Ovunque vada, è accolto con un abbraccio e, anche se non vuole sentirselo dire, rimpianto perché Claudio Piovanelli non è solo un giornalista della Prealpina (pensione o no lo è anche oggi, nel presente), ma un giornalista capace di raccontare sempre e solo ciò che vede, inappuntabile, dove la virgola è la virgola e il punto un punto, concreto, senza fronzoli, mai un riga in più o in meno del necessario.
E lo stesso si rinviene nei commenti separati dalla cronaca e dalla capacità unica di leggere i fatti o le partite e farle immaginare con il passare delle righe, come se si stesse osservandole alla moviola dal vivo. O nelle interviste, condotte come se fosse un lettore di fronte ai protagonisti, senza filtri o inutili orpelli stilistici.
Mai una parola di troppo, né una fuori posto.
Calcio, basket, ciclismo: lo sport e stato ed è il suo mondo, e lì lo facciamo tornare in questa intervista. Chiedendogli di gettare il suo sguardo chiaro e pragmatico anche sul problema irrisolto per antonomasia, lo stadio. Oltreché sulla città.
Claudio, non senti la mancanza della scrittura e del "racconto" dal campo ma anche della redazione, dove si arrivava nel pomeriggio a disegnare le pagine e si andava via a notte con la copia della Prealpina sporca di inchiostro fresco sulle mani?
Premessa: sono in pensione da 11 anni e sto benissimo. E da quando sono... a riposo, pur avendo scritto non poco, non ho mai percepito un centesimo oltre alla meritata pensione, perché sono convinto che il poco a disposizione in campo giornalistico debba essere riservato ai giovani. A volte ripenso a certe faticacce in redazione, per chiudere in tempo il giornale quando c'era qualche avvenimento serale, e un po' mancano quelle scariche di adrenalina. Ma va benissimo così... Ovviamente tra le cose che mancano c'è il rapporto con i personaggi che ho frequentato ma mi consolo pensando che forse oggi non ci sono più gli spessori umani di un tempo.
Parliamo di calcio: non ti sembra manchino le persone e, a volte, i personaggi alla Sogliano, alla Capozucca, alla Claudio Milanese, alla Peo Maroso? Raccontaci di quei Varese "lì" e di cosa ti (ci) hanno lasciato.
Beh, i Sogliano hanno lasciato sicuramente i risultati: ci hanno regalato, dopo un'eternità, cinque stagioni di serie B, un paio esaltanti e le altre (quando però loro non c'erano più) un po' sofferte ma... tanta roba! Claudio Milanese e Paolo Binda ci hanno messo soldi e passione; purtroppo Claudio Milanese non ha saputo a lungo risolvere una diatriba con se stesso: gli piaceva (un pochino) apparire, ma apparire... non gli piaceva. Alla fine ha prevalso il secondo aspetto; se invece avesse “vinto” il primo e lui avesse continuato con maggiore decisione la sua avventura biancorossa, avrebbe portato anni prima il Varese in serie B e magari anche in A, perché Milanese avrebbe avuto tutti i mezzi, anche economici, per riuscirci. Con Peo Maroso ho avuto uno splendido rapporto personale fatto di stima e di affetto reciproci: mi voleva bene e gli volevo benissimo. Stefano Capozucca è stato ed è un grande professionista, un po' difficile sul piano umano ma anche meno “irsuto” di come poteva apparire a un primo approccio.
La Pallacanestro Varese non ha mai visto intaccarsi la passione strabordante della gente, il palazzetto è pieno se gioca per i playoff o, molto più spesso, per non retrocedere. Perché questa differenza con il calcio, di cui la città sembra perfino poter fare a meno?
La ragione è semplicissima: al di là della tradizione, degli straordinari successi degli anni Sessanta e Settanta, il basket è ai vertici, gioca in serie A; il calcio è in serie D e forse i tifosi non percepiscono lo sforzo per salire a un livello che, non scordiamolo, sarebbe quella serie C per lunghissimo tempo frequentata dal Varese dalla metà degli anni Ottanta sino al ritorno in serie B con Beppe Sannino al timone.
I Mastini sono rinati riaccendendo una passione micidiale con 1.100 persone che riempiono il palaghiaccio facendo registrare spesso il tutto esaurito negli ultimi due anni: come te lo spieghi?
L'hockey è uno sport spettacolare al massimo, anche più del basket. Non sono un frequentatore del palaghiaccio (fa troppo freddo...) ma credo che, in qualche modo, Varese benefici ancora dell'onda lunghissima dei grandi successi di fine anni Ottanta. In fondo, anche in questo sport si è creata da noi una importante tradizione locale.
Il ciclismo che tanto ami pare veder lentamente esaurire la vena della passione, almeno nel numero dei praticanti e dei professionisti, anche se poi c'è la Binda che tutto il mondo ci invidia...
In questo momento storico, al territorio di Varese mancano... i corridori. Abbiamo avuto straordinari campioni che hanno primeggiato a livello mondiale, ricordo che alcuni anni orsono avevamo ben 17 corridori professionisti. Oggi ci è rimasto soltanto Alessandro Covi... E' un problema con molte sfaccettature ma credo che in questo momento la causa principale stia nel fatto che pochi ragazzini si avvicinano al ciclismo e così diminuiscono le probabilità di avere il campione. Teniamoci stretta la “Binda” di Renzo Oldani e dei suoi numerosissimi collaboratori, con la speranza che la Tre Valli Varesine continui nella sua meravigliosa tradizione.
Come vedi la Varese del 2024?
Anche nella valutazione di ciò che viene fatto per la città prevale nettamente l'ideologia, che è diventata ormai il metro generale di giudizio. A me pare che con le due Giunte del sindaco Galimberti siano stati fatti e si stiano facendo lavori di una portata mai vista in precedenza, in netto contrasto con l'immobilismo precedente. Poi i lavori per le stazioni possono piacere o non piacere (mi aspettavo di meglio, spero che venga aggiunto un bel po' di verde...) e può piacere o non piacere ciò che si sta facendo in Largo Flaiano (serve tempo per valutare al meglio il nuovo assetto ma mi pare che il traffico adesso scorra), così come la riqualificazione della caserma, giusto per citare tre opere importanti; ma molte cose sicuramente sono state fatte in questi anni e nessuno lo può negare. Sul piano culturale, basta andare a “scavare” un pochino e si troverà una miriade di piccole, ottime iniziative che forse non vengono adeguatamente reclamizzate ma che a volte sono autentiche chicche preziose; però bisogna impegnarsi a cercarle...
C'è un bando di riqualificazione per il Franco Ossola, due soggetti si sono fatti avanti: cosa pensi della vicenda stadio?
Il “Franco Ossola” rappresenta per la città il problema dei problemi, al limite dell'irrisolvibilità. Ho letto qualche tempo fa di un progetto da 45 milioni di euro per il recupero o per la riedificazione dello stadio. Non sono un esperto di economia né di finanza ma chiedo: diamo per scontato, e non lo è, che i costi rimangano nei limiti preventivati, appunto 45 milioni: ma in quanto tempo chi sborsa questi soldi può contare di recuperarli e di vedere un tornaconto? Quale giro d'affari dovrebbe generare lo stadio perché diventi un investimento produttivo? Purtroppo il treno è passato nel 2005, quando Riccardo Sogliano presentò il suo progetto per uno stadio da circa 10.000 posti; aveva accanto a sé Bobo Maroni e Daniele Marantelli, entrambi entusiasti, e Ricky diede forse la cosa per fatta, per scontata. In realtà a Varese nessuno voleva il nuovo stadio: ricordo che facemmo una tavola rotonda in Prealpina con la presenza dei rappresentanti locali di vertice di tutti i partiti e tutti, nessuno escluso, si dichiararono fermamente contrari, con le motivazioni più disparate.
No, sarò pessimista ma davvero non vedo soluzione a questo problema che diventa, è ovvio, assolutamente condizionante anche per la squadra, perché a nessuno verrebbe in mente di investire nel calcio in una città senza uno stadio agibile a certi livelli. Il Como è in serie A: al di là della maggiore attrattività proprio come città, ha potuto mettere sul piatto uno stadio agibile e l'investitore è arrivato...