Varese - 12 maggio 2021, 10:54

LA LETTERA. Le mamme del Parco Gioia: «Un figlio disabile non è una condanna, ma l'orgoglio di andare oltre le barriere»

Un gruppo di genitori interviene dopo le parole di Tonino Urgesi sui parchi inclusivi: «Non sono luoghi solo per bambini disabili ma in cui tutti possono giocare senza sentirsi diversi. Sbagliato attaccare etichette a una madre quando si parla di questi temi»

LA LETTERA. Le mamme del Parco Gioia: «Un figlio disabile non è una condanna, ma l'orgoglio di andare oltre le barriere»

Sono tre donne, lavoratrici e mamme, come si firmano loro: hanno promosso la raccolta fondi a favore del Parco Gioia, il parco inclusivo di Villa Mylius. E ora ci tengono a rivendicare con orgoglio il loro ruolo e quello di cosa significhi realmente un parco inclusivo. Una presa di posizione che arriva dopo le parole di Tonino Urgesi (leggi QUI), il cinquatasettenne venegonese da sempre attivo per trasmettere la cultura della disabilità, in merito ai parchi di questo genere. Una visione che le mamme del Parco Gioia non condividono. 

Buongiorno Direttore,
siamo Anita Romeo, Emanuela Solimeno e Maria Cristina Dieci. Siamo tre donne, lavoratrici, mamme. Negli ultimi anni siamo state attive sul territorio per aver promosso la raccolta fondi a favore del Parco Gioia, il parco inclusivo di Villa Mylius.

Il suo giornale ha sempre raccontato con attenzione e cura tutto il nostro percorso dalla prima conferenza stampa di presentazione del progetto fino all’inaugurazione, dimostrando grande entusiasmo per quello che stavamo facendo.

Domenica, giorno della Festa della Mamma, sempre il suo giornale ha dato voce ad una persona che ha rilasciato un’intervista dando la sua opinione sui parchi inclusivi generica e fuorviante e ha espresso una posizione discutibile, in particolare sul ruolo delle mamme di figli con disabilità. Ci siamo sentite in dovere di scriverle perché in quell’articolo c’è un pezzo di noi e non possiamo permettere che alcuni argomenti vengano trattati con imprecisione e senza cognizione di causa.

Iniziamo con un chiarimento doveroso: i parchi inclusivi non sono i “parchi per bambini disabili”, come si evince dall’articolo. Non ci sono dei giochi per disabili e altri per non disabili. I giochi sono gli stessi per tutti. Questo è il primo grande fraintendimento.

Un parco inclusivo è un parco dove ogni bambino, indipendentemente dall’abilità motoria, relazionale o sensoriale può trovare opportunità di gioco da solo o con gli altri. Un parco ben progettato prevede giochi multilivello, multifunzione, che favoriscono la relazione e l’interazione. Un parco inclusivo deve soprattutto essere accessibile: ecco cosa lo differenzia da ogni altra area gioco tradizionale. La specifica di parco “inclusivo” fa parte di un percorso, anche culturale, che ci auguriamo porti a progettare ogni area gioco secondo criteri di accessibilità e progettazione per tutti, così come si fa anche con i locali pubblici, le case, i teatri e i musei.

Arriveremo all’inclusione reale soltanto quando non si dovrà più definire un luogo con la parola “inclusivo”, perché la progettazione di tutti gli spazi, urbani e non, considererà automaticamente nelle sue norme l’abbattimento delle barriere architettoniche e sensoriali.

Questa realtà sarà possibile soltanto partendo dal far conoscere a tutti la cultura dell’”altro”, aumentando nei cittadini la consapevolezza che esistono fasce più fragili da tutelare e proteggere come i bambini e gli anziani, con e senza disabilità. Ancora oggi la maggior parte dei parchi gioco comunali vengono costruiti sulla base di un budget, sfogliando il catalogo di un’azienda e scegliendo quelli col costo più basso, invece che progettarli sui reali bisogni dei bambini e delle famiglie con un’idea partecipata, condivisa e consapevole. Possiamo dire che un parco è ben progettato o meno, ma non è corretto contestare un luogo che è innanzitutto sinonimo di civiltà e garanzia di un diritto, del diritto al gioco.

Il Diritto al Gioco ha pari dignità e importanza degli altri diritti nella vita di ogni bambino. Noi ci siamo impegnate per garantire proprio questo perché non vogliamo che i nostri figli con disabilità non abbiano le stesse opportunità dei loro fratelli e sorelle, e degli altri bambini. Vogliamo che il loro diritto allo studio, alla salute, alla socialità, alla felicità siano garantiti.

Per questo motivo non abbiamo lasciato che anche il diritto al gioco restasse scritto su una dichiarazione universale, ma venisse concretizzato. È proprio perché i nostri figli li immaginiamo già adolescenti e poi donne e uomini che insistiamo affinché possano sin da subito uscire di casa, andare al parco con i loro amici, fratelli e sorelle e farsene di nuovi, anche senza avere sempre la mediazione di mamma e papà.

Il giorno della Festa della Mamma, una ricorrenza importante, ma piena di contraddizioni e luoghi comuni, leggiamo sul vostro articolo questa dichiarazione: “Sono le mamme a chiedere i giochi inclusivi. Io capisco le loro difficoltà, la loro lotta psicologica, una donna che partorisce un figlio disabile è frustrata, sola, delusa”. Dare spazio a questo tipo di narrazione non fa altro che contribuire ad alimentare quel terribile luogo comune che in questi anni ci siamo impegnate a contrastare.

Essere genitore non è mai un percorso facile, essere genitore di un figlio con disabilità può comportare ulteriori fatiche pratiche ed emotive; non ci nascondiamo dietro un dito, ma attaccare tutte queste etichette alle madri lo troviamo totalmente scorretto e infondato. Anche questo concetto della fatica psicologica, quale intento può avere un messaggio di questo tipo? Che avere un figlio disabile sia una condanna? Leviamoci questo stigma una volta per tutte. Se si vuole fare cultura sulla disabilità dobbiamo guardare al presente e al futuro.

Dire che avere un figlio disabile è una lotta psicologica è quanto di più falso, diseducativo e anacronistico possa esserci. Si continua a perpetuare un messaggio sbagliato. Vogliamo mostrare un modello diverso ed autentico da quello che è stato raccontato per decenni, sebbene riconosciamo che anni e anni di narrazione sbagliata sulla disabilità possano aver prodotto questa idea di frustrazione, solitudine e delusione. Non è più così, non vogliamo più raccontare così la disabilità, neanche noi madri. Vogliamo che i nostri figli abbiano un posto nel mondo e dare loro e a chi li circonda gli strumenti per poterlo fare. Non è facile, ma ci stiamo provando con tutte le nostre forze anche cercando di levarci di dosso certi luoghi comuni o credenze che sono da superare.

In questi anni sappiamo di non aver contribuito solo a realizzare un parco (possiamo anche non chiamarlo inclusivo anche se rende il concetto comprensibile): abbiamo anche cercato di far vedere la disabilità con altri occhi, con quelli di madri che guardano i loro figli come figli e non come disabili, e per questo vogliono rendere la loro vita il più semplice e normale possibile, e con gli occhi dei nostri bambini che vogliono e devono essere trattati come persone, oggi e in futuro.

Grazie per l’attenzione.

Anita Romeo, Emanuela Solimeno, Maria Cristina Dieci
orgogliosamente MAMME del Parco Gioia

Redazione

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