Calcio - 26 maggio 2024, 14:12

Max Di Caro: «Il sogno di una vita per chi fa calcio? Ricevere la riconoscenza di giocatori e tifosi avuta da Percassi...»

Il titolo della stagione per il direttore generale della società rossoblù: «Con la Varesina succede sempre di tutto». Il voto alla stagione e il prossimo campionato: «Siamo stati una goduria, quindi 8,5. Cerchiamo talenti che non hanno ancora trovato la scintilla come è accaduto a Orellana, Vitale e allo stesso Manicone. Le stesse cose non si ripetono: dobbiamo restare sulla strada tracciata, cioè un calcio che offende, evolvendoci. Dobbiamo provare a fare meglio cambiando». La serie C? «Obiettivo da prendere nel tempo, con idee e giusti investimenti, anche sullo stadio, senza spendere i milioni». La vittoria di oggi: «Vedere riflessa sul campo la mentalità di presidente, società e allenatore». E quella più grande del futuro: «Se qualcuno un giorno vedesse in me senso d'appartenenza totale e dicesse, come hanno detto al presidente dell'Atalanta: "Quell'omino là si merita tutto questo"»

Max Di Caro, direttore generale della Varesina, e la fonte della sua energia e della sua forza: l'indimenticabile nonno Umberto Belletti (foto Enrico Scaringi)

Max Di Caro, direttore generale della Varesina, e la fonte della sua energia e della sua forza: l'indimenticabile nonno Umberto Belletti (foto Enrico Scaringi)

«Mi viene la pelle d'oca soltanto a parlarne perché a Bergamo non hanno costruito solo una squadra forte, un modo di giocare che va al di là di tutto e tutti, ma anche un senso d'appartenenza totale tra territorio e tifoseria rappresentato dal presidente Percassi. I giocatori e i tifosi dopo la vittoria in Europa League lo guardavano e dicevano: "Quell'omino là si merita tutto questo". Se in un futuro uno dei miei dovesse mai dire questa cosa di me, significherebbe che ho vinto davvero»: potremmo iniziare e già concludere qui l'intervista, cioè dell'ultima frase e dall'ultimo sogno, il più grande, di Max Di Caro, direttore generale della Varesina, perché racchiude la sua capacità di farsi emozionare ed emozionare. Se c'è una strada da seguire per amare il calcio nel modo più puro e viscerale possibile, Max l'ha scoperta ed è racchiusa anche in queste parole. Che fanno scalare le montagne, anche quando la discesa si trasforma in una salita, e viceversa.

Max Di Caro, cosa resta alla fine di questa stagione conclusa al quinto posto, in finale playoff e in semifinale di Coppa Italia dalla Varesina?
Resta la realizzazione di tutto ciò che ci eravamo prefissi a inizio anno, anzi siamo andati oltre. Sapevamo di avere una squadra molto giovane e, per scelta, di non avere una rosa lunga: servivano le persone giuste al posto giusto, e le abbiamo avute. Le chiamate di questi giorni a direttori, allenatore e calciatori lo testimoniano: è passato anche all'esterno il messaggio di ciò che abbiamo fatto.

Qualcuno ha detto: se foste usciti prima in Coppa (a proposito: il Gavorrano, che vi ha eliminato, ha vinto ieri l'andata della finale in trasferta a Trapani 1-0), sareste arrivati ancora più su in campionato.
No, per la nostra crescita è stato importante fare esperienza contro squadre forti, più strutturate e più ricche in Coppa. Anche perché abbiamo visto ciò che ci resta da fare e dove migliorare come società per arrivare a un livello superiore.

L'anno scorso aveva detto che è stata una stagione da 7. Questa invece?
Almeno da otto e mezzo.

Avete pensato di poter vincere il campionato?
Sì, ma lo sport è questo e alla fine ti restituisce ciò che meriti. Se non abbiamo mai perso con il Piacenza, passando al Garilli, ma non abbiamo neppure mai vinto con il Caldiero significa che meritavamo di fare questo percorso e raccogliere ciò che abbiamo raccolto. 

La partita simbolo?
La semifinale playoff con il Piacenza è la fotografia di quello che siamo stati durante l'anno: vinci 3-1 facendo una partita incredibile, in 2 minuti prendi 2 gol e sembra che il mondo ti crolli addosso, poi hai una reazione d'orgoglio appoggiandoti sui tuoi giocatori di talento e sul coraggio del mister che a un certo punto schiera 5 punte e passi al Garilli. Ecco, noi siamo questi. Poi abbiamo fatto altre imprese: con la Clodiense, snaturandoci e difendendoci come non abbiamo fatto, con l'Arconatese in casa senza mezza squadra ammalata... Questa squadra ha fatto cose fantastiche. 

Un titolo per l'annata?
Con la Varesina succede sempre di tutto. 

Spilli ha sempre detto che la Varesina prende troppi gol...
Ma va, è l'apparenza. In realtà è un po' un esteta come noi, anche perché è un'ex punta. Abbiamo fatto più di 80 gol tra campionato e Coppa: possono dirmi quello che vogliono, ma è stata una goduria. Vincere 1-0 è bello, ma è più bello trovare una squadra che ti fa godere allo stadio. Come l'Atalanta. Se in D capita di andare a vedere delle partite e dire "cos'ho fatto di male per essere qui", con noi non è mai successo.

Dopo quest'abbuffata di gol e gioco, cosa dovrete fare nel prossimo campionato?
Non dovremo snaturarci, anche perché soffriremmo molto dopo quanto abbiamo vissuto. Dovremo rivedere certe situazioni e sostituire alcune individualità: chi arriva qui deve sapere cosa lo aspetta, qual è il contesto e qual è la sfida che si ha davanti alla Varesina.

Qual è l'errore da non commettere?
Credere che le stesse cose possano ripetersi. È come se volessi trovare un altro Orellana o un vice Guidetti: sbaglierei a cercarli e a volerli... semplicemente perché non ci sono. La cosa giusta è restare sulla strada che abbiamo tracciato, cercando di offendere e divertire, evolvendosi. Dobbiamo provare a fare meglio cambiando ed esaltando ancora il contesto, anche perché se resti identico a te stesso, ti prendono le misure. Certo la nostra vocazione è chiara e già lo era anche nella stagione precedente a questa, altrimenti non avremmo vinto 4-1 il derby. Insomma: non saremo mai il Desenzano che, pur fortissimo, vince le partite con le ripartenze. Certo, a Villa Valle o in certi campi del girone A troveremo anche squadre così, e dovremo saperle affrontare. 


Alcuni di questi giocatori andranno in categoria superiore, vedi Orellana e Vitale.
Spero per loro che sia così: abbiamo 2-3 elementi con richieste dalla C, spero che alla fine non siano 6 o 7 quelli che andranno via tra tutti quelli che vorremmo tenere.

Come avete scovato Orellana?
Con il mister e mio fratello Matteo andiamo a vedere Sangiuliano-Vis Nova tra i milanesi che vincono e ipotecano la C e i monzesi che stanno retrocedendo. La Vis Nova aveva due diavoli come Orellana Cruz e Fall, poi andato alla Giana: abbiamo provato a prenderli tutti e due, dopo che Scandola e Micheli ce ne avevano già parlato. La bravura della Varesina è stata quella di vincolare Marcelo e credere in lui anche l'anno scorso quando non aveva fatto così bene. E l'ha fatto perché personalità e qualità morali non gli sono mai mancate: quando il mister lo lasciava fuori, lui aveva sempre la reazione giusta.

Dove può arrivare?
Un trequartista che fa 13 chilometri a partita, con quella qualità può arrivare in serie B. In D è primo per dribbling fatti, primo per falli subiti ma anche decimo per palloni recuperati dietro a 9 mediani o difensori centrali... 

Un consiglio che gli ha dato?
A Marcelo ho solo detto: ricordati che sono le tue scelte a determinare il tuo percorso. Quando mi vengono a dire che un giocatore è penalizzato perché dal procuratore sbagliato, rispondo che il procuratore se lo sceglie il giocatore. Gli ho anche detto che qui avrà sempre una famiglia: quando avrà bisogno di un consiglio o una dritta, io, Damiano, il mister e la Varesina ci saremo sempre.

E Vitale?
Vincenzo magari era stato in società che lo hanno sminuito, è arrivato per la prima volta al nord, a costo di sentire un po' la mancanza del "suo" calcio del sud e si è rilanciato alla grande anche grazie al mister. Ho visto pochi giocatori con il suo motore in serie D, con quel passo d'altra categoria: quando parte infiamma la gente. Un altro così esiste e lo abbiamo noi: Sali. 

Punterete ancora su giocatori come loro?
Sì, perché ci piace. Sarà più facile convincere talenti che non hanno ancora trovato la scintilla per emergere sapendo che alla Varesina c'era Orellana, c'era Vitale, c'era o c'è Manicone che ha fatto 12 gol e prima veniva magari considerato un oggetto misterioso, c'è Sali che è un prodotto del nostro settore giovanile: qualcuno, anni fa, diceva che Giacomo non avrebbe potuto giocare nemmeno in Eccellenza... 

A proposito di uomini importanti: c'è Amoabeng.
Giocatore particolare che potrebbe essere di un'altra categoria, deve crescere nell'applicazione in allenamento. Per come giochiamo noi con grande coraggio, nell'uno contro uno anche in difesa (fantastico il duello con Paloschi del Desenzano nella finale playoff, ndr) lui dà velocità, esplosività, tecnica.

I giocatori si rendono conto che per fare la differenza i pezzi devono incastrarsi alla perfezione un po' per l'aria che si respira e il posto in cui sei e un po' perché tutte le altre pedine, oltre a te, sono al posto giusto?
Quando sei giovane, e lo sono stato anche io, sei un po' egoista e pensi anche giustamente prima a te stesso che a quello che ti circonda. Invece è il contrario: il posto e le persone giuste accelerano la crescita. Andiamo ad alti livelli: Scamacca magari all'Inter sarebbe stato uno dei tanti e non avrebbe potuto crescere così velocemente, all'Atalanta è diventato uno dei migliori. 

In stagione è girata la domanda che piomba sempre su tutte le piazze quando il traguardo sembra più grande di loro e di quello che è: "Ma la Varesina vuole davvero salire?".
Quando mi è arrivata questa voce, sono entrato in spogliatoio e ho detto: "Se saliamo, tiro giù lo stadio in una notte e lo ricostruisco in due mesi"... Il giorno abbiamo segnato 3 gol sul campo della Real Calepina. Se fossimo saliti, avremmo passato un'estate di fuoco ma avremmo giocato in serie C: ci stavamo già muovendo anche per l'impianto... Non siamo dei folli: se vinci il campionato di D, il più difficile da vincere, non tiriamo i remi in barca perché non abbiamo lo stadio. 

Quindi, la serie C è un traguardo?
Sì, lo è: senza fretta e senza pressioni. Per questo abbiamo firmato contratti triennali con il direttore Micheli e con l'allenatore Spilli. Il campionato di quest'anno ci ha fatto capire che se lavoriamo in un certo modo, possiamo arrivarci senza spendere milioni. Con il lavoro, con le idee. Con le strutture: se vogliamo fare la C qui, investiremo per adeguare lo stadio, ma anche sul settore giovanile. 

In che modo?
Quando perdi 20-25 giocatori all'anno perché passano nei professionisti, non è facile rimpiazzarli. Ma noi abbiamo anche ragazzi che magari ci mettono un po' a maturare e che lo stesso grande club o non "coglie" subito per le loro potenzialità o ci lascia da crescere, e su cui possiamo lavorare. Dovremo alzare il livello del settore giovanile: non dal punto di vista dei risultati (siamo arrivati secondi e alla fase finale con la Juniores, secondi e finale regionale con l'Under 17, secondi con l'Under 15) ma della capacità di portare più giocatori in prima squadra, a costo di qualche piazzamento finale in meno.

Se la Varesina ha un suo modello, qual è l'errore da non commettere?
Sentirci arrivati. Dobbiamo ripartire sempre con nuova energia per migliorarci, sia dopo una finale persa come ci capitò nei playout che dopo una stagione come questa. 

Come ha vissuto quest'annata suo padre?
Con gioia. È una grande soddisfazione per me e per Matteo vederlo così contento durante le partite perché la squadra gioca bene, si impone e fa tanti gol. Noi abbiamo vinto in questo, nel vedere riflessa sul campo questa mentalità del presidente, dell'allenatore e della società. Abbiamo costruito un gruppo che ci ha fatto stare bene, anche se ci ha portato via tempo, lavoro e famiglia. 

Ha dentro una grande passione per il calcio: qual è la soddisfazione più grande che potrebbe o vorrebbe mai provare?
Noi facciamo calcio senza secondi fini e quindi non certo per guadagnare qualcosa, anzi, né per metterci in mostra. Ci anima la passione e la voglia di stare bene in quello che facciamo. Il pallone per me è un fuoco che arde e che mi spinge a fare sempre meglio. Vedendo l'Atalanta vincere l'Europa League, c'è una cosa che mi ha colpito moltissimo: nessuna fiera della banalità, emozione purissima ma, soprattutto, la riconoscenza nei confronti del presidente e dell'ambiente. Mi viene la pelle d'oca soltanto a parlarne perché a Bergamo non hanno costruito soltanto una squadra forte, un modo di giocare che va al di là di tutto e tutti, ma anche un senso d'appartenenza totale tra territorio e tifoseria rappresentato dal presidente Percassi. I giocatori e i tifosi lo guardavano e dicevano: "Quell'omino là si merita tutto questo". Se uno dei miei dovesse mai dire questa cosa di me e di noi, significherebbe che ho e abbiamo vinto davvero perché vorrebbe dire che tutti qui giocano per qualcosa che va oltre, per un ambiente e per una terra. Per questo non esiste cosa al mondo più bella del calcio. 

Come farà Max Di Caro a passare una domenica senza calcio?

Il calcio c'è: gioca il Magenta di Lorenzi e Salese nella semifinale d'andata dei playoff d'Eccellenza che mettono in palio la promozione in D e io sarò là.

Sicuramente starà puntando qualcuno.
Chi lo sa.

Andrea Confalonieri


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