Una domanda sciocca, direte.
Ovvio che andrà al coniuge superstite, penserete.
Il Tribunale di Bergamo, con una recente sentenza, si è espresso contrariamente.
La vicenda riguarda una figlia che, sul letto di morte, sfilò la fede nunziale dalla mano del padre. Fede prontamente consegnata alla vedova, che tuttavia immediatamente la ridiede alla figlia affinchè quest’ultima la tenesse quale ricordo del compianto genitore.
La moglie del de cuius, tuttavia, anni dopo, ha promosso azione di rivendica, affermando la proprietà esclusiva della fede dello scomparso.
La vedova ha affermato che, secondo la tradizione cattolica, l’anello nunziale del marito appartiene alla moglie che glielo consegna, durante la celebrazione delle nozze, quale segno di amore e fedeltà.
Quindi, secondo l’attrice, l’anello del marito apparrebbe alla moglie, e quello della moglie al marito.
Il Giudice ha osservato che la vedova non aveva prodotto alcun valido titolo di proprietà tale da giustificare la sua iniziativa giudiziale, non potendosi ritenere tale quello fondato sulla apodittica affermazione secondo cui, dopo la morte della persona, “la fede nunziale appartiene al coniuge superstite e non entra nell’asse ereditario”.
Nemmeno merita alcuna considerazione – così afferma il Tribunale - la circostanza riferita dalla vedova sulle usanze del rito cattolico che, di fatto, dimostrerebbero la proprietà della fede in capo alla moglie che la donò al marito – il giorno del matrimonio - quale segno di amore e fedeltà.
Sul punto, il Giudice, osserva che proprio tali usanze cattoliche, prevedono che le fedi nuziali siano regalate agli sposi dai testimoni.
In ogni caso – in diritto – la fede nunziale a prescindere da chi l’abbia regalata al defunto, entra nella sfera patrimoniale di chi la indossa, alla quale persona pertanto appartiene e la quale persona, per assurdo, potrebbe anche disporne, in vita ed in costanza di matrimonio, a favore di persone diverse dall’altro coniuge.
Ne consegue come l’anello nuziale, in seguito alla morte della persona a cui apparteneva, rientri nel patrimonio ereditario del de cuius e segua la disciplina successoria che viene ad aprirsi per legge.
Nel rigettare la domanda il Tribunale di Bergamo, ha condannato ex art. 96 c.p.c. la vedova al risarcimento dei danni subiti dalla figlia poichè “ha agito in giudizio con mala fede”.
La vicenda, a mio modesto parere, non merita particolari commenti.
Quando un nostro caro viene a mancare, non sono certo gli oggetti che gli appartenevano a ricordarcelo e a farci pensare a lui.
L’esperienza insegna che, troppo spesso, nelle vicende successorie, gli eredi riescono a dare il peggio di loro stessi.
Bene ha fatto il Tribunale a condannare la vedova per lite temeraria.
Se due persone hanno voluto veramente bene ad una che non c’è più, non possono ritrovarsi in un’aula di giustizia per contendersi una fede nunziale.
Eppure, in ogni Tribunale della Repubblica Italiana, pendono cause come questa che altro non fanno che rallentare la giustizia.
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