L’apertura dell’hub supertecnologico di Dhl Express e le sue prospettive di crescita (LEGGI QUI) hanno acceso una luce di speranza per Malpensa e per il territorio. Speranza che ha delle basi per decollare. Perché Massimiliano Serati, professore associato di Politica economica della Liuc di Castellanza, ne è convinto: l’aeroporto è più che strategico e non solo la ripresa ci sarà, ma sarà una garanzia per tutto il territorio. I problemi sono i tempi, e chi nel tessuto imprenditoriale potrà rispondere ancora «Presente!» per allora.
Professor Serati, partiamo da ciò rappresentava Malpensa per il territorio, prima del virus?
In termini estesi Malpensa era il più grande impianto produttivo di tutto il nostro territorio. Una realtà capace di produrre più di 20mila posti di lavoro soltanto parlando del cosiddetto impatto diretto, cioè chi lavora stabilmente dentro l’aeroporto. Tenendo conto poi dell'indotto, i numeri diventano più del doppio. Si arriva a 40-45mila occupati. E ancora, ignoro volutamente un altro fattore rilevante: la capacità di innervare il turismo e altri canali che portano Pil, spesa, occupazione sul territorio. Una realtà che definire strategica è poco.
Come si è manifestato l'impatto della pandemia?
Il passaggio del virus ha provocato effetti dirompenti, perché il settore dei trasporti insieme a quello del turismo e della cultura e alla filiera del tessile (LEGGI QUI) per quanto riguarda la manifattura, sono risultati gli ambiti più colpiti. Un po’ per l’effetto del contagio un po’ per le restrizioni della mobilità. Gli effetti si sentono molto poco sul piano occupazionale, perché le perdite sono state contenute dal blocco dei licenziamenti e dagli ammortizzatori sociali: sul 4-5%. Ma subito si è sentito l’impatto sul volume d’affari, sul Pil generato dall’aeroporto. Qui la contrazione è stata attorno al 40%. Ciò significa aver accorciato una delle gambe del tavolo economico territoriale non di poco. Con tempi di recupero intanto incerti, perché non sappiamo quando verrà definitivamente sconfitto il virus a livello globale. Però gli studi dicono che prima del 2023, più probabilmente 2024, sarà difficile tornare ad avere un traffico di persone comparabile a quello che avevamo prima della pandemia.
Che è un traguardo da brivido...
Esatto, più che altro perché bisogna capire cosa succederà da qui al 2024, ci saranno delle persone che perderanno il posto del lavoro e aziende costrette a chiudere, probabilmente bisognerà ridefinire alcune linee strategiche da parte di Sea, che già ci sta lavorando. Ma la transizione non sarà solo di tempi che devono trascorrere, bensì di complessità da gestire.
C’è almeno un aspetto positivo?
Che i numeri torneranno a essere quelli di un tempo. Perché non c’è una motivazione economica profonda dietro al calo dei numeri: ce n’è una epidemiologica, di livello diverso. Rimossa quella, ci sta che con la ripresa economica globale ci sia quella della mobilità. C’è da stabilire quanto tempo ci vorrà e quali scelte dolorose dovranno essere prese.
Non c’è però rischio che ci si abitui ad esempio a fare più riunioni, conferenze in termini digitali e un domani le fiere?
Appena c’è un ammorbidimento dei regimi di restrizione, la gente va in cerca immediatamente della socialità. Sul piano più strettamente economico, la digitalizzazione e il poter svolgere delle attività da remoto sono un grande incentivo, per il risparmio dei costi. Un po’, questo effetto ci sarà, ma non tale da frenare la ripresa dell’aeroporto. Il grande viaggio una volta all’anno per venire a vedere le collezioni continuerà. La fiducia c’è: il tema è quanto durerà la pandemia e quanti effetti collaterali negativi saranno recuperabili. Ci sono studi, nell’arco degli ultimi dieci anni, che suggeriscono come gli aeroporti siano un rilevante fattore di resilienza per i territori. Non c’è motivo di pensare che Malpensa non sia inquadrata in questo ragionamento. Noi stiamo cercando di capire se ciò valga per il nostro territorio, abbiamo uno studio che completeremo tra un paio di mesi. Ma i primi indizi dicono i sì.
In che modo?
Le aziende in difficoltà in un contesto poco infrastrutturato e con poca vocazione internazionale, tendono a gettare la spugna molto più di chi è a 5 chilometri da un aeroporto intercontinentale, vede che la Cina si è rimessa in moto e ha un po’ più di ottimismo. Ecco come l’economia di Malpensa è cruciale per tutto il territorio del Varesotto, dell’Alto Milanese, del Piemonte orientale, in un certo senso di tutta la Lombardia.
Rimane aperto anche un tema di collegamenti, come è stato evidenziato durante la cerimonia di Dhl?
Gli indicatori di infrastrutturazione e i tempi di raggiungimento di Milano e del resto del territorio in realtà non sono diversi da quelli dei migliori aeroporti europei. Poi all’interno del quadro, ci sono elementi di criticità da risolvere. Uno di questi è il collegamento con Gallarate proprio perché è una stazione ferroviaria di snodo rilevante e perché un po’ luogo di confine tra parte sud e parte nord. Questo tipo di collegamento è concepito come prioritario da Univa e altri stakeholder. Questa frenata non sta giocando a favore della realizzazione del collegamento. Ma credo che si farà, anche qui si tratta di ragionare su tempi e costi.
In questo momento avremmo anche qualche risorsa, niente meno che europea...
Tendenzialmente sì, con la chance di accaparrarsene una parte: questi interventi rispondono a tutti i requisiti del piano. Dobbiamo avere noi la capacità come sistema Paese di essere efficienti.
È un’occasione, insomma?
Questa è l’occasione. Anche dal punto di vista europeo, le condizioni attuali di sospensione del patto di stabilità, di emissione del debito che di fatto è debito europeo, il crollo dei tassi di interesse anche per Paesi più esposti come l’Italia... Sono i pochi effetti collaterali della crisi, che fanno di questo un periodo irripetibile. Se lo sfruttiamo male, temo che non ci saranno più opportunità.
Un po’ l’ultima chiamata?
Sì. Sia le associazioni imprenditoriali del territorio sia il management di Sea sono perfettamente consapevoli di questo e cercano il più possibile non solo un endorsement reciproco, ma una sinergia. È in gioco il futuro non solo di questo territorio.
Professore, le chiediamo una cosa più personale, che viviamo tutti noi. L’ultimo aereo che ha preso a Malpensa? Ci pensa mai a come sarà quando tornerà a volare?
Nel dicembre 2019 ho preso l’ultimo aereo. A un certo punto mi sembrava che senza possibilità di muoversi la vita precipitasse. Che il lavoro si incagliasse. Invece poi, sarà capacità di adattamento e che la questione è diventata planetaria, le cose si sono rimesse in moto. Però è chiaro che stiamo facendo convegni internazionali, i grandi eventi con la presentazione dei nostri lavori a distanza. Spesso erano momenti in cui davanti a un piatto si sviluppava un’idea con i colleghi, che poi ti portava a fare lavori bellissimi nei mesi successivi. Sarà una festa poter andare a una fiera di settore, anche solo a una riunione senza patemi. Saranno piccole gioie: figurarsi prendere un aereo. Lo ricorderemo quasi come il primo della nostra vita!
Spostiamo di nuovo lo sguardo sul territorio e su come potrebbe cambiare, attorno a Malpensa dopo la pandemia?
Un po’ di cambiamenti nel mondo ci saranno ovviamente, ma molti erano in una fase nascente e la pandemia li ha accelerati. Uno di questi è che molte aziende che in passato hanno delocalizzato pezzi di produzione dove il costo del lavoro era più basso, progressivamente riporteranno in Europa queste attività. Si va verso produzioni sempre più tecnologiche e anche i fornitori in Cina, India o Sudamerica apriranno impianti produttivi in Europa per stare più vicino al cliente finale.Ciò avrà conseguenze sulla mobilità cargo e delle persone, soprattutto sulla direzione dei flussi. Meno da qui all’estero e più dall’estero verso di noi. Per chi ha un aeroporto, sarà un’opportunità da cogliere. Anche questo ci dà qualche speranza.