Varesini alle Olimpiadi sì, ma non solo in gara. A Parigi, in questi giorni, c’è anche Roberto Bof, giornalista da anni in prima fila per l’attività e l’impegno nel mondo dello sport per disabili.
Hai fatto tante esperienze in diversi posti nel mondo: come ti sembrano organizzate queste Paralimpiadi?
Organizzate bene, i trasporti sono efficienti. C’è qui gente che ha fatto anche le Olimpiadi, e l’idea è che i disagi siano dovuti al discorso sicurezza, visto che ci sono fermate della metro chiuse per motivi di ordine pubblico e agenti della polizia dappertutto. Io, che di cose ne ho organizzate tante, prima di criticare ci penserei cento volte. Ho girato tanto e sicuramente, con Londra, questa è l’Olimpiade migliore a livello organizzativo. L’unica pecca sono i costi esorbitanti dei biglietti per assistere alle gare, cosa che non capisco. Gli impianti sono comunque pieni, ma si perde un’occasione se si mettono biglietti così cari. Sotto i 15 anni farei entrare gratuitamente, anche perché vedo tantissimi giovani in giro.
Esiste ancora, alle Paralimpiadi, quello spirito olimpico che in molti sostengono si sia perso?
Lo spirito olimpico non c'è più, c’è chi arriva, gareggia e va via… Alcune squadre non sono nemmeno al villaggio, i tempi cambiano. Deve far riflettere quando qualcuno dice di fare Olimpiade e Paralimpiade unite: è un discorso oggettivo, ci sarebbe un numero di atleti troppo alto e quindi troppo difficile da gestire, al massimo si potrebbe fare sono con l’atletica. Lo spirito olimpico c’è ancora a livello di abbracci, penso a quello dopo l’arrivo del triathlon o alla nostra nazionale di nuoto, visto che sono sempre tutti a bordo vasca a tifare.
Qual è stato, finora, il momento che più ti ha toccato di queste Paralimpiadi?
Proprio l’arrivo del triathlon. È stato commovente vedere guide e ciechi che stremati passano il traguardo e si abbracciano all’infinito. Io è la prima volta che vedevo una gara di triathlon e ieri c’è stato tutto quello che si può trovare nello sport. Quando arriva un atleta al traguardo vedo tutta la storia che c’è dietro, chi fa triathlon paralimpico si ammazza per quattro anni per prepararsi. Questi video e queste foto devono essere fatti vedere per capire quanto si può godere a fare da guida per un non vedente. Poi sento sempre parlare di medagliati, ma la stragrande maggioranza degli atleti esce dai Giochi non medagliato, si è fatta il culo come chi vince e ha alle spalle famiglie e associazioni che fanno uno sforzo incredibile.
Si parla tanto di inclusione e di barriere da superare: a che punto siamo realmente secondo te?
Mi sono stufato di dover sempre distinguere. Nel giorno dell’apertura tutti hanno elogiato il discorso del presidente del Comitato che ha detto basta con le divisioni, viva l'inclusione… La mattina dopo ti alzi e il telegiornale francese ti parla in mezzora di guerra e quaranta secondi di Paralimpiadi, titolando “Oggi cinque parasportivi in gara”. Cosa cambierebbe se nello stesso giorno mi facessero vedere Simone Barlaam che nuota prima di Gregorio Paltrinieri se il giorno dopo poi non è cambiato nulla? Non sono nemmeno d’accordo con le testate sportive nazionali che parlano di Paralimpiadi ma poi dalla settimana prossima tornano a parlare solo di calcio per quattro anni. Ritagli la pagina e te l’appendi in camera, ma poi cosa è cambiato?
Parlando dei "nostri", qual è il tasso di varesinità in questi Giochi?
Oltre agli atleti, ci sono i genitori di Martina Rabbolini e qualcuno della famiglia di Arianna Talamona… Le presenze ci sono, sicuramente, mi rendo anche conto che per chi lavora e ha molto altro da fare venire qua e farsi una settimana non è per nulla banale. Il seme della varesinità, comunque, è sicuramente quello piantato dalla Polha. Vedere poi Federico Morlacchi sul balcone che incita i suoi compagni conferma come sia una mosca bianca in un ambiente sempre più somigliante a quello olimpico: Federico è una persona esempio per tutti i bambini della provincia di come si possa entrare in piscina e fare quello che ha fatto lui con la Polha.
Cosa ti porterai dietro da questa esperienza?
Consiglio a tutti di vivere una settimana così, ma non chiamiamo questi ragazzi eroi o esempi, non sprechiamo certe parole. Qui ci sono ragazzi in carrozzina che magari sono per la prima volta all’estero e senza genitori, incontrano persone di ogni nazione, vedono su che carrozzina si muovono gli altri e magari si sentono persino fortunati. Sono giorni meravigliosi, non trovo niente che mi infastidisce, se non leggere i social, su cui l’ipocrisia vince sempre.