Gallarate - 24 dicembre 2022, 13:37

Nino Caianiello e il suo Natale: «Penso ai miei affetti. E a chi sta dietro le sbarre»

È stato il mullah, il plenipotenziario, il referente politico in provincia di Varese (versante Forza Italia). Poi l’imputato principale dell’inchiesta “Mensa dei poveri”, condannato. Appena uscito dal carcere, guarda al suo passato, più o meno recente, e al futuro. Ammette: «Ho sbagliato»

Nino Caianiello e il suo Natale: «Penso ai miei affetti. E a chi sta dietro le sbarre»

Nino Caianiello è uscito dalla casa circondariale di Busto Arsizio all’antivigilia di Natale. A lungo uomo chiave della politica in provincia di Varese e non solo (area centrodestra, Forza Italia-Agorà), Caianiello è crocevia di titoli e definizioni che hanno segnato il dibattito pubblico, non solo locale: è stato definito “mullah”, “plenipotenziario”, “referente”. Intorno all’imputato illustre dell’inchiesta “Mensa dei poveri”, quella in cui si parlava delle “decime” (dazioni illecite di denaro) e del ruolo che “il Nino” svolgeva come una sorta di vigile nel regolare il traffico di persone e personalità, di ruoli e posizioni, nell’influire sugli equilibri politici del varesotto fino a sviluppi regionali ed europei, si è generato un vero e proprio lessico. Anche con il termine “ambulatorio”, inteso come luogo fisico o virtuale in cui Caianiello riceveva, rimediava, indicava, dettava. Curava, in un certo senso. Fino all'arresto e alla condanna.

Dove passerà il 25 dicembre? «Con la famiglia. E con un pensiero a mio fratello. È morto mentre ero detenuto». Al Natale e al carcere torna in modo intenso, l’ex mullah: «A Natale si diventa buoni e non è uno stereotipo. Si tratta di cultura e tradizione. Di legami. Il mio pensiero, inevitabilmente, va agli affetti consolidati ma anche a chi sta dietro le sbarre».

Come ha vissuto quel mondo? «Ci sono i volontari, la loro presenza si avverte. Penso, per esempio, ad Agostino Crotti, Associazione assistenza carcerati, e a don David Maria Riboldi, della “Valle di Ezechiele”, il cappellano. Offrono il mondo esterno all’interno del carcere. Se sei stato lì, non puoi dimenticare, credo, quello che hai vissuto e visto. Ho avuto una fortuna: essendo nato in un quartiere popolare, ho doti di adattamento. Il carcere l’ho affrontato. Con sofferenza ma anche con dignità».

Eppure? «Eppure vedi che altri ne hanno anche più della tua, di dignità. E altri ancora si lasciano andare. Mi sono tenuto impegnato, ho sfruttato l’opportunità di camminare tanto. Perché sì, vengono proposte possibilità di vario tipo, dentro. E corsi. Ma la giornata è lunga. Con don David mi sono impegnato anche su pratiche burocratiche per altri detenuti, le ho percepite come una necessità».

La vocazione politica di Caianiello, del resto, è insopprimibile. Non perché pensi di tornare nell’agone (le sue parole, nel recente passato, sembrano inequivocabili) ma perché alle spalle c’è un punto di vista, un modo di vedere il mondo: « A soffrire non sono solo i detenuti, sono anche quelli che in carcere lavorano. Sovraffollamento di ristretti e sottodimensionamento del personale. Il carcerato esce. Chi in carcere lavora, resta».  Un’idea: «Mi è venuto da pensare a una legge per stabilire non la vecchia leva ma un servizio sociale, di cinque o sei mesi, nelle strutture penitenziarie. Così capisci a che cosa puoi andare incontro se fai cazzate. Conosci il mondo. Si vogliono strutture carcerarie nuove? Va bene, ma eliminiamo quelle obsolete. Il carcere non può essere una vendetta sociale determinata dalla paura».

Una sorta di smarcatura, una denuncia di ingiustizia? Risposta netta: «No. Io ho sbagliato. Ho pagato e sto pagando i miei errori, secondo quanto stabilito dalla Giustizia italiana».

La prospettiva ora è quella di un lavoro con Exodus, nell’accoglienza dei cittadini stranieri: «Dovrei essere portato. Ieri sono stato da don Mazzi, ho commentato ancora i miei errori. Ma il processo è partito prima. Il carcere è il momento della verità. Analizzi, ti rendi conto di dove sei. Vedi chi ti è veramente vicino. Per fortuna, di persone vicine ne ho. Il carcere mi ha anche liberato da quelli che mi cercavano solo per convenienza».

Che cosa direbbe a un cittadino di Gallarate (città “epicentro” dell'agire di Caianiello, anche da lì nacque il motto “Non si muove foglia che Nino non voglia”, Ndr)?: «Che non ho capitalizzato i miei errori. E che, a Gallarate, si sono fatte tante cose. Quelle sbagliate, purtroppo, offuscano il bene. Mia madre mi ha insegnato: se fai il bene dimentica, se fai il male pensaci».

Stefano Tosi

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