Opinioni - 23 settembre 2025, 18:38

L'INTERVENTO - Fermiamo il vento della divisione

Riceviamo e pubblichiamo le parole dell'assessore ai Servizi Sociali del Comune di Varese Roberto Molinari su un argomento di strettissima attualità: «Noi italiani conosciamo bene quali siano i costi della violenza, sia di destra che di sinistra, come arma politica: li abbiamo già pagati più volte. Rifiutiamo questa logica e ricordiamoci che le parole sono macigni...»

L'INTERVENTO - Fermiamo il vento della divisione

Devo essere sincero. Sono alcuni giorni che penso a come poter affrontare e commentare quello che sta succedendo nel nostro Paese dopo la morte, l'assassinio, di Kirk negli Stati Uniti.

Ci sto riflettendo perché le parole sono generalmente macigni e perché  cadere nella retorica e nella strumentalizzazione banale se non stupida è molto facile. Non voglio mettermi a commentare le opinioni di Kirk, esponente di punta di quella corrente non solo culturale che negli USA è andata negli ultimi anni a formarsi in contrapposizione all'altrettanta estremista cultura woke (sinistra liberal) e che ha fatto, appunto, di Kirk il “profeta” del MAGA di Trump tra i giovani.

E non mi interessa neanche, qui, capire quanto Kirk fosse razzista, omofobo, ultra conservatore, tradizionalista, profeta dell'America bianca ed  armata e così via. Né, francamente, mi interessa sapere o capire quanto di Kirk, di ciò  che diceva, propagandava, sosteneva, ne sapessero, prima della sua morte, Giorgia Meloni e Salvini, i quali ci hanno sommerso di retorica in tutti questi giorni.  Dubbi su questo, sul loro grado di conoscenza, se mai l’hanno avuta prima dell’assassinio e della trasformazione del povero Kirk nell'icona del conservatorismo a stelle e strisce, mi rimangono, ma li metto da parte.

E così non voglio neanche entrare in polemica con chi paragona Kirk al reverendo King, profeta, sicuramente lui sì,  dell'integrazione e della non violenza. Lascio a lato di questo scritto tutte questi aspetti ed i miei giudizi. Quello che mi suggeriscono i fatti e le opinioni sentite in questi giorni mi portano a riflettere su due elementi che ritengo dirimenti prima di ogni altro ragionamento. La violenza come strumento politico e il tema della libertà di parola oltre che di opinione.

Questi due aspetti credo siano importanti al di là di ogni confine nazionale o identità politica.

La violenza come arma di confronto politico è un tema che a noi italiani, perché in altre epoche ne abbiamo pagato a caro prezzo i frutti avvelenati, non dovrebbe sfuggire alla nostra memoria, il che non vuol dire esserne  vaccinati. La violenza politica, di destra e di sinistra,  negli anni 20 del secolo scorso ci portò al fascismo e alla dittatura e, in epoca repubblicana, abbiamo pagato con decine di morti e feriti la follia ideologica e stragista dalla fine degli anni sessanta sino agli anni ottanta. Una violenza quest’ultima, di destra come di sinistra dove, entrambe, avevano il loro “album di famiglia” e le loro responsabilità, politiche, culturali e morali. E dove, tuttavia, alcuni hanno saputo leggere quello che succedeva e porsi a difesa dello Stato e della democrazia, emarginando quanti si allontanavano dalla legalità mentre,  altri, pochi, hanno continuato e, in una logica perversa, continuano a riprodurre gli antichi vizi ideologici anche ora.

E dunque, proprio perché il nostro Paese ha già vissuto e pagato i costi della violenza come arma politica, io credo, occorra dire no al vento divisivo che oggi spira negli Stati Uniti e che rischia di contagiare e travolgere l’Europa e quindi anche il nostro Paese.

Dall’America e dal suo Presidente si è alzato un vento divisivo, fatto di parole come macigni, di insulti agli avversari, trattati più come nemici che, appunto, come semplici avversari politici. Un vento che in passato si sarebbe definito maccartista tanto per ricordare un qualcosa di già visto negli States e che, oggi,  sembra riproporsi in maniera ancora più ideologica e intollerante, assumendo anche caratteristiche di vendetta.

Ebbene, quel vento impetuoso che divide la società americana, né amplifica i conflitti, radicalizza gli scontri e le appartenenze, sembra essere divenuto il mantra anche di qualche nostro politico che, a corto di argomenti, la butta in rissa accusando gli altri, quelli che sono i suoi avversari politici, di essere i responsabili della rissa da lui stesso scatenata. Non solo. Assistiamo all’uso spregiudicato della comunicazione, della propaganda sino alla mistificazione della storia, manipolando la verità, i fatti e le tragedie.

Bellissime, al riguardo, le parole del giornalista Mario Calabresi, il figlio del Commissario assassinato a Milano nel 1972, messo nel mirino, prima dalle parole di “Lotta Continua” e di una certa “intellighenzia di sinistra”, compreso un premio Nobel per la letteratura, e poi colpito da pallottole vere, rispetto all’uso strumentale che qualche politico di Governo ne aveva fatto della tragedia che aveva segnato la sua famiglia, negando pertanto, ogni paragone di questi nostri tempi, di questo nostro tempo nel nostro Paese, con il clima ideologico e di violenza in cui maturò l’omicidio di suo padre.

E così mi appaiono ridicole e mistificanti, ancora, le parole sentite, urlate, per richiamare al tempo di oggi l’allora brutale assassinio del povero Ramelli,  già, come se oggi ci fosse ancora chi minaccia e picchia con la chiave inglese, dimenticandosi e forse volendo dimenticarsi, in un tentativo di rimozione, o di dimenticanza colpevole,  che le stragi nel nostro Paese, o che i Fioravanti e le Mambro, tanto per citare qualche esempio, nascono dal brodo culturale della destra radicale, una destra che ha avuto i suoi “maitre a penser”, i suoi cattivi maestri i quali non sono mai stati solo da una parte.

Insomma, tutto questo, per dire che la violenza usata come arma politica va sempre condannata. A prescindere di chi colpisce. E tutto questo per rimarcare con forza che non è con la conta dei morti che si pacificano le menti,  né tanto meno con l’affermazione che i morti non sono tutti uguali, quasi pesandone l’importanza,  se appartengono a  fronti politici distinti.

Noi dobbiamo rifiutare questa logica. Dobbiamo rifiutare il tentativo di far si che chi non la pensa come me diventi un “nemico” da abbattere, da isolare prima e poi  da eliminare. Così come va rifiutato il comportamento di chi, nelle Istituzioni, punta a dividere e non, invece, ad unire. Chi fa politica, chi è nelle Istituzioni ha il dovere di unire, di tenere insieme un Paese e non di dividerlo tra buoni e cattivi a secondo delle convenienze.

E qui mi permetto di introdurre l’altro argomento, quello relativo alla libertà di opinione. E’ un argomento che non può certo ridursi alle poche righe che scriverò, ma che, io credo, ci riguarda tutti anche alla luce di quanto ho scritto poc’anzi.

Le parole, scritte, dette sono macigni. Le parole possono ferire ed uccidere come le pallottole e le bombe. E dunque occorre sempre avere presente all’orizzonte chi e che cosa colpiscono. Se la politica trascende.  Ma non solo lei. Se usiamo le parole per ledere la dignità di chi ci sta di fronte, se usiamo gli argomenti per dividere, separare, per denigrare e esporre al pubblico ludibrio ridicolizzando l’altro, allora, anche queste parole, anche le opinioni diventano violenza e un’ arma per colpire. 

E allora bisogna porsi il problema del limite, bisogna chiedersi se è tutto lecito e se tutte le opinioni sono lecite se poi da queste scaturiscono violenze. Io credo che questo sia il problema della nostra civiltà occidentale. Il problema di chi è stretto tra l’incudine e il martello, tra chi teme la perdita di libertà e i limiti alla libertà stessa. E’ un tema che certamente non è nuovo, ma che, all’interno di una società sempre più liquida, condizionata dai social e dalle fake news rischia di scoppiarci in mano, non aumentando la nostra libertà, ma distruggendola.

Quanti sono i leoni da tastiera che incrociamo quotidianamente? Quante sono le dichiarazioni false che ascoltiamo nei talk? E quante sono le affermazioni verosimili, non verificate, costruite sul nulla, ma che poi scatenano reazioni, scaldano gli animi, generano paura, panico, emotività e intolleranza tra le persone? 

Io penso che tutti, in questa nostra stagione, dove non sappiamo dove rivolgere il nostro sguardo, io penso, tutti debbano porsi il problema delle parole, dei toni con cui si esprimono opinioni e idee.

E penso che questo interrogativo debba essere non solo della classe politica, certamente la più responsabile, ma anche di tutti coloro che, oggi, sono in grado di creare consenso tra la gente. Ne va del nostro saper stare insieme come comunità civile nel nostro prossimo futuro.

Roberto Molinari
Assessore ai Servizi Sociali
Comune di Varese

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