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Cultura | 15 luglio 2023, 16:37

Valentina Diena e l'arte come conforto e rivolta

La giovane disegnatrice milanese è in mostra in due gallerie della città di Varese. L'intervista di Mario Chiodetti: «La gioia più grande per me è vedere la meraviglia negli occhi di chi guarda le mie opere, dal gallerista al semplice fruitore di mostre»

Valentina Diena e l'arte come conforto e rivolta

Una bottiglia vuota di preziosissimo champagne “Armand De Grignac” può diventare un simbolo di rivolta, trasformandosi in una molotov pronta a essere accesa, almeno nelle intenzioni pittoriche di Valentina Diena, che il “brut” francese dal costo di 300 euro ha riprodotto su carta in maniera magistrale, in un’opera 76x112 dal titolo “Feeling good”.

È uno degli ultimi lavori della disegnatrice milanese nata nel 1996 e laureata in pittura a Brera nel 2015, legata da sempre all’iperrealismo e all’uso di matite colorate, con le quali riproduce oggetti dell’uso quotidiano come scarpe, soldatini di plastica, scacchi, sigarette elettroniche, cavi o telefoni a muro. 

La incontriamo nella sede principale della Galleria Punto sull’Arte, in viale Sant’Antonio 59/61 a Varese, dove ha portato “Icons”, l’ultima opera da poco terminata, un “balloon dog” perfettamente impacchettato con uno scotch dalla scritta “fragile”, dalle dimensioni di 40x40. L’artista milanese espone anche alcune sue opere nella mostra in corso in galleria, dal titolo “<20 15x15/20x20” e ha un quadro in permanenza al Punto Pop di Punto sull’Arte, in via San Martino della Battaglia 3 a Varese. Elegante in bianco e nero, molti piercing e tatuaggi, un ciondolo a richiamare l’amore per i gatti, Valentina parla della sua passione per il disegno, nata, si può dire, con lei.

«Sono stata fortunata, perché ho capito presto, a 15 anni, quale era la mia strada, anche grazie ad alcuni “errori di percorso”. Ho sempre disegnato, fin da bambina e anzi il disegno allora rappresentava un conforto, perché sono sempre stata piuttosto chiusa e riservata, introversa, avevo difficoltà a inserirmi nei gruppi dei miei coetanei. In famiglia non avevo modelli, solo mia nonna paterna, che però abitava lontano da noi, dipingeva. Sono da sempre legata al realismo e ai pastelli, anche se durante il mio percorso accademico ho sperimentato altre tecniche, l’olio e l’acrilico, e diversi metodi di comunicazione, ma sono ritornata sulle mie tracce, certamente arricchita dall’esperienza. Le matite colorate appartengono un po’ a tutti, ognuno di noi le ha usate nell’infanzia, fanno parte dell’immaginario comune».

Lei lavora su grandi formati, e per compiere un’opera impiega anche più di un mese. Il suo è un lavoro certosino, quasi una gara di pazienza con sé stessa.

«Le matite sono molto asettiche, non c’è materia e quindi posso controllare ogni mia azione. Certo, per realizzare un’opera impiego molto tempo, da alcune settimane a un mese e mezzo, come è successo per “Farewell”, in cui ho ritratto un paio di scarpe “Dr. Martens”. Diventa quasi un esercizio spirituale, una sorta di auto controllo della mente, perché a inizio lavoro c’è la frenesia di proseguire rapidamente e alla fine il desiderio di compiere l’opera velocemente. Occorre invece prendere il tempo per entrare a fondo in ciò che si sta facendo e cercare il proprio ritmo di lavoro, e l’esercizio mentale è quello di non aggiungere nulla che arrivi dall’esterno».

Come si costruisce un suo disegno?

«Si parte dalla selezione del soggetto, i miei riferimenti sono fotografie scattate sempre da me. Poi studio le luci per visualizzare il tipo di lavoro da compiere. Nel caso della bottiglia di “Armand De Grignac”, per esempio, il mio interesse era quello di legare due elementi: un prodotto elitario come lo champagne e un simbolo rivoluzionario come la molotov, quindi molto popolare. Gli oggetti ci rispecchiano, non mi interessa fare ritratti alle persone, perché spesso sono proprio gli oggetti a rivelare la personalità del loro utilizzatore più del suo volto. Il nocciolo del mio lavoro è quello di non fare affermazioni, ma invitare chi osserva a porsi delle domande».

Qual è il criterio di scelta di un suo soggetto?

«Mi spinge una sorta di percezione attrattiva, mi attirano i colori, la texture, i riflessi che già immagino disegnati. Scelgo oggetti che mi comunichino matericità, come le pieghe della pelle o del nastro adesivo, il vetro del dispenser, la stessa etichetta della bottiglia di champagne. Lavoro ore e ore sui dettagli. Alcuni oggetti contengono un significato particolare, parte della nostra memoria collettiva, oppure, come nel caso delle “Dr. Martens”, sono un brand riconosciuto, così come il “balloon dog” è un simbolo dell’arte contemporanea, ha un’identità granitica e grande forza comunicativa».

La sua è una tecnica stupefacente, ce la spiega?

«Lavoro con le matite “Caran d’Ache Luminance”, ma non mi creo tabelle cromatiche, scompongo ogni sfumatura e opero tramite velature, livello su livello, e posso correggere o modificare per sovrapposizione. Per un’opera di 1 metro per 70 ci vuole almeno un mese e mezzo, il “balloon dog” l’ho disegnato in 15 giorni. Quando disegno non ascolto musica, ma tengo in sottofondo film o serie televisive già viste, e lavoro preferibilmente di sera, quando tutto è più tranquillo».

Qual è l’opera a cui si sente più legata?

«Direi senz’altro “Farewell”, con le “Dr. Martens”, in cui c’è una verticalità più spezzata. Tra l’altro questo lavoro mi ha fruttato il più bel complimento ricevuto finora, da una persona che ha rivisto nel disegno qualcosa che le apparteneva. La gioia più grande per me è vedere la meraviglia negli occhi di chi guarda le mie opere, dal gallerista al semplice fruitore di mostre».

Cosa fa Valentina Diena quando non disegna?

«Sono sempre molto assorbita dal lavoro, ma amo la lettura, dai saggi ai romanzi di avventura, meno la musica rispetto a quando ero un’adolescente punk».

Come si vede in un prossimo futuro?

«A viaggiare molto, e a cercare il mio equilibrio. Vorrei visitare posti nuovi, entrare in contatto con ambienti artistici diversi, con cui confrontarmi e, perché no, magari stabilirmi fuori dall’Italia».

Mario Chiodetti

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