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Storie | 22 marzo 2022, 18:45

È di Varese l'angelo del soccorso di Milano: «Un orgoglio aiutare chi soffre. Nel buio del Covid essere in prima linea ci diede la forza di resistere»

Marco Contini, 36 anni, è il responsabile del Numero unica di emergenza Areu di Milano: «La soddisfazione più grande? Dare il contributo per la sicurezza degli altri». Le fatiche («riceviamo fino a cinquemila chiamate al giorno»), i drammi («quando chiama una donna che subisce violenze siamo la prima voce amica che sente») e le emozioni («Indimenticabile il vagito di un neonato») fino allo tsunami pandemia: «Prima fu il panico, poi un dramma: ci diede forza la consapevolezza di aiutare chi stava male». E un porto sicuro: «Tornare nel silenzio della mia Marzio mi dà la carica per lavorare in prima linea»

È di Varese l'angelo del soccorso di Milano: «Un orgoglio aiutare chi soffre. Nel buio del Covid essere in prima linea ci diede la forza di resistere»

«Sapere di contribuire a portare a buon fine un intervento di soccorso aiutando chi ha bisogno è il nostro orgoglio più grande». Sono le parole di Marco Contini, varesino di Marzio, in Valganna. È lui l'occhio e la mente della centrale operativa del Nue di Milano, il numero di emergenza unico gestito da Areu. Contini, 36 anni, è il responsabile di una delle tre sedi lombarde del servizio che ha fatto scuola in Italia, quella di Milano. Le altre due sono proprio a Varese, la prima in assoluto, e a Brescia.

Dai loro centralini passano tutte le chiamate d'emergenza della Lombardia: incidenti stradali, rapine, incendi, richieste di assistenza sanitaria o di sicurezza ad ambulanze, forze dell'ordine e vigili del fuoco. Una mole di telefonate a cui la principale risposta è una sola: rapidità. Perché dalla velocità e dalla professionalità di chi risponde dipende spesso l'esito di una operazione. 

Marco Contini, coordinare il Nue di Milano è un lavoro impegnativo e di grande importanza per la sicurezza di una metropoli. Quale è il percorso che l'ha portata fin qui?
Tutto nasce una decina di anni fa, quando è partita proprio da Varese la prima sperimentazione italiana del Numero unico di emergenza 112. Allora ero volontario al Sos di Azzate e mi sono offerto per diventare operatore telefonico del progetto che stava nascendo. Fu abbastanza un salto nel buio perché tutto avrebbe potuto finire nel giro di pochi mesi. Invece non andò così.

Da allora di strada ne ha fatta…
Ho girato l’Italia per coordinare le aperture delle centrali del Nue in varie regioni. A oggi il 56% della popolazione italiana è coperto da questo servizio. Puntiamo a raggiungere il 100% entro un paio di anni.

In che cosa consiste il vostro lavoro e perché è importante?
Siamo il primo anello della catena dei soccorsi, sia sanitari che di sicurezza. Riceviamo tutte le chiamate dei quattro numeri di emergenza, le filtriamo e le smistiamo alle centrali operative di secondo livello: sanitari, forze dell’ordine, vigili del fuoco. Il nostro obiettivo è garantire sempre una risposta in tempi rapidissimi. 

E ci riuscite?
E’ il nostro obiettivo. Le statistiche della nostra centrale dicono che rispondiamo entro 5 secondi e in 40 secondi passiamo dalla risposta alla localizzazione del luogo in cui intervenire, inviando i soccorritori. 

Impressionante, soprattutto vista la mole di chiamate quotidiane.
Riceviamo in media 4.600 chiamate ogni giorno, con punte che superano i cinquemila. Questo significa che il singolo operatore affronta durante il suo turno tra le 150 e le 200 chiamate. Il nostro filtro è fondamentale per le centrali operative di secondo livello perché circa il 50% delle telefonate non vengono poi smistate in quanto richieste di informazioni, errori o altro. Senza questa “selezione” le centrali operative sarebbero sommerse di telefonate e avrebbero meno tempo per gestire le reali situazioni di emergenza.

Il ruolo di coordinatore di una realtà complessa come questa non deve essere semplice…
E’ adrenalinico, senz’altro. Ma dà soddisfazione sapere di rappresentare il primo passo per aiutare chi necessita di aiuto. Il mio compito essenzialmente è di gestire questa macchina, composta da 60 operatori, e garantire che performance e capacità di risposta rimangano al livello prefissato.

Ci vuole grande motivazione e una passione fuori dal comune.
A me, come a tutti gli addetti al soccorso, dà la spinta la consapevolezza di lavorare per la pubblica utilità, di fare qualcosa per il prossimo e di socialmente utile. Sapere che il contributo dell’operatore è fondamentale per l’esito finale del soccorso ci dà forza e motivazione. Altro motivo di orgoglio è lavorare per Areu, una realtà che è un modello di organizzazione, efficacia ed efficenza in tutta Italia. 

Quali qualità deve avere un giovane che vuole impegnarsi in una carriera nel soccorso?
Oltre alla motivazione credo che siano fondamentali, nel nostro campo, ottime abilità comunicative. Ci vuole inoltre grande autocontrollo e lucidità: non è semplice gestire centinaia di chiamate ogni giorno. L'operatore è addestrato per fare le domande giuste per ottenere nel più breve tempo possibile tutte le informazioni necessarie per rispondere a una situazione di emergenza. E' fondamentale che i nostri interlocutori lo sappiano e si affidino sempre all'operatore.

Nella sua carriera qual è stato il momento più drammatico?
Non c’è un momento singolo, ma una categoria di chiamate che mi colpiscono sempre dal punto di vista umano. Sono quelle relative a casi di violenze domestiche o di genere. Arrivano proprio nel momento in cui la violenza sta esplodendo e la donna che ne è vittima si trova dall’altra parte della cornetta. Quella dell’operatore è la prima voce che sente, che può rispondere al suo aiuto… Sono chiamate psicologicamente molto difficili. E’ confortante però sapere che da quella chiamata può arrivare la fine di un incubo. Anche questo ci rende orgogliosi del nostro lavoro.

E il momento più emozionante?
Ho in mente un episodio, avvenuto qualche anno fa, quando ero operatore. Una donna ci chiamò subito dopo aver improvvisamente partorito da sola. Fu toccante sentire il pianto del neonato e la voce commossa della madre… e fu emozionante fornirle la prima assistenza.

Uno tsunami di emozioni fu sicuramente la prima ondata della pandemia. Voi operatori sanitari siete stati in prima linea e siete stati travolti da qualcosa di mai visto.
Quei giorni del 2020 furono un doppio choc per me e per tutti i miei colleghi. Il primo arrivò subito dopo la scoperta del primo caso a Codogno, il 20 febbraio. Quelli immediatamente successivi furono giorni di psicosi collettiva. Le linee erano intasate da telefonate di gente presa dal panico. C'era incertezza, paura per quanto stesse accadendo.

E poi?
Poi il panico lasciò spazio alla vera emergenza sanitaria. Non era più paura, psicosi. Era un’emergenza mai vista e durò settimane. Eravamo psicologicamente e fisicamente sotto pressione. Ci ha sostenuto la consapevolezza che stavamo dando un importante contributo per salvare delle vite, per lottare contro il Covid. Eravamo stanchi, ma fieri di essere in prima linea.

Secondo molti, tra cui il prefetto di Varese che ha lanciato un monito a riguardo, la pandemia ha segnato psicologicamente soprattutto i più giovani. Ha la sensazione, dal vostro punto di vista, che siano rimaste scorie, che sia aumentata l’aggressività dei ragazzi?
Confermo la percezione che dopo la pandemia stiamo gestendo un maggior numero di chiamate relative a episodi di violenza, risse e aggressioni che coinvolgono ragazzi.

Oggi la grande emergenza è la guerra in Ucraina e le condizioni di chi fugge dal conflitto. Migliaia di profughi sono attesi anche in Lombardia. Come vi state preparando?
Stiamo monitorando con attenzione le chiamate legate all’emergenza in Ucraina. Stiamo già ricevendo le prime telefonate di persone in fuga dalla guerra che sono arrivate sul nostro territorio. Alcune di loro hanno problemi di salute e chiamano il 112, altri sono spaesate e alla ricerca di informazioni. Per questo abbiamo attivato un numero verde di Regione Lombardia (800894545): qui possiamo dare loro risposte. E’ lo stesso numero che era operativo ai tempi delle prime ondate di Covid. Areu, infine, si sta attivando su più fronti per gestire l’emergenza umanitaria.  

Dal caos della metropoli con le sue migliaia richieste di aiuto ogni giorno alla tranquillità della sua Marzio. Com’è rimasto il suo legame con la provincia di Varese?
Torno ogni settimana a Marzio e quella di rimanere legato alla mia terra d’origine è stata una scelta precisa. Amo molto il distacco da Milano che Marzio sa darmi, mi piace passare dall’adrenalina della centrale operativa al silenzio di Marzio. E’ un contrasto netto, pacifico, di cui avverto il bisogno: una pace che mi dà la carica e la spinta. E la forza di ricominciare. 

Bruno Melazzini

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