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Cultura | 11 dicembre 2025, 16:12

Una cucina fatta di arte e ricordi. Ecco le “Digressioni culinarie” di Alberto Bortoluzzi e Pierre Ley

Un duo d'eccezione per un progetto "culinar letterario" che unisce esperienze di vita, ricette tramandate dalle nonne, avventure e amarcord. Appuntamento domenica 14 dicembre al Miv per presentazione e docufilm

Correvano i Settanta quando Tony Curtis e Roger Moore ne combinavano di tutti i colori cacciandosi in guai in apparenza irrisolvibili ma di fatto pretesto per divertirsi come matti tra la Costa Azzurra e l’high society britannica. “Attenti a quai due” era il titolo della seguitissima serie televisiva e il titolo è perfetto per le marachelle letterarie di un duo d’eccezione, quello composto dal fotografo e scrittore Alberto Bortoluzzi (pure editore in proprio) e dall’immaginifico Pierre Ley, francese nato a Lugano e cittadino del mondo, accademico della Cucina e grande comunicatore. 

Succede che il duo si mette in mente di dare vita a un progetto culinar letterario, unendo esperienze di vita a ricette tramandate da nonne e tate, avventure nel mondo e risotti amarcord, per non parlare di un misterioso talismano che di colpo rende adulti, versato goccia a goccia sullo “steak tartare”, e della fotografia di Gualtiero Marchesi col pettine in mano simbolo forse dell’alacrità meneghina espressa dal detto: «Semm mia chi a petenà i pigott». Ma altresì a regalare ai palati il famoso risotto con foglia d’oro zecchino applicata, a esaltare la doratura dello zafferano.

Ecco dunque il libro bell’e pronto, “Digressioni culinarie”, edito da Bortoluzzi in formato 19x19 e, come sempre succede con le sue creazioni, stampato sulla raffinata carta Fedrigoni Tintoretto Gesso che Alberto definirebbe «da accarezzare», che sarà oggetto di una duplice presentazione: domenica 14 dicembre alle ore 10 al Multisala Impero con la proiezione di un docufilm, e martedì 23 dicembre alle 21 allo Spazio Materia di Castronno.

Inutile dire che anche Ley ci ha messo del suo, corredando le pagine di splendidi disegni appetitosi che contrappuntano gli scatti di Bortoluzzi, sempre ironici e raffinati, ma il cuore del libro, senz’altro un ottimo regalo natalizio (non si trova in libreria ma solo alle presentazioni o chiedendolo agli autori) sono i racconti dei due eterni ragazzi, che pongono a esergo del libro una citazione nientepopodimenoche dell’immortale Aldo Fabrizi a ricordarci come sia «mejo vive un giorno da leone che trent’anni da pecora affamata», e lui e la sora Lella, sorella e cuoca sopraffina, lo mettevano in pratica quotidianamente.

La madeleine di Pierre è il “riso rosso della Maria”, cuoca di Ispra che aiutava la madre in casa, niente di che, «un pastone di riso bollito asciugato in pentola con due cucchiaiate di concentrato» ma vuoi mettere mangiarlo di ritorno da scuola, quella di Alberto è la cucina economica della nonna, la “Aga”, su cui abbrustolire il pane per la colazione dove spalmare burro e gelatina di ribes fatta in casa. I due hanno un respiro internazionale, sono uomini di mondo proprio come Tony e Roger, ma alla fine si ritorna sempre a casa e il “must” del libro è lo straordinario aneddoto sul “cumenda” Borghi, che per far firmare un contratto di partnership al signor Frits Philips, che soffriva il mal di mare, lo sfinì portandolo per ore in barca sul lago di Monate, per poi invitarlo a una monumentale cena a base di riso in cagnone, con il persico pescato e cucinato dal fido Adelio. 

A proposito: che qualità di riso adoperate per il risotto? Arborio, Carnaroli, Vialone nano? Leggete la storia di questo piatto a pagina 12 e lo saprete, assieme a qualche sorpresa relativa a un cibo così connaturato a noi “polentoni”. Alberto poi ci fa sedere a tavola con il vincitore delle Olimpiadi di Tokyo del 1964, il ciclista Mario Zanin veneto e buongustaio, che con la scusa di un risottino alle erbe selvatiche gli ammannisce un pranzo luculliano da ammazzare un bisonte. 

Ma la vera affiliazione al mondo dei grandi arriva, secondo Pierre Ley, soltanto assaggiando lo “steak tartare” innaffiato dal Tabasco, salsa piccante al peperoncino prodotta dal 1868 da McIlhenny nella caratteristica bottiglietta da 59 ml, invero «una cosa da stupir». In casa Ley la carne arrivava dalla defunta macelleria Bellorini di corso Matteotti, polpa di filetto tritata, e poi «veniva il momento della liturgia che separava gli uomini dai ragazzi: l’aggiunta del Tabasco! Papà separava la massa di carne condita in due “saladier”, due boule trasparenti, quella per gli adulti e l’altra per i bambini. Quello per gli adulti veniva consacrato con una generosa aspersione di Tabasco. Il giorno che mio padre, avevo poco più di quindici anni, con tono solenne mi disse “oggi la mangerai come noi, te la senti?” mi sentii pieno d’orgoglio, pronto ad essere accolto al tavolo dei grandi.»

Per terminare l’articolo e non fare troppe anticipazioni (nemmeno sotto tortura ci farete scrivere spoil…re) un consiglio natalizio firmato Bortoluzzi, il “Weihnachtsstollen”, dolce con così tante calorie da poter correre nudi in Antartide ma di somma bontà, creato a Dresda nel 1474 con la ricetta gelosamente custodita dalla famiglia di Alberto per via della nonna materna tedesca. Trovate come cucinarlo a pagina 100, basta quello a fare un pranzo. 

Dimenticavamo: la nonna di Pierre era proprietaria dal 1919 di un tempio dolciario art déco al 4 di Rue de la Liberté Nizza, la Pâtisserie Arthur Domérégo frequentata da Matisse, ghiotto di frutta candita e Picasso, che disse alla signora: «La scongiuro, non cambi mai niente a questo arredamento», rimasto peraltro originale fino alla chiusura, avvenuta purtroppo nel 1986. 

Così, per par condicio, omaggiamo la Francia di Ley con il presentare il “Clafoutis Limousin”, dolce famigliare come quello tedesco (trovate la ricetta a pagina 104) «un impasto da crêpe infarcito di ciliegie e cotto al forno come fosse una torta». Una volta sfornato, lo si spolvera di zucchero di canna, lo si lascia intiepidire et voilà, un dolce Natale a tutti!

Redazione

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