Rispondere in maniera oppositiva non farebbe che peggiorare le sue emozioni, e al contempo cercare di “spegnere” un momento di rabbia non insegnerebbe al bambino a regolarsi in futuro. I genitori possono accompagnare il piccolo a superare il momento, con fermezza, presenza e dolcezza.
E i terribili 2?
Si sente moltissimo parlare dei “terribili 2”, ovvero il compimento dei 2 anni di età del bambino in cui sembra cambiare personalità… in realtà, è proprio in quel momento che impara a percepirsi come un’entità separata dal genitore. Cerca la sua identità, e la ricerca parte spesso dallo scontro e dall’opposizione, per affermarsi e autodeterminarsi. È un’età che mette a dura prova il genitore e molto delicata per il bambino, il cui cervello non ha ancora le competenze per riuscire a gestire le proprie pulsioni ed emozioni.













