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Storie | 01 novembre 2024, 07:47

Quel viaggio nel mondo sotterraneo al Campo dei Fiori di Luana e Antonio: «Ecco tutte le grotte della nostra montagna»

Luana Aimar e il marito Antonio Premazzi, varesini e speleologi di lungo corso, illustrano in un libro anche al “popolo delle superficie” le meraviglie nascoste di un fantastico mondo fatto di silenzi e attese, cascate e piccoli laghi, cunicoli e pareti rocciose: “Panorami sotterranei: viaggio nelle grotte del Campo di Fiori”

Quel viaggio nel mondo sotterraneo al Campo dei Fiori di Luana e Antonio: «Ecco tutte le grotte della nostra montagna»

Dieci anni di esplorazioni in grotta, un interminabile viaggio nelle viscere della terra per documentare ciò che tutti noi soltanto immaginiamo, un fantastico mondo sotterraneo fatto di silenzi e attese, di cascate e piccoli laghi, di cunicoli e pareti rocciose. Luana Aimar e il marito Antonio Premazzi, varesini, speleologi di lungo corso e istruttori sezionali della sezione Cai di Erba, hanno pensato di illustrare anche al “popolo delle superficie” le meraviglie nascoste del nostro Campo dei Fiori, pubblicando uno splendido volume fotografico dal titolo “Panorami sotterranei: viaggio nelle grotte del Campo di Fiori” (pag. 144, con oltre 130 fotografie, Pubblinova Edizioni Negri), la descrizione per immagini dei circa 50 chilometri di vuoti sotterranei percorsi, a testimonianza degli oltre 200 ingressi di cavità naturali presenti sulla montagna. 

«Una dozzina di anni fa ho incominciato a fotografare in grotta, e con il passare del tempo ho affinato la mia tecnica e le grotte del Campo dei Fiori sono state una palestra. Poi io e mio marito ci siamo resi conto che mancava una precisa documentazione fotografica di queste cavità, così mi sono messa a fotografarle con sistematicità, fino a ottenere un’ampia documentazione. Ho illustrato tutte le principali grotte della nostra montagna, e naturalmente le tre principali, la Grotta Marelli, il Büs del Remeron, l’unica aperta per visite guidate, e la Scondurava», racconta Laura Aimar.

Il libro ha un taglio divulgativo ed è suddiviso in dieci capitoli, con cento grotte visitate e ben 80 sessioni fotografiche a esse dedicate. 

«Ho scattato aiutata da mio marito come tecnico delle luci e da altri speleologi, e i nostri testi, oltre a descrivere sommariamente il sistema carsico e le sue caratteristiche, ripercorrono la storia esplorativa delle grotte del Campo dei Fiori, perché il sistema carsico esiste a prescindere, ma le grotte come le intendiamo umanamente, con un nome, un ingresso, una profondità e uno sviluppo, esistono solo grazie allo sforzo congiunto degli uomini e delle donne che in oltre 120 anni hanno dedicato il loro tempo all’esplorazione speleologica della montagna. Sono un patrimonio di inestimabile valore, ancora più importante se si pensa che, nel caso specifico, l’acqua che scorre al loro interno è captata a uso idropotabile per soddisfare la richiesta idrica di alcune decine di migliaia di persone».

Molto interessante, nel libro, è la storia delle esplorazioni delle nostre grotte, che va di pari passo con quella di Varese: «Tra fine ‘800 e inizi 900 i pionieri furono Carlo Ciotti, che costruì l’albergo Paradiso e scoprì la Marelli (che dopo l’apertura del Grand Hotel “Campo dei Fiori” era visitabile in parte), e il futuro fondatore del Touring Club Italiano, Luigi Vittorio Bertarelli, che esplorò la prima parte della Remeron scrivendo cronache bellissime. Durante il fascismo, invece, si organizzavano vere e proprie spedizioni paramilitari con obiettivi da raggiungere e materiali portati a dorso di mulo. I giornali anticipavano l’avvenimento e nei paesi cresceva l’attesa per la scoperta che, se avveniva, procurava una grande festa popolare. Si raggiunsero risultati sbalorditivi per l’epoca, fu raggiunto il fondo della Scondurava, a 300 metri, cosa che allora la fece catalogare come una delle grotte più profonde al mondo. In seguito ci fu un cambiamento “ideologico” sul modo di affrontare le discese. Fino ad allora le grotte erano considerate soltanto in verticale e si doveva solamente scendere, poi passò l’idea della loro tridimensionalità, per cui furono esplorate anche in risalita, con incredibili scoperte, come la gigantesca galleria, larga 7 metri e alta 30, presente nel Remeron, mai vista perché andava percorsa in risalita. Oggi invece, che possiamo contare su materiale d’avanguardia, la burocrazia limita ogni cosa con la richiesta di infiniti permessi e documenti. Comunque Remeron e Marelli presentano ancora parti tutte da scoprire». 

Luana Aimar cita poi un curioso aneddoto famigliare, che in qualche modo ha segnato il suo destino di speleologa: «Avevo forse quattro anni e i miei mi portarono lungo il sentiero per il Forte di Orino, dove ci sono gli ingressi, protetti da grate, di alcune piccole grotte. Mi aggrappai a una di esse dicendo di voler scendere a vedere, l’avrei fatto poi da adulta. Inoltre, agli inizi del ‘900, la Remeron era aperta alle visite ma non solo, perché nella parte illuminata con lampade a carburo si tenevano messe sotterranee e perfino feste da ballo, e mia nonna mi raccontava di esserci andata alcune volte. Scendere in grotta, insomma, era scritto nel mio dna».

Mario Chiodetti

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