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Calcio | 13 ottobre 2023, 07:40

Dove sono spariti migliaia di tifosi del Varese? Ciavarrella: «C'erano in Eccellenza perché respiravano riscatto, varesinità e i giocatori mangiavano pane e salamella con la gente»

Dai 5 mila per la promozione in D del 2016 ai 500 fedelissimi attuali: come recuperare il pubblico biancorosso? Il presidente di allora: «C'era vicinanza a quel progetto del territorio e per il territorio, tutti insieme volevamo rialzare la testa. Quella squadra era onnipresente a ogni evento. E se l'evento non c'era, lo creavamo noi perché il Varese non era solo al Franco Ossola ma nel cuore della città e in mezzo alla gente»

Domenica 20 marzo 2016: 5 mila tifosi sugli spalti del Franco Ossola per la promozione del Varese dall'Eccellenza alla serie D: quando li rivedremo? (fotoservizio Ezio Macchi)

Domenica 20 marzo 2016: 5 mila tifosi sugli spalti del Franco Ossola per la promozione del Varese dall'Eccellenza alla serie D: quando li rivedremo? (fotoservizio Ezio Macchi)

Dove sono sparite le 5 mila persone che domenica 20 marzo 2016 accompagnavano trionfalmente il Varese dall'Eccellenza alla serie D (vedi la fotogallery di Ezio Macchi) dopo le 1.500 presenze di media a partita e l'invasione dell'esordio a Besozzo con il Verbano e al Mari di Legnano, quando si presentarono in più di mille? E i 1.185 abbonati più i 396 paganti di un mercoledì pomeriggio l'anno successivo in serie D contro la Pro Settimo? Che fine ha fatto il pubblico del Varese, encomiabili fedelissimi a parte? Nelle ultime due stagioni, se va bene, si è toccata quota 500-700 spettatori, stando abbondanti, mentre per ritrovare più di 1.000 persone al Franco Ossola - per la precisione 1.500 - si deve risalire al famoso Varese-Novara con gol di mano ospite del febbraio 2022. Nulla da dire sulla passione e l'attaccamento di chi c'è sempre, in casa e fuori, come a Casale e Sanremo per i playoff di due stagioni fa, ma tutti gli altri dove sono scomparsi?

Abbiamo provato a chiedere al presidente dell'ultimo grande pubblico visto sugli spalti di Masnago come si riuscì a riportare migliaia di persone accanto al Varese e qualche consiglio su come poterli rivedere, un giorno, allo stadio.

Gabriele Ciavarrella, perché venivano migliaia di persone allo stadio in Eccellenza e in D dal 2015 al 2017? 
La nostra era un'operazione di riscatto cittadino dopo la retrocessione dalla B e la scomparsa del Varese 1910. Anche grazie alla partecipazione attiva del Comune, allora guidato da Attilio Fontana, avevamo creato interesse ed entusiasmo con l'aiuto delle importanti aziende del territorio che ci hanno dato una mano durante il percorso. 

Da cos'altro nasceva quell'onda di partecipazione popolare?
Dal fatto che c'erano persone nuove a guidare la società inserite nella città, ognuna con la sua storia, da Enzo Rosa, storico tifoso, a Piero Galparoli, grande motivatore che rompeva le scatole a tutti per il Varese, o al sottoscritto, elemento un po' sconosciuto all'ambiente ma con un seguito di conoscenze e appartenenza. Potevamo essere amati oppure no, ma suscitavamo reazioni appassionate. C'eravamo sempre e le nostre porte erano aperte per tutti.

Qual era il rapporto con la tifoseria?
Ogni attività veniva condivisa con loro. Era stata creata l'associazione dei tifosi, c'era un coinvolgimento totale oltre al terzo tempo, più importante del primo e del secondo, quando la squadra usciva dagli spogliatoi e si fermava a mangiare pane e salamella insieme alla gente. Questo ha creato una vicinanza ulteriore a quel progetto del territorio e per il territorio: tutti insieme volevamo rialzare la testa nel nome della città.

Da dove si può partire per rivedere il pubblico che il Varese si merita, oltre ai fedelissimi sempre presenti che tengono alto il testimone di una fede?
Dalla società e dalle persone che la compongono: possono fare la differenza con l'ambiente. Dall'umiltà del buon lavoro che paga sempre. Dai risultati della squadra, altrettanto importanti: un bravo allenatore, buoni giocatori e le vittorie aiutano i tifosi ad innamorarsi. Dal vivaio e in particolare dalla scuola calcio, dai più piccoli e da chi li cresce. Da personaggi che non vanno certo presentati, ma sono conosciuti e rispettati.

Quella squadra che rapporto aveva con la città?
Era presente a qualunque evento cittadino. Anzi, onnipresente. E se l'evento non c'era, lo creavamo noi pur di esserci e far vedere che il Varese non era solo al Franco Ossola ma nel cuore della città. 

Se giocatori dell'hockey come Perla, Piroso, Vanetti e Michael Mazzacane girano per corso Matteotti vengono riconosciuti. Come fare perché torni ad accadere lo stesso con quelli del Varese?
Bisogna lavorare bene in città, andare in piazza, essere riconoscibili. Se il presidente dei Mastini e chi lo aiuta hanno fatto bene, perché non seguirne l'esempio? Ripeto: le persone fanno la differenza. Chi non conosce Malfatti a Varese?

Altri suggerimenti?
Prendo spunto dalla mia attività professionale e dal metodo che mi sono imposto: essere sempre presente, in mezzo alla gente, e non su un piedistallo, accettando le critiche costruttive e cercando di intervenire per risolvere, laddove si può.

In tanti seguono il Varese nelle dirette dei giornali: il fuoco, sotto la cenere, brucia ancora. Non le sembra?
Sì, io stesso leggo le notizie dei biancorossi grazie alla chat list di Gabriele Gigi Galassi. C'è uno zoccolo duro che segue la squadra ovunque che, però, non riesce a genere un ulteriore entusiasmo e una crescita del pubblico. Se il Varese è una pianta, bisogna partire dalle radici, dunque stimoli e progetti della società devono essere condivisi con la città, confrontandosi con essa e rispondendo in maniera diretta a sollecitazioni ed eventuali critiche o opinioni diverse dalle proprie.

Ricordiamo una cena di Natale dove avevate dovuto dire alla gente che non c'era più posto, con centinaia di tifosi radunati in un locale di Gazzada...
Chi ha costruito la squadra insieme a noi aveva scelto uomini capaci di esaltare il rapporto con i tifosi. Tutti conoscono Marrazzo, Capelloni, Luoni... c'era un radicamento nel territorio ma anche elementi non del territorio, vedi Carmine, capaci di essere trascinatori. Di più: i giocatori erano liberissimi di condividere emozioni e viverle in mezzo ai tifosi e alla curva. Quando partimmo alcuni giocatori non avevano ancora l'appartamento ma, con l'aiuto di Antonella Fidanza, vennero accolti a casa dei tifosi perché tutti si sentivano parte del club e della rinascita. Con il pubblico esisteva uno spirito di condivisione totale.

Non le manca tutto questo?
Porto quello spirito e lo conservo ogni giorno al Life, il mio centro sportivo: mi preoccupo dell'accoglienza dei clienti, penso alle novità e a come fare meglio, mi occupo dei problemi da affrontare. Chi entra qui, vede me. Accolgo ogni suggerimento. 

Un ultimo sguardo al momento dello sport varesino.
Con l'intervento più deciso e certo degli australiani, Scola farà della Pallacanestro Varese una grande società. Le strutture sono fondamentali, basta vedere quanto accaduto con il palaghiaccio: accadrà o dovrà accadere lo stesso con la ristrutturazione del palazzetto e, in maniera diretta o indiretta, del Franco Ossola. L'hockey ha ottenuto risultati giganti e attenzione mediatica con interventi altrettanto giganti dal punto di vista strutturale. Se poi arrivasse anche il centro federale del ghiaccio... Il calcio dovrà sapere produrre coesione con il territorio e le sue forze imprenditoriali - che ci sono e lo vediamo anche non lontano dal capoluogo - perché la città ottenga ciò che, in fondo, vuole: tornare a tifare allo stadio. Perché il Varese è il Varese.

Andrea Confalonieri


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