Varese dalla vetrina - 18 giugno 2023, 08:35

VARESE DALLA VETRINA/3 - Filippo e Marco, gli ultimi mohicani della "ciccia": «Amore? È guardare il didietro di una fassona...»

Dal 2018 la storica macelleria Zaroli della piazzetta di Casciago è nelle mani di due trentenni dalla passione sconfinata per la propria professione: «Quando entri in un mattatoio capisci: o questo lavoro ti piace o vomiti subiti. La macelleria è fatica, non funziona mica come al supermercato, ma che bello quando un cliente ti chiede un consiglio...». I gusti dei varesini: «Il bollito resiste e il pollo va sempre di più. Le interiora? Oggi si danno al cane...»

VARESE DALLA VETRINA/3 - Filippo e Marco, gli ultimi mohicani della "ciccia": «Amore? È guardare il didietro di una fassona...»

Una nuova rubrica farà compagnia ai nostri lettori in questi mesi estivi. Si chiama “Varese dalla vetrina” e sarà un contenitore di racconti, pensieri e opinioni di chi, con la propria attività, è stato ed è ancora oggi un testimone autentico della storia di questa città. Di chi con essa ha intrecciato vita, progetti e sogni, scommettendo sul lavoro e sui varesini. Di chi, con il trascorrere del tempo, ha visto ogni cosa cambiare e può spiegarci questi cambiamenti. Di chi guarda il passato con la luce dei ricordi a illuminargli gli occhi e una vena di malinconia a inumidirgli il cuore, ma trova - magari con più difficoltà, ma almeno ci prova - uno spiraglio di quella stessa luce anche nel domani. 

“Varese dalla vetrina” sarà una narrazione senza troppi ricami o commenti giornalistici: spazio quasi esclusivo alle parole dei protagonisti, alle loro piccole o grandi parabole esistenziali e commerciali vissute dietro a un vetro. Un vetro che ha sempre ”dato” sul mondo comune a tutti noi. 

Buona lettura.

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Non l’avremmo mai pensato possibile, ma anche guardare con insistenza e molto molto interesse il didietro di qualcuno può essere assurto a simbolo di serietà, maturità, valori che rimangono (mentre i tempi cambiano) e gioventù impegnata. 

Il patto è farlo in una stalla, non per strada: «Sì, l’occhio fa tutto. Il sedere di una bestia ti dice se è buona e quanto vale. E così la bocca, i denti, che ti fanno sapere se ha figliato oppure che età abbia. A contare sono infatti anche gli anni e il sesso».

Con Filippo Zaroli e Marco Burlaschi parli di carne, non ce n’è, se vuoi entrare nel loro mondo di «macellai più giovani di Varese». Di ultimi mohicani del biancostato. Di guardie svizzere del girello. 

E della carne, prima ancora di stringere loro la mano, senti il profumo, che se fosse odore non andrebbe bene, ma non andrebbe bene nemmeno se non esistesse, stile corsia del supermercato, dove tutto è neutro, tutto si confonde, tutto si standardizza. 

In Macelleria Zaroli ne vieni invece ammantato al primo passo. Parti da quello, dal banco ben fornito e ordinato, dalle piastrelle azzurre linde che fanno tanto cervelee di una volta, dalla cella rosa che oggi è solo un legame con un passato che non muore. In piazzetta a Casciago si vende la “ciccia” buona dagli anni cinquanta: dal 2018, però, con il coltello in mano ci sono due trentenni ancora più freschi della carne che propongono.

Per il Filippo il mestiere è una questione di dna familiare, dal 1920. E di gavetta, fatta dai Consonni a Venegono Inferiore. Per Marco il cursus honorum è passato dal negozio dei Colombo, a Gorla, poi dal mattatoio e dai viaggi in Piemonte «a scegliere le bestie… Si dice “macellaio finito”, perché ho fatto tutto, dal mettere l’animale sul camion fino al vendere la fettina in negozio. Al mattatoio vedi e impari di tutto, e soprattutto capisci: o questo lavoro ti piace o vomiti la prima volta che sei lì. E non sono solo gli odori, ma anche gli sforzi: alzi pesi, hai a che fare con capi da 1600 chili, sventri… La gente pensa che il macellaio sia quello del supermercato, quello che va dietro al bancone, apre il sottovuoto, prende il pezzo e ti fa il pacchettino. Non è così».

Marco e Filippo sono le anime gemelle della costata: si sono trovati nell’abnegazione («la sveglia? Alle 6.30, qui si apre alle 7.30 e si chiude 12 ore dopo»), nell’ortodossia da duri e puri che però non possono non guardare al mercato («Io sono più macellaio tradizionale: per me esisterebbero solo la bestia e i suoi tagli. Devo ringraziare Marco per le polpette e gli involtini: oggi come oggi devi vendere anche quelli, ti servono per arrivare a fine mese insieme a un po’ di prodotti buoni, come vino e olio... Basta che siano di qualità e non costino troppo»), nella passione che non ti fa accorgere della fatica («come quando d’inverno, nel retrobottega, le dita sembrano che ti si stacchino dal freddo che fa...»).

Dalla vetrina questi due ragazzi stanno vedendo il loro lavoro cambiare perché a cambiare sono prima di tutto i gusti dei clienti, le cui abitudini sono sempre più omologate dalla grande distribuzione e dagli stimoli etero-diretti: «Il cliente tipo conosce quattro tagli: il filetto, il cappello del prete, lo scamone e il magatello. Ma vogliamo dircelo? Il filetto non è mica il pezzo più buono: basta con sta carne magra, un po’ di grasso ci vuole…». «Il supermercato ti vende solo quello che vedi lungo le corsie, il macellaio invece prova ad accontentarti: a volte si presentano clienti che non abbiamo mai visto per farci richieste che al bancone del supermercato ti mandano al diavolo... Un esempio? Uno ci ha chiesto l’osso del piccione. Un altro un filetto tondo».

L’uomo, quindi, può ancora vincere contro i ChatGPT della bistecca.

Poi ci sono i programmi di cucina a fare il lavaggio del cervello: «Vogliono il ganassino perché lo hanno visto su Masterchef... In generale qui va ancora molto la carne trita, il brasato, il bollito d’inverno e poi il pollo, ogni anno sempre di più. Le interiora? Si salvano fegato e lingua, ma per il resto… E allora o ce le mangiamo noi, o le maciniamo per il cane, o siamo costretti a buttarle via. Così il grasso: un tempo ti pagavano per ritirarlo, oggi sei tu che devi pagare per smaltirlo…».

La sciura (non necessariamente anziana) che entra e si fida vale invece più di un complimento: «Sì, chi ci chiede qualche consiglio ci fa felici, perché non ci sentiamo nati per vendere solo hamburger o robe che metti in padella un quarto d’ora e sono pronte. Per esempio: quasi nessuno conosce l’aletta di vitello da fare arrosto: la tagli in fette spesse e la cucini come l’ossobuco. Una bontà. Il macellaio deve essere anche un po’ cuoco…».

Chissà dove si vedono fra 10 anni questi due giovani e valenti depositari della tradizione e del saper fare artigianale: «Speriamo ancora qui, magari con qualche soldo in più e qualche grana in meno. Oppure all’estero, dove ci sono mille regole in meno che in Italia: in America macelli in piazza come una volta e nessuno ti dice nulla, qui ti controllano quante volte sterilizzi il coltello e se usi la stessa lama per toccare pelle e carne ti mette in prigione e buttano via la chiave…».

La verità, però, viene confessata solo in fondo. E riporta a quelle missioni che danno sapore all'esistenza, come una spruzzata di sale sulla costata: «In realtà fra 10 anni la cosa che ci piacerebbe di più è essere riusciti a insegnare il lavoro a qualche ragazzino».

A partire dalla doverosa ammirazione per il didietro di una fassona.

Fabio Gandini e Andrea Confalonieri

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