Un’esplosione. Vicina e straniera insieme, capace cioè di riportare il tuo palato a una zona di comfort molto lombarda, ovvero a una corposità simile a quella del brodo della nonna, ma anche di scaraventarti a diecimila chilometri di distanza e ai sapori di una storia millenaria.
Sono i segreti del ramen varesino, così come viene servito dallo chef bobbiatese Andrea Ozzella, titolare di My Ramen, graziosa bottega del gusto di via Crispi 76. Di questo locale e di Andrea, un tempo giramondo della cucina alla ricerca di una formazione globale e oggi tornato nella sua città dopo la folgorazione con uno dei piatti simbolo della cucina del Sol Levante, vi avevamo già scritto QUI. Oggi torniamo sul luogo del “delitto”, con le fauci ben collegate alla penna, per raccontare le emozioni dell’assaggio e i “dietro le quinte” di preparazioni che non sono semplici ricette: sono arte codificata in canoni precisi e rigorosi.
Uovo in potenza
Sebbene il ramen sia considerato un piatto unico nella tradizione giapponese, val bene la pena partire da un antipasto per scaldare il motore. Magari due. Anzi tre.
Noi optiamo per le Takoyaki, per gli Yakitori e per lo Ajitama.
Le prime sono delle polpette di polpo, classico esempio di street food che spopola tra le strade delle città niponniche: alla loro base una pastella - con dentro il pesce tagliato a pezzetti e il katsuobushi (scaglie di pesce essiccato, fermentato e affumicato: si tratta di un cardine della cucina giapponese) - fatta friggere e servita calda, in un gioco di consistenze molto divertente tra la croccantezza esterna e la morbidezza interna.
Gli Yakitori sono invece degli “spiedini” di pollo che per essere così morbidi e saporiti richiedono - nella loro apparente semplicità - diversi passaggi da rispettare: «Partiamo dalle sovracosce, disossate da noi in modo da scegliere il taglio più morbido possibile - spiega Andrea - Poi una doppia marinatura di 24 ore in un intruglio di sakè, mirin, soia, aglio e zenzero grattugiati, quindi la spiedinatura, la cottura a bassa temperatura per tenere dentro tutti i succhi della carne e - al momento del servizio - la laccatura con soia e Teriyaki (una salsa dolce con soia, zenzero e zucchero che viene ristretta e così acquista densità ndr). Infine un ultimo passaggio nel forno».
E lo Ajitama? È un uovo, un normalissimo uovo, che però ha il potere di restituirti il sapore di questo alimento in potenza. Anche qui merito dalla marinatura di cui sopra (che gli permette di prendere la sapidità e di far uscire tutta la sua essenza) ma anche di una cottura che lo lascia “scioglievole”: «Rigorosamente sei minuti e 35 secondi - annota lo chef - poi subito nel ghiaccio a raffreddare».
Così fatto l’uovo entra anche nei vari ramen, del cui arcobaleno di colori, odori e sensazioni costituisce uno dei tanti elementi.
La pazienza è la virtù della bontà
Sì, siamo arrivati al dunque. Bacchette da una parte e cucchiaio dall’altra, ci accingiamo ad assaggiarne la variante principale: il Tonkotsu Ramen.
Che è un po’ la Cadillac del ramen: ricco, prelibato, rappresentativo dell’idea che un po’ tutti abbiamo di questo piatto. Ma è anche il più sofisticato e lungo da allestire. Al suo interno la carne di maiale, i noodles, i funghi e le uova, elenco che fatto così parrebbe banale, mentre in realtà la scodella fumante che ti si palesa davanti di banale non ha proprio nulla. E che dietro ci sia un’ortodossia laboriosa, irrinunciabile e richiedente tanta pazienza, lo intendi al primo contatto con il brodo.
La sorsata regala un brio non paragonabile a quelli nostrani, anche se a essi in fondo rimanda. È qui che il cervello collegato al gusto si sorprende e non riesce a capire dove sia finito: gli sembra di essere a casa, in realtà è in viaggio.
Spoiler. Niente dado (vade retro) e addirittura niente sale: la sapidità è un miracolo di tecnica e attesa. Andrea ci fa entrare dentro la ricetta: «La sapidità del piatto viene innanzitutto dal primo brodo usato. Che si fa così. Lascio a bagno gli shiitake (dei funghi simili ai nostri champignon ndr) per una notte, in modo che essi forniscano all’acqua tutta la loro aroma. Poi i funghi vanno da una parte, nel senso che li userò per i vari ramen come condimento, mentre all’acqua ottenuta aggiungo soia, mirin, katsuobushi e l’alga kombu (tra l’altro molto ricca di potassio e fosforo ndr), portando il tutto a bollire a 80° e, successivamente, a un raffreddamento che dura un’intera notte. Tutti questi passaggi danno sapore ed equilibrio».
Contemporaneamente, però, ci sono anche altre strade da prendere, per poi farle ricongiungere tutte nella stessa ciotola: «Prendo i piedini di maiale, li pulisco e li tengo anch’essi a bagno una notte. Quindi li cuocio in tutto per 15 ore: quando l’acqua inizia a diventare bianca, cioè dopo 6-7 ore, aggiungo aglio, cipolle e zenzero, quindi continuo con la cottura. Terminata, lascio la pentola con il coperchio chiuso a raffreddarsi per un’altra notte. Il brodo così ottenuto è il secondo della ricetta».
Due notti e un giorno il primo, due notti e un giorno il secondo: stiamo scrivendo di una cucina lenta, di un cibo che "suda" per diventare quello che poi noi effettivamente assaggiamo. È l’antitesi del fast food, è cura, è conoscenza e applicazione: «La carne che si vede nel prodotto finale è il chashu - continua Andrea - che altro non è che una pancetta di maiale marinata 24 ore (altri tempi lunghi ndr) e poi cotta a bassa temperatura, sempre di notte, con il forno che a un certo punto si spegne automaticamente e, raffreddandosi a poco a poco, dà alla carne una consistenza molto morbida. Manca la pasta: io uso degli spaghetti che arrivano dal Giappone e hanno dentro il kantsui, una parte molto alcalina che va a colmare l’assenza di uovo nell’impasto».
A chi piace di pesce e a chi "veggy"
Il gran finale sta nell’assemblaggio: il primo brodo viene miscelato con il secondo, poi ecco il chashu, la pasta, i funghi shiitake, l’uovo marinato, l’alga nori, un tocco di olio di sesamo a dare un sentore affumicato e ancora un po’ di Katsuobushi. Il piatto è pronto.
Quello descritto non è l’unico ramen proposto dal ristorante: «Abbiamo anche il ramen al pesce - conclude Andrea - fatto con granchi, cozze, vongole, gamberi, totani e naruto, che spesso consiglio per chi vuole avvicinarsi a questa specialità. C’è inoltre anche il black ramen, con il vitello al posto del maiale, e quello veggy, vegano, che sta avendo un grande successo».
Un assaggio e non torni più indietro. Sei in viaggio, anzi a casa.




