Disse un giorno chi gli voleva bene, e ne voleva a personaggi tutti d'un pezzo come lui, che Felice Gimondi aveva qualcosa di Sandro Pertini e qualcos'altro di Dino Zoff. Cioè un'impatto, una cadenza e una presenza che non si possono misurare a parole, a vittorie o ad età ma soltanto standoci di fronte. Lasciava una traccia anche in bicicletta, un'ombra anche all'ombra, una scia di umanità raramente riscontrabili nel mondo dello sport, anzi nel mondo.
Gimondi, o Gimondì come lo chiamavano i francesi soggiogati dalla sua classe e dalla signorilità, se ne è andato a 76 anni per colpa di un malore mentre faceva il bagno in Sicilia a Giardini Naxos, dov'era in vacanza con la moglie Tiziana: vani tutti i soccorsi.
Nato a Sedrina, era l'emblema di Bergamo, al pari dell'Atalanta, per quel suo innato pragmatismo, per quella sua capacità di racchiudere in maniera totale garbo, secchezza e perfino bontà d'animo. Era tutto ciò che si può chiedere a un ciclista (vinceva in salita, a cronometro, in volata) e a un uomo: parlava soltanto quando contava farlo, lasciando il segno. Non era anticonformista né conformista: seguiva soltanto la sua testa, la sua coerenza, la sua saggezza e la sua visione delle cose d'altri tempi, bei tempi.
Il quotidiano francese L'Equipe, che lo sta ricordando al pari di un presidente della Repubblica o di un cavaliere mondiale dello sport, ha scavato più in profondità della semplice statistica sottolineando che nel 1968, dopo essersi aggiudicato la Vuelta, divenne il secondo ciclista di tutti i tempi ad aver vinto i tre grandi giri (Tour 1965, Giro 1967-68-76) insieme ad Anquetil: oggi questi campionissimi sono sette.
Gimondi, scrivono i francesi, è stato uno dei più grandi rivali di Eddy Merckx: questo gli è valso lo status di idolo («Gimondi était l'un des plus sérieux rivaux d'Eddy Merckx, ce qui lui valait un statut d'idole»). Ma non sono nemmeno il Mondiale a Barcellona '73, la Milano-Sanremo, la Roubaix, i due Giri di Lombardia, i due campionati italiani, il record di podi al Giro (3 primi, 2 secondi, 4 terzi posti) a lasciare in tutti questa sensazione di vuoto incolmabile di fronte alla scomparsa di Gimondi.
E' l'idea, purtroppo impossibile, che fosse impossibile arrivare al giorno in cui perfino Gimondi diventasse mortale. Lui che in bicicletta, e nella vita, sembrava danzare in frac e cilindro per l'eternità. Con una nonchalance, un'autorevolezza e una sapienza davvero immortali.
Immortale come la fotografia a cui diceva d'essere più legato, poiché gli provocò un dolore mai superato: Champs-Élysées 1998, il braccio di Felice alza quello di Pantani che vince il Tour 33 anni dopo di lui.
Gimondi considerava davvero il Pirata come un figlio: siamo abbastanza certi che in questo momento gli starà facendo un bel discorsetto, prima di abbracciarlo come avrebbe voluto fare dal giorno di San Valentino del 2004.




