È l’ora dei cani incontinenti e dei ciclisti quella in cui decido di rischiare l’apoplessia e uscire lo stesso per la quotidiana sgambata su due ruote, alla faccia dell’incubo tropicale che mi rovina la vita dal 2003, trasformando le estati in infinite consultazioni di Astrogeo, ilMeteo, 3BMeteo, Meteo.it e la MeteoRsi per leggere speranzoso «quando finirà, c’è la data».
La notte è stata quasi insonne, nonostante il ventilatore posizionato ad arte per muovere l’aria stagnante senza averla nel coppino e il deumidificatore acceso nella stanza vicina per creare un minimo di fresco, così verso le sei, imbesuito dal dormiveglia, decido di rischiare la pedalata, il cellulare dice che fino alle 8 per il ciclismo va bene, c’è la faccina verde. Mi bardo il minimo indispensabile e punto sul giro Giubiano, centro, Masnago, Casciago, Montello, Aguggiari e ritorno, una quindicina di chilometri con l’unico strappetto dal Montello, ma è tutto all’ombra e con la bici elettrica è uno scherzo, e poi c’è la discesa verso Varese.
La solitudine dei semafori mi intenerisce, sono lì ogni giorno con qualsiasi temperatura a dare un segnale di vita, in questo caso nel vuoto, ma in zona stazioni appare il primo cane al guinzaglio con proprietaria sciamannata al seguito, è una specie di spinone nano peloso a metà, forse rasato malamente in un impeto di rabbia dalla signora con pantaloni a sbuffo e un simil turbante in capo già alle 6 e 40 del mattino.
«Il silenzio era scalfito solo dalle mie chimere», avrebbe cantato Guccini, e in effetti vado come un treno perché non c’è anima viva in giro fino a piazza Monte Grappa, quando mi affiancano alcuni ciclisti su bici al titanio, silenziosi e fatali. Vanno verso viale Aguggiari, faranno il Sacro Monte, che il sottoscritto scalerebbe in questi giorni forse solo alle tre del mattino, per un bel mille euro e dopo aver ingurgitato una tonificante rossumata. Ma ecco l’incredibile: dopo altri due cani, di cui uno sguinzagliato e defecante con uno strano dondolio del deretano, appare come d’incanto Vito Lorusso, l’uomo che non riposa mai, ora disfatto dal calore notturno del forno e seduto davanti alla sua panetteria sotto il portico di via Marcobi, tenuta bianca da fornaio e pronto a servire i clienti anche di domenica, in qualsiasi stagione dell’anno, con Natale e Ferragosto compresi. Una figura pirandelliana, che leva una mano in segno di saluto e mi domanda dove stia andando in solitaria in quell’ora da disperati. «Se campo, fino a Casciago», gli rispondo, pensando al ritorno di fare una sosta per gustare qualcuna della sue “Buone tentazioni».
Proseguo per Masnago, superato da altri ciclisti questa volta vocianti e più attempati, infatti le biciclette sono ancora quelle dei tempi di Gimondi, eleganti e cromate, cambio Campagnolo e borraccia regolamentare. Sembrano pronti per l’“Eroica” e parlano di un certo Roberto, che non si sa perché sbaglia sempre a cambiare l’automobile, «con l’ultima ha preso un’inc...ata tremenda», riesco a sentire prima che spariscano dietro una curva.
Oltrepasso Masnago, finora si respira ma il caldo sta già montando, dal centro città fino a qui mi avranno sorpassato sì e no cinque macchine, sono le 7,15 quando faccio compagnia per un bel tre minuti abbondanti al semaforo che mi farà svoltare a sinistra per scendere davanti alla chiesa di Casciago, puntare poi verso la rotonda dell’Esselunga e aggirare lo stadio per salire il Montello.
Il piazzale è deserto, e il “Franco Ossola” mi fa tornare in mente quando ero un ultrà in curva a urlare «forza Varese» e a maledire gli arbitri ai tempi di Rampulla-Vincenzi-Arrighi, con Fascetti in panchina e Marotta lì vicino assieme a Colantuoni. Al netto di altri due cani, di cui uno minuscolo con guinzaglio allungabile che costringe la dog-sitter (vista la “noblesse” dell’animale, immagino che la padrona sia già sul bordo di qualche piscina) a curiosi saltelli per non strangolarlo, inizio la salita del Montello e al sommo, proprio di fronte alla scuola Europea, la visione meravigliosa di uno scoiattolo rosso che saltella sull’asfalto e schizza a velocità folle nel giardino di una villa. Dopo il gatto è il mio animale preferito, e lo prendo come un buon auspicio per la giornata, magari è un antidoto per la maledetta gobba del cammello anticiclonico, che quando si piazza non se ne va per settimane, facendo gongolare Sanò e colleghi che sparano nel sito del meteo nomi da gironi infernali per far aumentare il sudore già nella lettura.
Discesa a manetta e un po’ d’arietta, altro semaforo triste solitario y final al termine di viale Aguggiari e ingresso nella città ancora deserta che mi par di essere Pogacar in passerella agli Champs Elisées, mentre il caldo aumenta e alle 8 scarse già ci sono 28 gradi. Cani non se ne vedono, e nemmeno ciclisti, ed è un po’ presto anche per il leggendario Franco Tettamanti, che di solito siede al tavolino del “Bologna” con il “Corriere” in mano quasi ogni mattina che Dio manda in terra.
Arrivo al cancello di casa e davanti alla porta del giardino c’è la Pasqualina che mi aspetta, è un tartaruga-cane che mi segue passo passo alla ricerca della lattuga e ormai mi cura, mentre Ugo il Tartarugo, più fatalista, è immobile al sole con le quattro zampe allungate e la testa ciondolante. Ecco uno a cui piace il caldo. Di colpo mi rendo conto di quello che mi aspetta, 35 gradi, afa alle stelle, casa bollente, nessun rimedio. Non c’è via di scampo, «quasi quasi mi faccio uno shampoo», ma mi sono rasato a zero per il caldo caro Gaber, e poi il phon, ci manca solo quello!