Ci è voluta una 16enne svedese, Greta Thunberg, per aprire finalmente gli occhi, o almeno cominciare seriamente a farlo, sul cambiamento climatico e lo sviluppo sostenibile, la Sfida - con la S maiuscola - per il futuro del pianeta e di conseguenza dell’umanità. Un’attenzione necessaria, che anche il mondo dell’economia e degli investimenti ha iniziato a conoscere e promuovere attraverso un acronimo di cui si sente parlare da qualche tempo e di cui, soprattutto, si parlerà sempre di più: ESG.
IL CAMMINO VERSO GLI ESG: L’IMPACT INVESTING
Il concetto alla base è quello degli investimenti ad impatto sociale, ovvero investimenti che vengono realizzati con l’intenzione di generare, al fianco di un ritorno finanziario, anche un ritorno sociale e ambientale positivo e misurabile: chi investe, dunque, non lo fa solo per ottenere un rendimento ma anche per conseguire un impatto positivo sulla collettività.
Tradizionalmente, questo tipo di investimenti si rivolge a settori e attività che contribuiscono ad affrontare gravi problemi che riguardano in particolare i Paesi in via di sviluppo: sanità, educazione, alimentazione, infrastrutture, accesso all’energia e ai servizi finanziari di base. Un mercato relativamente giovane, visto che si è iniziato a parlarne agli inizi degli anni 2000.
COSA SONO GLI ESG?
Per “standardizzare” queste pratiche e definire l’approccio sostenibile agli investimenti, sono stati introdotti i criteri ESG, lanciati nel 2004 dal Global Compact delle Nazioni Unite. Sono tre le parole di riferimento, che indicano i fattori essenziali per misurare la sostenibilità e l’impatto etico di un investimento.
E sta per enviromental, che indica l’ambiente, i rischi legati ai cambiamenti climatici, le emissioni di CO2, l’inquinamento di aria e acqua, gli sprechi e la deforestazione messi in atto dagli emittenti di un determinato prodotto finanziario.
S, social, rappresenta le politiche di genere, il rispetto dei diritti umani, gli standard lavorativi, i rapporti con la comunità civile.
G, governance, è relativo invece alle pratiche di governo societarie come la retribuzione dei manager, la composizione del CdA, le procedure di controllo, i comportamenti dell’azienda in termini di rispetto delle leggi e della deontologia.
Come si potrà facilmente immaginare, scegliere investimenti ESG esclude i titoli di aziende che producono armi, sfruttano il lavoro minorile, inquinano il pianeta, creano danni alla salute.
GLI ESG SONO REMUNERATIVI?
Nonostante non sia ancora possibile provare il fatto che inserire i fattori ESG nella costruzione del proprio portafoglio porti a migliori rendimenti, si è finalmente superata la divisione che contrapponeva chi ritiene che il mandato fiduciario degli investitori sia solo quello di massimizzare i guadagni rispetto a chi invece si faceva promoter dei fattori ESG nella gestione finanziaria.
La sensibilità verso pratiche sostenibili è aumentata anche tra i fondi che non hanno un esplicito impegno in questa direzione. Sono sempre di più infatti gli investitori che valutano le proprie scelte sui criteri ESG. Soggetti per cui la performance di mercato positiva delle strategie ESG è importante, ma non è il fattore benefico principale: il vantaggio fondamentale è a livello di immagine e reputazione. Permette, insomma, di apparire bene agli occhi della gente: è questa infatti la risposta del 70% dei 500 investitori istituzionali - fondi pensione, fondi patrimoniali, compagine di assicurazione e fondazioni di varie aree geografiche - ad un sondaggio promosso da Natixis Investment Managers.
Giusto però segnalare quanto emerso da uno studio di Banor SIM in collaborazione con il Politecnico di Milano: per i titoli obbligazionari high yield, i bond associati a buone pratiche ESG hanno registrato performance migliori della concorrenza.
IL GREENWASHING: NECESSARIO MAGGIORE CONTROLLO
Una piccola nota, prima di concludere, su una delle conseguenze dell’aumento di interesse verso queste tematiche: la necessità di una vigilanza sempre superiore sul cosiddetto “greenwashing”, ovvero la pratica di comunicazione adottata da alcune imprese volta a costruire un’immagine ingannevolmente positiva di sé sotto il profilo dell’impatto ambientale, allo scopo di distogliere l’attenzione dagli effetti negativi per l’ambiente dovuti alle proprie attività o prodotti.
EVIDENZE POST-COVID E CONCLUSIONI
Stiamo già assistendo (e, a tutti gli effetti, abbiamo già assistito) ad un importante cambiamento nel comportamento aziendale: tantissime aziende si sono trovate - potremmo in alcuni casi anche dire, sono state costrette - a rivalutare pubblicamente le proprie relazioni con i clienti, i dipendenti, i fornitori e, in generale, la comunità.
Recenti ricerche hanno evidenziato come le società che hanno ottenuto buoni risultati durante la crisi Covid hanno dimostrato punteggi superiori in termini di prodotti, salute, sicurezza e politica della forza lavoro. Così, le aziende che apprezzano veramente le loro relazioni con gli stakeholder saranno in una buona posizione per uscire più forti da questa crisi. Probabilmente questo è solo l’inizio.
In conclusione, se un tempo era considerato semplice “buon senso” investire in qualcosa che fosse sostenibile nel lungo periodo, oggi si avverte la necessità di certificare queste scelte attraverso dei parametri di cui si sente sempre più parlare, per chi investe e per chi risparmia: appunto, i criteri ESG. Per un futuro in cui, al fianco della parola magica “rendimenti”, si affianchi - finalmente e definitivamente - anche l’unica in grado di dare un futuro al pianeta: “sostenibilità”.