- 28 febbraio 2022, 09:00

Buon compleanno, Pro Patria: 103 anni e l'ultimo è così amaro. È vero, serve coraggio e il primo deve venire dall'alto

Anniversario nell'incertezza societaria e in una squadra che lotta per salvarsi: il "pareggismo", i cambi poco comprensibili, la mancata possibilità o volontà di chiudere le partite, i secondi tempi che diventano scivolosi, la fiducia. Troppo facile prendersela con i ragazzi che stanno dando tutto, nessuna cura è possibile senza "medico"

Buon compleanno, Pro Patria: 103 anni e l'ultimo è così amaro. È vero, serve coraggio e il primo deve venire dall'alto

Centotré anni: sembra ieri quando eravamo al Teatro Sociale "Delia Cajelli" per i festeggiamenti del centenario. La festa della società, quella dell'associazione "100 anni di Pro". I tigrotti non riempivano già più gli stadi, eppure quella sala traboccava di tifosi di ogni tempo nonostante le delusioni accumulate.

Molti non ritenevano nemmeno possibile arrivare al secolo di vita e si erano mobilitati anche per renderlo possibile. Poi, giungiamo al 2022: potremmo aver infilato il virus in un angolo o almeno non esserci finiti noi, in quell'angolo, ma qualcos'altro si è insinuato nella storia della Pro Patria e probabilmente non solo nella sua, considerando la disaffezione agli stadi. 

Contraddizioni sul campo

Fatto sta che dobbiamo prepotentemente tornare sul campo per vedere ciò che sembra palese in quest'anno, che è uno dei più lunghi e contorti, cogliendo alcuni elementi che seguono e sono intrecciati tra di loro.

Il pareggismo, radicato nell'anno nuovo e interrotto da qualche sconfitta: tenue e con alibi contro la Juve U23, solenne e spaventosa contro la Pro Sesto.

Il secondo tempo che cambia inesorabilmente la faccia e il risultato del primo. 

I cambi talvolta poco comprensibili, come sostituire l'attaccante che ha segnato e sembra ancora in grado di impensierire la difesa avversaria. 

La mancanza di possibilità o volontà di chiuderla. Vedi sopra. Esiste un solo modo per non farsi recuperare in pareggi fragili o, peggio, perdere cadendo poi nel rammarico, nella rabbia, in tutti i sentimenti evocati negli ultimi mesi. Ed è accelerare, spingere, raddoppiare l'esile vantaggio che si è conquistato: come è accaduto, ad esempio, nella vittoria di Verona, partita tanto brutta quanto efficace come dev'essere la gara di una squadra che deve salvarsi.

Si avverte comunque la fiducia, all'interno della squadra? L'abbiamo chiesto una volta al mister, senza ottenere risposta, e in compenso ricevendo una mini ondata di ipocrisia magari dagli stessi che contestano a gran voce (e a "gran social") le scelte di Prina allo stadio.

Speravamo che fosse la gara di Bolzano la risposta sul campo, data con orgoglio dai ragazzi di Prina - un professionista che non ha bisogno di essere difeso perché parla la sua storia - e forse lo è stata.

Il coraggio viene dall'alto

Resta il fatto che lo scenario è cambiato ancora, che si percepisce un'assenza di linea, di direzione, di efficacia.

Allora prendiamo una parola usata da mister Sala ieri, che rende di più l'idea, l'ingrediente di cui si sente disperatamente il bisogno: il coraggio. Abbiamo assistito anche ieri a un correre incessante, compensato da una timidezza improvvisa davanti alla porta. Il coraggio di una staffilata, dell'osare per osare o - più difficile ancora, in certe occasioni - forgiare l'assist al compagno per non rischiare di diventare solitari e soprattutto vani eroi: tutto ciò si fa fatica a intravedere, ma questo non vuole essere un attacco ai ragazzi. Troppo facile, prendersela con loro, e anche senza senso. I ragazzi sono l'unica certezza, insieme a colui che ha creato questa squadra, il direttore sportivo Sandro Turotti, e lo staff che stanno assicurando la tenuta psicologica del team in questo tempo senza società netta.

Serve più coraggio. La scarsa capacità realizzativa della Pro Patria, è cronaca, è matematica e un indice rivelatore, il sintomo che reclama intervento immediato, una cura al più presto.

Dove andarlo a prendere, questo coraggio?  

Ma il punto è proprio questo: la cura, chi la assegna? La Pro Patria sta male, colpisce, poi vacilla, riflette (anche troppo), non ha però davanti a sé per ora nessuno che si prenda carico della sua salute.  

Abbiamo bisogno di cure, solo  che c'è un poliambulatorio e quando pensiamo di aver beccato la porta del medico giusto, troviamo un cartello, "torno subito".

Noi stessi, siamo spaesati. Ad Alessandria, c'era Patrizia Testa, presidente onoraria, che comunque spesso si può vedere ai botteghini. Domenica allo Speroni, c'era Domenico Citarella, presidente. 

Tuttavia, sono 103 gli anni oggi e molti di più le telefonate e i messaggi inviati alle due parti nella questione societaria - consorzio Sgai e avvocato Slongo per conto di Testa - per cercare di appurare la situazione in queste settimane senza che se ne venisse a capo con una soluzione. 

Serve che qualcuno ora ci metta la faccia e annunci: ci sono, le scelte, le faccio io. Non vediamo l'ora di ammirarne qualcuna, di scelte, perché il coraggio deve venire dall'alto. E questo coraggio, sarebbe sì un bel regalo per la Pro, per questi ragazzi che stanno dando tutto, che non si risparmiano e che mettono anche la faccia ogni domenica (ogni tre giorni, in questo periodo) sul campo. 

Marilena Lualdi

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