Partiamo da una premessa fondamentale: l’esistenza di un giocatore consapevole è diventata sempre più cruciale durante gli anni, da quando cioè la deframmentazione di un tessuto sociale di gamers ha assunto connotati sempre più specifici. Infatti ora che il videogioco è sotto i riflettori delle istituzioni, specialmente da parte di una frangia della cosiddetta videoludica americana, questi viene considerato a tutti gli effetti come un oggetto politico con specifiche risonanze nella società. A questo punto emerge il ruolo di conscious gamer, il quale combatte strenuamente contro le cosiddette demonizzazioni.
Che cosa sono queste demonizzazioni in ambito di videoludica?
Sovente il gioco e il videogioco in particolare è stato oggetto di una campagna mediatica che lo ha posto senza criterio e logica al centro di un numero significativo di problematiche sociali e mentali, una su tutte quella dei cosiddetti hikikomori, termine che in giapponese indica chi sta in disparte, staccandosi dal proprio contesto sociale. Questo tipo di individuo ha scelto dunque di scappare fisicamente dalla vita sociale, cercando livello di isolamento e di confinamento. Le ragioni di tale scelta sono causate da fattori personali e sociali di varia natura. Tuttavia ci sono delle distanze e delle differenze tra la cultura occidentale e quella giapponese, dove un individuo viene sottoposto a grande pressione, molto più rispetto a noi italiani e in generale a un giovane europeo.
Questo concetto è stato trattato in un libro di successo come Ready Player One di Ernest Cline, romanzo fantascientifico e distopico che potrebbe essere uno dei testi simbolo di questi anni dominati dalla pandemia e quindi spesso caratterizzati da videochiamate, chat, conference call e quant’altro. Tornando al concetto di demonizzazione dei videogiochi, il gamers viene oggi additato di qualsiasi male della società in cui vive, fino ad arrivare ad accusarlo di provocare stragi e omicidi, se il gioco è di categoria action, troppo cruenta e quindi violenta.
Lo stesso era successo in epoche passate per un certo tipo di cinema, da quando autori come Stanley Kubrick, Samuel Peckinpah e Terrence Malick decidevano di portare sul grande schermo un’allegoria dove al centro della trama vi erano componenti di tipo violento, nichiliste e abbastanza stilizzate. Il cinema della New Hollywood anni settanta ebbe poi alcuni antieroi che ancora oggi vengono celebrati e ricordati in omaggi come quello del recente Joker, che si rifà a Taxi Driver di
Martin Scorsese, senza dimenticare Dirty Harry di Donald Siegel, con un iconico Clint Eastwood nei panni del noto ispettore Callaghan, ma gli esempi possono essere tantissimi da Walter Hill a John Milius, da John Carpenter a William Friedkin.
Tuttavia il cinema al pari del videogioco ha sempre avuto un ruolo di specchio, visto che combattuto contro i pregiudizi, fin dai suoi albori, quando ad esempio i nemici che bisognava investire in Death Race (1976) furono scambiati per esseri umani, causando una controversia dove il titolo venne messo alla sbarra come potenziale deviatore morale delle menti dei giovani giocatori.
Del resto non bisogna nemmeno andare così indietro nel tempo e nella memoria, visto che il dibattito sul mondo del gioco online è attuale e riguarda svariati campi di interesse. L’esempio più eclatante è appunto quello del gambling online con i digital casino, che non solo il Italia ma anche in altri Paesi comunitari è stato più volte accusato di contribuire a creare patologie nei soggetti che hanno manifestato disturbi come la ludopatia, la febbre per il gioco d’azzardo. Eppure non ci sono grandi connessioni tra le due cose. Il gioco deve essere praticato sempre in modo adulto e responsabile, con estrema attenzione e moderazione. Questo vale però per ogni genere di cose, pur restando un tema controverso e di cui bisogna parlare con ponderatezza senza ledere la sensibilità di chi ha avuto problemi e disturbi legati al gioco compulsivo e patologico.




