Con il “Maso” ci si conosce dalle elementari, scuola “Parini” di Giubiano, di fronte a Villa Augusta, dove ai nostri tempi c’erano le monache. Roberto aveva ripetuto, era più grande di tre anni, mi aveva preso in simpatia e spesso mi regalava qualche caramella, cose che rimangono impresse per tutta la vita. Poi gli studi e il lavoro, ci si perde di vista, così dopo diversi anni riecco Roberto Masini in versione imprenditore, ancora a Giubiano, in via Cimone, oppure in giro alla guida dell’inconfondibile furgone con la scritta “Arquati”, il produttore di tende da esterni di cui il nostro è rivenditore autorizzato.
Già, perché il “Maso” è uno degli ultimi tappezzieri materassai arredatori rimasti sulla piazza, artigiano che lavora da 56 anni ed è fiero di ciò che ha costruito, «partendo da sottozero», come mi ha confidato nell’intervista, fatta nel grande laboratorio show room di via Francesco Crispi 17/A a Varese, dove dal 2006 lavorano con lui il figlio Davide e la moglie Chiara, amministratrice e segretaria e, all’occorrenza, cucitrice. Ma Roberto ha sempre avuto un’altra grande passione, il calcio, che gli ha dato molte soddisfazioni e anche qualche amarezza. Ma di questo parleremo più avanti.
«Ho incominciato a lavorare nel 1969, finite le elementari. Mio fratello Giovanni era assunto dal tappezziere di Giubiano, Di Biase, che aveva il laboratorio vicino all’asilo. Iniziai lì per caso, un lavoro valeva un altro, e alla fine Giovanni andò al GS e io rimasi lì come apprendista fino al 1976, quando mi staccai mettendomi in proprio in via Riago, al “Pestapepe”, sempre a Giubiano».
Ma arrivò la tegola del militare, 13 mesi di naja, terribili per un ragazzo che aveva appena incominciato l’attività. «Parlai con l’allora parroco di Giubiano, don Giuseppe Vergani, che mi mise in contatto con monsignor Tarcisio Pigionatti, il quale riuscì a farmi fare 20 giorni ad Asti, altrettanti a Como, e poi a mandarmi al Comando Militare di Genova, dove il mio compito era quello di recuperare le reclute di notte. Incominciò per me un periodo infernale, due volte la settimana partivo da Giubiano a mezzanotte, arrivavo a Genova alle 3 e mezzo, alle 4 recuperavo le reclute, ripartivo per Varese e al mattino alle 9 ero già in bottega a lavorare. Non potevo fare diversamente, altrimenti avrei perso la clientela».
Tanta dedizione è premiata, Roberto ingrandisce l’attività e nel ’90 si trasferisce in via San Michele del Carso, ci sta 5 anni e poi arriva in via Cimone, nel cortile dove un tempo c’era il Vanini dei combustibili, legna, carbone e nafta.
«Allora sistemavo 7-8 materassi al giorno, oggi forse 6 all’anno, poi cuscini, poltrone, divani e tende da interni. Più avanti, con la concessionaria Arquati, è aumentata la richiesta di tende da esterno e piccole veneziane. Quando incominciai, si cardava la lana con la macchina a mano, poi arrivò quella elettrica. Quando ero apprendista facevo le poltroncine che De Bortoli regalava a chi acquistava la mobilia per la camera da letto. Oggi la richiesta è soprattutto per le tende da sole e il rifacimento di poltrone e divani del salotto buono».
Masini utilizza quasi solamente tessuti made in Italy, ma anche in questo settore negli anni le cose sono profondamente cambiate: «Tutti vogliono i tessuti antimacchia o facilmente lavabili per via degli animali domestici. Vanno quasi solamente le tinte unite, sono sparite le fantasie e anche il velluto dralon, il più pregiato e quello di lino, perché troppo costosi. È finita anche l’epoca dei materassi di lana, oggi quella di qualità costa 30 euro al chilo, ma preferiamo buttare la lana dei materassi che si potrebbe cardare e riutilizzare. Poso ancora qualche moquette, soprattutto negli uffici», aggiunge Roberto, che ha tra i suoi clienti ospedali, case di riposo, carabinieri, polizia, questura, prefettura e scuole.
E il calcio? «Da ragazzo ho iniziato come raccattapalle al campo di Giubiano, dove oggi si gioca a rugby. Il Varese era allenato da Nils Liedholm che ogni volta tirava dieci punizioni dal limite e diceva a “Gedeone” Carmignani che gli avrebbe segnato sette volte, cosa che puntualmente faceva. Ho giocato come ala sinistra fino a 22 anni, anche un anno al Bosto con Marco Limido, mentre suo fratello Bruno era raccattapalle con me. Poi mi infortunai e iniziai come allenatore alla Guronese, poi vice di Roberto Bianchi alla Lombarda, campionato vinto e passaggio in seconda categoria».
Roberto non molla, va a Cagno, Albiolo e Concagno dove vince il campionato di terza categoria «con una straordinaria coppia di attaccanti, Salvatore Blandino e Fabrizio Belli», quindi altro campionato vinto con la Cassiopea di Giubiano sul campo di “Vivirolo”, poi passaggio a Bodio, due anni a Cantello con Marco Antonetti, e ancora al Ceresium Bisustum, a Castiglione Olona dove ha allenato Paolo Masini, attuale responsabile agonistico della Varesina, e il centravanti Marcello Binaghi.
«Alla fine sono approdato a Induno Olona, all’APD Aurora, prima come allenatore, poi direttore sportivo e presidente della sezione calcio e poi della polisportiva calcio e tennis. Un giorno però arrivò una brutta botta. Il capitano della squadra, che militava in terza categoria, in un bar alle due di notte si mise d’accordo con quello del Porto Ceresio, una combine per non farsi male. Qualcuno ascoltò le loro parole e fece la spia. Io non ne sapevo nulla. La partita finì tra l’altro zero a zero e venni indagato dal tribunale sportivo, prendendomi tre anni e sei mesi e abbandonando forzatamente la presidenza. Sono comunque rimasto lì fino allo scorso giugno, quando ho rassegnato le dimissioni da presidente della sezione calcio».
Ma tanta passione è stata trasmessa all’altro figlio di Roberto e Chiara, Marco, laureato in scienze motorie, che insegna da tre anni calcio alla Varesina alla generazione 2014, e ginnastica al CFP di Bisuschio.
Roberto Masini e io ricordiamo una Varese scomparsa, quella dei bei negozi, pulita e in ordine: «Anche i mobilifici sono spariti, avevamo Alesini, De Bortoli, Galimberti, allora con le commesse bastava una stretta di mano e quella valeva, oggi si firmano infinite carte che non valgono niente. Ricordo che io, mia moglie e mia suocera cucimmo 600 teli per l’Iper di viale Belforte lavorando di notte. La città è peggiorata, manca la cura di aiuole e marciapiedi, i negozi sono tutti uguali, ma soprattutto sono spariti anche qui i valori, il rispetto e l’educazione. Ma rifarei tutto, sono partito sottozero e qualcosa ho costruito, anche grazie all’aiuto di mia moglie, ancora qui con me a lavorare nonostante sia in pensione. Ho clienti che mi chiamano ancora dopo 30 anni e arrivano da noi i loro figli. Queste, come l’aver forgiato tanti piccoli calciatori, sono le mie soddisfazioni più grandi».



















