In località Calcinate del Pesce, a poca distanza dalla sponda del lago di Varese, si trovano, tra campi e serre, tre ettari di terreno ben coltivato e curato. Si tratta dell’Ortobiobroggini, azienda agricola con produzione biologica certificata, ormai ultratrentenne.
Attività a conduzione familiare, è nata nel 1987, quando Massimo e Luisa iniziarono appunto a fare agricoltura biologica. Solo due anni dopo arrivò la prima certificazione e l’apertura del punto vendita.
«Eravamo entrambi abbastanza giovani, per una serie di casualità abbiamo messo su un’attività agricola partendo da zero, senza terra e senza soldi - racconta Massimo - Queste superfici erano considerate troppo piccole per i mezzi che stavano diventando troppo grandi, quindi erano prati diventati incolti. I proprietari hanno sempre avuto un gran timore a dare il terreno agli agricoltori: per questo gli affitti erano inizialmente precari, ma con il tempo si sono confermati».
I danni causati dall’agricoltura industriale, secondo Massimo, erano già visibili negli anni prima dell’avvio della loro attività: «Il passaggio alla lavorazione industriale era avvenuto già tra gli anni ’70 e gli anni ’80, c’era bisogno di sfamare la popolazione. I danni sono enormi, ed erano già manifesti ai tempi: l’inquinamento delle falde, il compattamento del suolo dovuto a una lavorazione troppo aggressiva».
«Abbiamo manifestato un disagio rispetto al modello agricolo dominante, non avevamo però alcun tipo di formazione: io avevo solo la memoria recente dell’agricoltura dei miei nonni, un’agricoltura di buon senso, dove alla terra si dava e dalla terra si riceveva. Un’azienda agricola di una volta aveva le bestie e i seminativi: con i seminativi alimentavi persone ma producevi anche foraggere per il bestiame, che con il letame porta materia prima alla fertilità, quindi era un ciclo chiuso».
Sistema vincente secondo Massimo, che però è stato profondamente modificato: «Oggi è il sistema industriale che dilaga in agricoltura: l’industria parcellizza la lavorazione, ci sono aziende che fanno solo cereali senza sostanza organica, la fertilità a quel punto scende e il concime chimico deve essere sempre aumentato».
Qual è, quindi, il compito dell’agricoltura biologica? Massimo spiega che è quello di «creare le condizioni affinché le piante coltivate possano esprimere al meglio la propria capacità di difesa biologica: attenzione al periodo di semina, alla qualità del terreno».
«Una cosa che non perdono alla chimica è che ha cancellato la memoria agronomica dei contadini: storicamente la selezione delle varietà viene fatta in funzione del luogo, ma la chimica dice “non ti preoccupare che noi ti diamo le sementi e ti modifichiamo l’ambiente”».
La scelta di lavorare con i prodotti biologici è condivisa da altri agricoltori sparsi principalmente sul territorio regionale (ma non solo), con cui, nel 1994 è stata fondata la cooperativa ORTUS, che permette di valorizzare e scambiare prodotti destinati alla vendita diretta: «Noi e altri cinque agricoltori lombardi ci eravamo resi conto che per dare continuità al punto vendita non bastavano i nostri prodotti. Il prodotto che vendiamo è un prodotto di soci della cooperativa».
La forza del punto di vendita diretta, Massimo la trova nella preparazione di chi il cliente si trova di fronte: «La clientela è attenta e curiosa: cerca qua le risposte che le commesse del supermercato non potranno mai darle. Il cittadino si stufa di un prodotto che non sa da dove arriva, non sa chi l’ha raccolto, che difficoltà ci sono state. Il successo della vendita diretta è che di fronte ci si trova una persona che è in grado di rispondere alle domande dei clienti e che ti sa raccontare la storia del prodotto».
Per concludere, non può mancare una riflessione sulla situazione di siccità e sulle condizioni climatiche: «Alcuni parassiti tipici dei climi secchi e caldi si sono presentati qui da noi. Il metabolismo delle piante ha un contraccolpo, poi trovano naturalmente un equilibrio e si fa il raccolto, però è faticoso. E poi ci sono i fenomeni estremi sempre più frequenti: ogni grandinata sei lì a sperare che non tocchi a te».
Su come si affronta una situazione del genere, Massimo risponde dando una velata tirata d’orecchie a qualcuno: «Si affronta alla buona, senza sostegni da nessuno: non ho mai visto un tecnico della regione o del sindacato. Mai venuto nessuno».










