Giovanni Conti ci dà un appuntamento su whatsapp per il primo pomeriggio. Lui vive a Mönchengladbach ed è un Kapellmeister, ovvero uno dei due direttori che collaborano con quello principale nel progettare le esecuzioni di opere liriche, balletti e brani del repertorio sinfonico.
Giovanni è nato a Varese nel 1996 e proviene da una famiglia di musicisti molto nota in città, a partire dallo zio Paolo, grande organista, al nonno Mario, al padre Gabriele e allo zio Lino, fondatore e direttore del Coro “Sette laghi”. Un figlio e nipote d’arte che venerdì 24 novembre alle ore 20,30, alzerà la bacchetta nella Basilica di San Vittore a capo dell’Orchestra dell’Accademia del Teatro alla Scala di Milano, con al pianoforte Alessandro Taverna, uno dei talenti migliori della sua generazione. È il secondo appuntamento della Stagione musicale comunale, dedicato alla memoria di Giuseppe Marzoli.
Il programma è di quelli da far tremare le vene dei polsi, si parla del Concerto n. 5 per pianoforte e orchestra in mi bemolle maggiore op. 73 di Ludwig van Beethoven, il celeberrimo “Imperatore”, e della Sinfonia n. 41 in do maggiore K 551 “Jupiter” di Wolfgang Amadeus Mozart, tra i capolavori assoluti della storia della musica. Giovanni Conti non fa una piega, «con Fabio Sartorelli, direttore artistico della Stagione musicale comunale, si è deciso di puntare in alto, perché questa orchestra, con la “Cherubini” di Riccardo Muti, mette assieme i più eccellenti talenti provenienti dai conservatori italiani», spiega entusiasta.
Cosa si prova a dirigere a Varese e in Basilica?
«Un luogo a cui sono legato da sempre, dove sono stato battezzato e mi sono sposato quattro mesi fa. Lì sono stato organista, ho ricordi legati zio Paolo, a nonno Mario e a mio padre. Potervi dirigere mi dà una grande emozione, ritroverò gli amici, la mia famiglia e potrò mettere a frutto ciò che ho imparato in Germania, lontano da tutti».
Come trova l’acustica?
«È insidiosa, perché cambia molto se la chiesa è vuota o con il pubblico. Piena, il suono si asciuga, ma l’effetto è ottimo, non c’è troppo riverbero, è un luogo ideale per eseguire repertorio con coro e orchestra».
Lei viene da una famiglia di musicisti: chi le ha insegnato di più?
«Senza dubbio mio padre Gabriele, una figura di riferimento. Mi ha accompagnato nel cammino musicale senza regalarmi niente, mi ha insegnato che l’approccio al mestiere deve comportare umiltà e disciplina, perché il ruolo di direttore porta a pensarsi super partes, il primo tra tutti, invece occorre essere al servizio dell’orchestra. Poi zio Lino, del quale ho capito più tardi la grande statura di musicista. Anche nonno Mario mi ha insegnato la tenacia, lui ha suonato l’organo a Santa Maria del Monte e in Basilica fino a 90 anni!».
Non si sente un po’ intimidito a eseguire venerdì due mastodonti della musica?
«Alessandro Taverna è un pianista eccellente, prima di passare da Varese è stato in tournée a Dallas, è un privilegio lavorare con lui, è la prima volta e un po’ di emozione c’è, ed è per me un debutto anche dirigere questa orchestra. Faremo le prove alla Scala, dove stanno allestendo il “Don Carlo” per la prima del 7 dicembre, sarà meraviglioso perché incroceremo i protagonisti dell’opera, dalla Netrebko a Meli».
Quale è stato il suo cammino artistico?
«Il primo approccio è stato casalingo, con papà. Ho incominciato relativamente tardi, in prima media, mentre mia moglie, per esempio, che è violinista, suonava già a 4 anni. Ho fatto un anno di oboe, poi organo e pianoforte con Emanuele Vianelli al Liceo musicale, poi a Como e quindi direzione d’orchestra al Conservatorio di Milano con Daniele Agiman, tre anni meravigliosi in cui ho imparato tutto. Alla fine sono partito per Stoccarda a frequentare un master, e alla fine del primo anno un incontro ha cambiato la mia vita, quello con Riccardo Muti di cui sono stato allievo in un corso estivo di direzione con l’Orchestra “Luigi Cherubini”. Ora a Mönchengladbach sono ogni giorno in teatro, faccio tanta gavetta e aggiorno il repertorio. Abbiamo in progetto per gennaio “Il viaggio a Reims” di Rossini, un’opera complessa che richiede 18 ruoli, ma la musica è celestiale».
Giovanni Conti, lei ascolta i dischi dei grandi direttori? Quali predilige?
«Mi rammarico di non avere qui in Germania il lettore cd, ho una bella raccolta di dischi. Per Verdi i miei riferimenti sono Muti e Abbado, ma anche Toscanini, mentre per Puccini Bruno Bartoletti e Thomas Schippers. Se invece parliamo di direttori del repertorio sinfonico penso a Kirill Petrenko, a capo dei Berliner Philharmoniker, mentre su Teodor Currentzis nutro qualche dubbio, più sull’uomo, che trovo molto istrionico e costruito, che sul direttore, sicuramente di grande valore, anche se trovo non sia troppo attento al legame fondamentale tra suono e parola».
C’è un’opera che vorrebbe dirigere a tutti i costi?
«La Sinfonia Fantastica di Hector Berlioz. Amo alla follia la sua musica, sogno di dirigere “Les nuits d’été” con il mezzosoprano Lea Desandre, francese, e perfetta per il ruolo. Ma anche tutto il repertorio sinfonico corale di Bach. Insomma ci sono troppe cose belle che richiederebbero vite intere per essere comprese a fondo!».