Abuso d’ufficio, turbata libertà del procedimento di scelta del contraente, truffa e falso. Sono queste le accuse che ruotano attorno al caso dei lavori eseguiti alle piscine del Lido della Schiranna, di proprietà del Comune di Varese, tra il 2014 e il 2016, periodo durante il quale Ciro Calemme, principale imputato nel procedimento in corso in tribunale a Varese, ricopriva la carica di amministratore unico di Aspem Reti, la municipalizzata che coprì economicamente le spese - circa 240 mila euro - per gli interventi; spese che secondo l’accusa sarebbero spettate al gestore dell’impianto.
Proprio il gestore delle piscine è stato chiamato questa mattina a testimoniare davanti ai giudici durante l’ultima udienza del processo che vede imputate, insieme a Calemme, altre due persone: il titolare dell’impresa che si occupò degli interventi, divisi in più lotti e assegnati ad un’unica ditta, senza gara d’appalto, e il direttore dei lavori.
Le indagini scattarono pochi mesi dopo l’insediamento della giunta Galimberti e fu proprio il primo cittadino (già sentito in aula), dopo aver effettuato una ricognizione delle municipalizzate e con in mano una relazione sui conti del successore di Calemme alla guida di Aspem, a segnalare le presunte irregolarità alla Procura di Varese.
«Non siamo noi i responsabili per la manutenzione straordinaria», aveva spiegato all’epoca il gestore delle piscine nell’ambito dell’interlocuzione, tramite avvocati, con il Comune di Varese (parte civile nel processo). Concetto espresso nuovamente in udienza, attraverso la ricostruzione dei fatti: la società del teste entra alla Schiranna nel 2014 dopo aver vinto un regolare bando e inizia a gestire l’impianto sportivo. «Con il mio contratto d’affitto - ha sottolineato l’imprenditore - non potevo certo occuparmi degli investimenti e degli interventi di manutenzione straordinaria. Segnalai comunque ad Aspem, appena entrato, la necessità di eseguire delle modifiche strutturali per la messa a norma di alcuni spazi. Le nostre spese, come società, erano limitate al personale, alla gestione ordinaria e all’acquisto di prodotti chimici per le pulizie».
Perché allora risultano fatture emesse dalla municipalizzata in rapporto proprio all’acquisto di prodotti per l’igiene dei locali e delle piscine? Lo ha spiegato l’imprenditore rispondendo alle domande delle parti: «Aspem, essendo una grande azienda, poteva accedere a condizioni di mercato decisamente più favorevoli di quelle che venivano proposte a noi. Per questo delegavamo a loro l’acquisto dei prodotti chimici, poi Aspem tornava a rivolgersi a noi per il saldo di quanto speso. I prodotti che ero solito utilizzare, inoltre, non erano compatibili con i macchinari presenti al Lido».
Al di là della manutenzione ordinaria della piscina («circa 4-5 mila euro all’anno», ha affermato il testimone), nel periodo oggetto del procedimento ci furono anche i già citati lavori straordinari; tra questi, la sistemazione di un tubo di scarico la cui rottura aveva causato l’allagamento dello stabile; e poi ancora il ripristino dei solai del bar ristorante (attiguo alle piscine ma gestito da un altro soggetto, che chiamato a sua volta come testimone in aula ha negato di aver mai ricevuto da Aspem l’incarico di effettuare manutenzioni, specificando di aver affrontato tutta la trafila contrattuale non con la municipalizzata ma con la società che si occupava delle piscine). Anche qui, stando alle dichiarazioni dell’imprenditore, fu Aspem ad occuparsi delle riparazioni, per le quali «non ho mai dato un euro al Comune e il Comune non ha mai intrapreso azioni legali nei miei confronti», ha chiarito il gestore.
I dettagli sull’esecuzione degli interventi e sul ruolo di Aspem all’interno del compendio immobiliare (anche per quanto concerne la nomina dei soggetti giuridici incaricati di gestire piscine e bar ristorante) torneranno al centro del dibattimento nella prossima udienza. L’istruttoria ripartirà in estate con l’esame di altri testimoni.




