Varese - 04 aprile 2024, 07:00

Nei nostri prati c’è un tesoro verde che dà sapore alla vita: dalla cicoria alla mentuccia, viaggio tra le erbe selvatiche del Varesotto

A zonzo nei nostri prati per raccogliere piantine aromatiche: a primavera la natura ci regala sapori e ricordi. Ecco allora il nostro giro nei campi tra crescione, erba cucca, asparagi selvatici, lingue di cane e tante altre primizie che il nostro territorio ci offre

Nei nostri prati c’è un tesoro verde che dà sapore alla vita: dalla cicoria alla mentuccia, viaggio tra le erbe selvatiche del Varesotto

Si partiva sulla 500 della mamma, di solito dopo pranzo, e rigorosamente il mercoledì, perché quello era il giorno in cui era pronta la formaggina, una prelibatezza, la regina dei companatici, una festa del gusto accompagnata alla polenta fumante. La fattoria era dalle parti di Bosto, la mandavano avanti tre generazioni di donne, nonna, madre e figlia, qualche mucca in stalla, galline, conigli e oche, campi e prati fino al torrentello, una grande cucina con il camino dove la formaggina acquistava quell’impagabile sentore di affumicato che deliziava i nostri palati. Sulla tavola della mia famiglia era un classico: polenta e uova, polenta e latte e polenta e formaggina, da bambini non si pensa al colesterolo, si mangia e basta, e oltre alla “regina” bianca e profumata, con quella superficie dentellata che riproduceva la forma del colino, mamma acquistava le uova e la verdura e sedeva una mezz’oretta in cucina con le contadine, a “contarla su”. 

Avevo sette o otto anni, correvano i Sessanta, non ricordo il nome della più giovane delle tre donne, facciamo finta si chiamasse Maria. Lei mi portava in stalla e mi faceva accarezzare le mucche, che ovviamente avevano un nome, ma un giorno di primavera mi consigliò di andare nel “campo lungo” a cercare il crescione, che mi aveva mostrato perché imparassi a distinguerlo. 

Ebbi così il mio battesimo di botanico in miniatura, trovai qualche pianticella di crescione, vicino all’acqua del torrentello, e subito la odorai, come mi aveva consigliato Maria, per riconoscerne il profumo di senape. Ritornai alla fattoria con un discreto bottino, perché oltre al crescione avevo colto un bel po’ di tarassaco, che conoscevo bene perché spuntava anche in giardino. Il crescione (Lepidium sativum) è fantastico nell’insalata e nelle zuppe, alle quali va aggiunto solo a fine cottura per preservarne l’aroma. È rinfrescante e ricco di vitamina C. 

Maria era felice che l’avessi trovato e mi mostrò anche un’altra piantina aromatica che stava incominciando a spuntare, la borragine (Borago officinalis). Ne parlava con mamma e le consigliava di utilizzarne i fiori e le foglie più tenere nell’insalata, quelle più larghe nella zuppa oppure nel ripieno dei ravioli. La borragine è ricca di vitamina A, B6 e C oltre che di potassio, calcio e fosforo, e in erboristeria è usata per calmare le tossi insistenti. 

Sono cambiati tempi e abitudini, da anni la fattoria ha lasciato il posto a villette a schiera, il sapere contadino si è perduto, sono sparite le nonne come quella di Maria, depositarie di segreti culinari ed erboristici, e mai più riuscirò a trovare la formaggina fatta come allora, sul camino, tra una chiacchiera e l’altra. Però mi è rimasta la curiosità di andare nei campi a raccogliere le erbe di primavera, quelle che danno all’insalata la ragione di esistere e depurano il fegato dalle scorie invernali. 

Il principe dei toccasana è il tarassaco (Taraxacum officinale) che va raccolto nei campi lontano dalle strade ed è riconoscibile dal fiore giallo che si trasforma nel popolarissimo “soffione”. Questo “girasole dei prati”, con le foglie dal sapore amarognolo, è ottimo nelle insalate ma anche cotto in minestra, aumenta la diuresi e migliora il flusso biliare, disintossicando il fegato e diminuendo il colesterolo. 

Munitevi poi di guanti, perché la primavera porta con sé un’altra erba benefica, l’ortica (Urtica dioica), ottima nel risotto, nelle zuppe, nelle frittate, panace per i calcoli renali, l’ipertrofia della prostata e i reumatismi, per la forfora e i capelli grassi. 

L’erba selvatica che ho tuttora nel cuore è l’acetosa (Rumex acetosa), che da bambino raccoglievo assieme a mia nonna vicino alla cascina del Rusconi, dietro il cimitero di Giubiano. «Incoeu Mariolino, andemm a catà l’erba cucca», diceva la nonna, e ci si incamminava per la Guaralda, con sacchetto allora di carta o il “cavagnett”, forbicine e guanti, perché ci poteva scappare anche qualche bella ortica. L’“erba cucca” - nonna mi diceva che si chiamava così in dialetto perché era la preferita del cuculo, il cucco appunto - si chiama anche “erba brusca” proprio per il suo sapore acidulo che nell’insalata porta una nota di grande freschezza. Nonna però preparava anche una salsina che utilizzava con il pesce che papà ed io pescavamo al largo dell’Isolino, di solito tinche e qualche anguilla, mentre i gobbini erano cucinati fritti in pastella assieme alle alborelle, da decenni scomparse dalle nostre acque. L’“erba cucca” è ricchissima di vitamina C e A, calcio e potassio. 

L’itinerario erboristico prosegue con un’altra prelibatezza a costo zero, la cicoria selvatica (Cichorium intybus) dal fiore azzurrino che si ritrova ai bordi dei sentieri e nei terreni incolti con le foglie disposte a raggiera. «Amaro, tienilo caro», recita un adagio della farmacopea popolare, e la cicoria, con il gusto amarognolo e pungente, rende ogni insalata un’esperienza del gusto. Ma niente paura, se capita un po’ di acidità di stomaco, basta cercare la malva (Malva sylvestris), dai bei fiori rosa carico, che con le sue mucillagini è un rimedio fantastico per la gastrite, ma anche per tosse e bronchite. Non è da meno la melissa (Melissa officinalis), o “erba del buon umore”, dei cui fiori sono ghiotte le api, che possiamo trovare nei prati umidi e migliora la digestione oltre a favorire il sonno e a calmare l’ansia. Non solo ha proprietà erboristiche, ma è ottima nelle insalate e nelle frittate unita al crescione. 

Se invece non avete problemi gastrici o intestinali, cercate l’aglio orsino (Allium ursinum) - sulla strada che conduce al Grand Hotel Campo dei Fiori si presenta ogni anno, sotto i faggi, una fioritura spettacolare - che gli orsi consumano in quantità appena desti dal letargo. È un potente disintossicante con azione antibiotica, abbassa il colesterolo, riduce i metalli pesanti nel sangue, è un forte diuretico, fa scendere la pressione ed è ricco di vitamina A, B, C e PP. Bulbo e fiori vanno benissimo per insaporire le insalate, mentre le foglie tenere vanno tritate e usate per frittate o come condimento per le carni.

Ma la natura in primavera ci sfida alla caccia al tesoro, offrendoci altre gemme, come la piantaggine (Plantago major), detta lingua di cane, che cresce ovunque nei prati e si aggiunge a minestre e insalate, ravioli e torte salate, ed è ricca di ferro, la mentuccia (Mentha longifolia) le cui foglie essiccate sono ottime come tisana digestiva, mentre fiori e foglie fresche vanno nelle insalate e come aromatizzante nelle bevande. 

Infine una chicca, l’asparago selvatico (Asparagus acutifolius) gustossimo ma non facilissimo da trovare perché spesso nascosto tra la vegetazione. Il “turione”, ovvero il germoglio che spunta in primavera, va tagliato alla base e conservato all’ombra, ed è una prelibatezza con l’uovo “in cereghino”, nelle torte salate e con la pasta, ma i più bravi possono anche mettere gli asparagi selvatici sott’olio, una vera leccornia. 

La natura ci offre ogni cosa a portata di mano, l’uomo ha incominciato di nuovo a imbarbarirsi quando si è allontanato dalla terra e dalle cose semplici, con i sapori veri e gratuiti che ci regalano le erbe selvatiche, raccolte durante una passeggiata tra prati e boschi e cucinate con antica sapienza. Tra una pedalata e l’altra sulle piste ciclabili a bordo lago date un’occhiata a bordo sentiero, entrate nei prati e mettetevi a cercare, aiutati da una delle tante applicazioni che permettono il riconoscimento istantaneo di piante, erbe e fiori (consiglio di lettura per approfondire: Antonio Ghirard e Stefano Esposito, “Erbe selvatiche e domestiche. Dei nostri prati dei nostri orti”, De Bastiani Editore). Il risultato sarà stupefacente, le erbe selvatiche sono ancora lì, nonostante inquinamento e cambiamento climatico, a dispensarci salute e buonumore.

Mario Chiodetti

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