Pietro Barbarito, detto l'Imperatore per quel suo magnetismo e la capacità di essere un padre severo ma giusto e un leader altrettanto severo e altrettanto giusto, ma soprattutto per il carisma unico, l'intuizione vincente e la formidabile risolutezza e perseveranza. Presidente da 30 anni del Verbano, imprenditore nel settore della sicurezza costruitosi da sé, appassionato di cavalli come della vita, questa è la sua storia fino ad oggi, con qualche delusione come l'ultima della retrocessione in Promozione, subito superata con quella filosofia e quelle provocazioni che fanno riflettere, lasciando una traccia e un solco indissolubile. Nell'anima di chi, poi, non può fare a meno di ammirarlo e seguirlo.
Presidente-imperatore Barbarito, quando cominciò la sua storia?
Sono arrivato a Besozzo da un paese del Sud nel 1968, avevo 11 anni e mi sono subito trovato benissimo. A 17 anni, grazie ad un mio professore di ginnastica, faccio un provino con il Verbano, e va bene. Felicissimo, arrivo a casa a dare la notizia a mio padre: lui mi risponde che non posso andare a giocare a calcio perché devo aiutare i miei due fratelli più piccoli. Nella mia vita ho sempre sognato, ho sempre avuto lo spirito di intraprendenza, tenacia e volontà, e mi sono detto; "Forse un giorno farò il dirigente", visto che da sempre sono innamorato del calcio. Così è andata entrando in società al Verbano nel 1994 e vincendo il torneo di Promozione, prima di partecipare a 27 campionati di Eccellenza e a due di serie D.
Come è arrivato a essere l'Imperatore del Verbano?
Con la malattia del calcio, la determinazione di affermarmi e di non mollare mai. Ho fatto l’operaio per 17 anni e quattro mesi alla Ignis Ire (allora si chiamava così). Una mattina mentre mi alzavo per andare a fare il primo turno di lavoro, mi sono detto "Pietro, non puoi fare questa vita", così ho iniziato a vendere estintori nei palazzi di Milano e nei negozi. Nel tempo l’attività è cresciuta, ora siamo presenti in tutta Italia nel campo della sicurezza, ed ancora oggi sono in prima linea con i miei dipendenti. In azienda, come nella società calcistica, sono il 12° uomo. Ovvero il trascinatore.
Quest’anno il suo Verbano è retrocesso: come mai?
Purtroppo per gravi motivi familiari sono stato poco presente, alla squadra è così mancato il gruppo ed il presidente motivatore, ovvero il 12° uomo in campo. Però non facciamone un dramma. Di sicuro non lascio il Verbano per la retrocessione: mi spiace per i miei nemici, che hanno avuto un momento di gloria. Un anno storto può capitare. Besozzo, la storia e la vita calcistica vanno avanti.
Una soddisfazione e una delusione di quest'anno.
Soddisfazione: ho giocato tante partite con 10 calciatori giovani fuori quota a differenza degli altri che ne mettevano in campo due. La delusione, nel finale di campionato, sono stati i giocatori.
Come affronterà la prossima stagione?
Continuerò con la politica dei giovani, inserendo qualche giocatore di esperienza.
Lei è un tifoso del Varese: cosa pensa del calcio biancorosso?
A Varese manca uno stadio: il Franco Ossola è cattedrale nel deserto. Poi, sintetizzando, non si doveva lasciar scappare Claudio Milanese, una persona "super eccezionale".
Mancano gli imprenditori nel calcio nella nostra provincia?
Figure come il grande Giovanni Borghi è difficilissimo trovarne, però abbiamo imprenditori con la mia stessa "malattia del calcio". La Varesina e la Solbiatese stanno facendo investimenti con programmazione e determinazione, puntando molto sui settori giovanili. Molte volte non bastano solo i sodi, ma ci vuole competenza, volontà e fiuto nel scegliere collaboratori validi che remano tutti nella stessa direzione, ed un leader che faccia gruppo e coesione.
Lei ha avuto fiuto anche con i cavalli: come va?
Ho avuto la fortuna di vincere tutto quello che c’era da vincere. Adesso in scuderia ne ho soltanto due. Con i cavalli è come giocare alla roulette: fino a quando vinci va tutto bene, ma quando perdi sono dolori, e le perdite si contano con gli interessi. È stata comunque una bella e straordinaria esperienza.
Al Verbano è sempre stato oculato negli ingaggi: perché?
Ho fatto l’operaio, sono imprenditore e vedo gli stipendi dei miei dipendenti e la fatica che si fa a lavorare otto ore al giorno. Non ho mai concepito di dare ai calciatori stipendi doppi o tripli rispetto a un lavoratore per allenarsi 2 ore al giorno per quattro giorni a settimana e per giocare alla domenica.
Ha avuto fiuto a scegliere i giovani giusti: come fa?
Sono sempre andato di persona a vederli giocare e a parlare con loro. Mi sembra che i risultati siano stati buoni, eccetto quest’anno quando purtroppo ho dovuto tralasciare anche questo compito.
Lei è conosciuto per aver esonerato tanti allenatori...
Se i risultati non arrivano bisogna prenderne atto. Poi tante volte sono andato io in panchina e tutti insieme facendo gruppo abbiamo ottenuto ottimi risultati. La storia non smentisce: si può verificare.
Cosa vuole fare ancora nella vita?
Trovare piacere nelle cose che faccio, ovvero lavoro e calcio. Poi ho una famiglia fantastica che mi regala tante soddisfazioni. Per adesso ho ancora tanto da dare con grinta, tenacia e motivazione e pertanto nel calcio ci rimango.
Ha avuto qualche offerta da altre società?
Certo, anche da qualcuna blasonata. Ma sono ancora innamorato del mio Verbano.
Barbarito in politica: manca questo tassello.
E mancherà per molto ancora. Anche se ricevo sollecitazioni in tal senso, non intendo entrare in questo mondo che non mi appartiene e non rientra nel mio carattere.
Cosa consiglia ad un giovane?
Di sognare e avere grinta, passione, tenacia e determinazione. Nessuno ti regala nulla: bisogna saper soffrire e mettersi in gioco creandosi continuamente degli obiettivi. Poi consiglio di osare e credere nel gruppo perché è nella forza dello stare assieme con voglia di fare che si ottengono risultati.