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Basket | 05 settembre 2020, 00:01

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI Scola ha spostato la sua Varese sotto canestro. E dietro a Re Luis, c’è un’anima che profuma di sacrificio

Vincere con il 25% da 3 punti? Non lo ricordavamo possibile. Merito della stella argentina e di una conduzione tecnica che a lui si è adeguata e sta cambiando pelle. I segnali di crescita arrivano dal gruppo in generale. Per la gioia dei 200, generosi, reduci post-pandemici

Un gigante sotto ai tabelloni: 26 punti per Luis Scola

Un gigante sotto ai tabelloni: 26 punti per Luis Scola

Domanda: quante volte ricordate di avere visto una Varese degli ultimi anni vincere un match tirando con il 25% da 3 punti e sole 6 triple segnate (leggi QUI)? Poche? Pure noi. La tentazione sarebbe di andare a contarle e non è detto che non lo faremo.

Domanda “numero” bis: quante volte ricordate di aver visto una Varese degli ultimi anni superare l’avversario a rimbalzo (oggi 41-34) senza un giocatore che ne catturasse individualmente una quantità in doppia cifra? Mai? Siamo con voi.

Luis Scola ha “spostato” la sua nuova casa sotto canestro, permettendole di dipendere meno, molto meno, dalle percentuali dall’arco. E se la star argentina risulta trascinante nelle prove offensive (stasera 26 punti, a tratti dominando a scena aperta), dietro di lui si intravede una squadra con una gran voglia di migliorare e di sopperire - unita, con il contributo di tutti - alle sue mancanze strutturali, come liturgia “artigliesca” si propone sempre di insegnare: la vittoria nelle carambole con la cooperazione di tutti gli effettivi (dagli esterni, alle ali, ai lunghi…) ne è l’esempio più lampante.

Sono questi i due fiori più colorati e graziosi colti dalla Openjobmetis sul campo della sua inaugurale vittoria stagionale. Il primo dà al successo ben più valore di quando emerga dal punteggio o dalla forza sulla carta dei contendenti (che poi Cantù non è di certo inferiore e ha non di poco alzato il proprio livello rispetto al recente passato). Cercare il post basso della stella di Buenos Aires è logico e doveroso: tentare di ripetere lo stesso con Morse lo sembrerebbe molto meno. Eppure la nuova versione biancorossa ha continuato per 40 minuti a sondare sotto al tabellone il bandolo del suo gioco, la goccia capace di far travasare il vaso della difesa, quel vantaggio che sa trasformare un’azione in un canestro, facendoci salire su una sorta di macchina del tempo che ci riporta a una pallacanestro più tradizionale, più costruita, meno casuale perché meno dipendente dalle “lune” delle mani dei singoli. E in questo viaggio dal poligono di tiro a un parquet anni 90’ ci guadagna di sicuro lo spettacolo.

Attenzione, però: l’importanza delle bombazze non scomparirà mai perché non può scomparire nel basket moderno. Ci saranno momenti in cui Re Luis rimarrà nudo, perché raddoppiato (oggi è accaduto diverse volte nel secondo quarto) o - finora non ci è riuscito nessuno… - anestetizzato: sarà lì che si vedranno i numeri degli altri (della squadra, più che degli altri singoli), la qualità della circolazione di palla e la capacità degli esterni di punire gli spazi lasciati liberi dalla guardia speciale sull’ex NBA

Per ora non ci sono altri ballerini che si prestino ad accompagnare il tango del numero 4: il contorno però sta crescendo. Nelle piccole cose, quelle che profumano di sacrificio, fragrante come una torta di mele lasciata raffreddare sul davanzale della cucina: non solo i rimbalzi, ma anche gli aiuti difensivi, gli assist, l’ordine (solo 10 palle perse, come al PalaLeonessa). E allora nella prima pagina di giornata, accanto al fotone centrale, c’è spazio per tanti piccoli ritratti: quello di un De Vico che se dovesse sempre lottare come oggi avrebbe un applausometro dedicato e assicurato; quello di un Andersson che non trova gloria dall’arco ma scivola bene con le gambe e segna da sotto; quello di un Ruzzier che, timidamente, ha alzato i giri del motore (timidamente eh); quello di uno Jakovics che non ha paura di prendersi responsabilità sulle sue spalle forgiate dallo spirito baltico, misto di freddezza, ineluttabilità e noncuranza del pericolo.

Buon lavoro Attilio Caja: il materiale c’è e ti segue, cosa ancor più fondamentale. E vincere aiuta a vincere: farlo davanti ai 200 tifosi-reduci post-pandemici di stasera, risultato di un’ordinanza arrivata tardi, di una paura ancora viva e di una “pigrizia” più endemica del Coronavirus (ma stavolta piena di giustificazioni) non ha prezzo. Soprattutto per chi davvero è tornato ad applaudire  con grande generosità e ad amare. La sua Varese e il basket.

Fabio Gandini


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