Ci sono persone che, pur non scendendo in campo, indossano la maglia di una squadra e di una città più di chi la rappresenta davanti al pubblico, agli avversari o alla storia. Persone delicate, poco appariscenti, defilate ma fondamentali perché utilizzano sempre la parola o l'"intervento" giusto per fare la differenza. Persone che restano appiccicate a chi ha avuto la fortuna di conoscerle anche a distanza di anni. Persone come Carlo Montoli, doc biancorosso e cuore rossonero per eccellenza, specialista in ortopedia e medicina dello sport che ha avuto la bravura di conoscere piccoli e grandi campioni non solo del calcio o dello sport varesino.
Con Carlo, che oggi nel suo laboratorio ortopedico di via Ravasi a Varese continua ad esercitare con competenza e dedizione assolute una professione che è anche una passione e una missione, abbiamo fatto una chiacchierata sul suo grande amore: lo sport. In punta di piedi, o di penna, come piace a lui.
Passione e pratica sportiva, ovvero Carlo Montoli.
Lo sport mi è sempre piaciuto: seguo calcio, pallacanestro e hockey e, anche se vado raramente al palazzetto o allo stadio, mi aggiorno sempre sulle squadre della mia Varese. Pratico corsa, sci di fondo, bicicletta. Diciamo che mi piacciono gli sport “di fatica”.
Nella sua carriera da chirurgo ortopedico e traumatologo specializzato in medicina dello sport ha operato e curato tanti sportivi: a chi è rimasto particolarmente legato?
A molti, anzi direi quasi a tutti perché spesso con loro è nato un rapporto affettivo e un forte legame: è un po' la stessa cosa che accade con il proprio medico di base, con cui ci si confida o da cui si cerca un sostegno e un consiglio. Se devo fare un nome tra tutti vorrei citare Neto Pereira, con cui da subito ho stabilito un bel rapporto di stima e amicizia.
Ripercorriamo un po' di storia: come è arrivato al Varese Calcio?
Sono sempre stato un tifoso biancorosso. Venivo allo stadio da ragazzino con mio padre, e conservo ancora tanti bellissimi ricordi. Nel 1991 per allargare lo staff medico serviva la presenza di un ortopedico... e così sono rimasto con il Varese sino al 2016.
Ricordi?
I più belli sono legati al Varese FC nei campionati di C1 e C2 con allenatori come Belluzzo e Beretta, e con dirigenti come Capozucca e Mario Zeni, solo per citare qualcuno. Eravamo una grande famiglia, si erano stabiliti rapporti di amicizia stretti. Con il Varese 1910 e con il salto di categoria, naturalmente, i rapporti sono sempre stati ottimi ma molto più professionali.
Ci racconta qualche aneddoto legato al suo primo Varese?
Ho tanti ricordi ma un filo conduttore particolare è legato a Cittadella. Iniziamo nel 1995: dopo poche giornate siamo in piena crisi ed è fondamentale non perdere. Capozucca mi fa una promessa: se avessimo conquistato almeno un punto, mi avrebbe regalato la sua cravatta, una bellissima cravatta con elefantini che aveva indossato durante tutta la partita. Finì 2-2 e la cravatta è ancora nel mio armadio!
Il ricordo più curioso è lo scontro fortuito tra le due "teste dure" Gheller e Pellissier durante il ritorno della fatidica semifinale playoff del 2000 a Cittadella in cui avremmo dovuto pareggiare per andare a giocarci la finale per la promozione in B: quando il tecnico Mario Beretta dovette sostituire Pellissier, la storia della partita cambiò a favore dei veneti...
L’ultimo ricordo della città veneta corrisponde all’ultima volta che mi sono seduto sulla panchina del Varese nel 2014. Quell’anno ero andato a bordo campo poche volte, ma tutte con ottimi risultati. Il vice allenatore del Cittadella era il mio amico e recordman di presenze in biancorosso Edoardo Gorini. In formazione avevamo Pavoletti, che era in splendida forma. Prima dell’inizio, mi sono avvicinato a Goro dicendo: "Edo, sappi che quest’anno le ho vinte tutte!". Lui rise e mi disse: “Doc, una volta dichiarata, la scaramanzia non vale più!”. Risultato: perdemmo malamente 5-1 e dovetti subire i sorrisini finali di Edo.
Da tifoso e da medico ha curato anche alcuni "superman" milanisti...
Nella mia carriera ho incontrato molti professionisti, e devo dire che ho sempre trovato massima serietà: tutti hanno sempre rispettato i piani di guarigione, tutti si sono sempre impegnati al massimo per rientrare e per tornare a giocare. Soprattutto i giovani che ho avuto il piacere di incontrare hanno sempre avuto un incredibile senso del dovere.
La partita che le è rimasta più nel cuore?
Un pareggio quasi al 90' a Busto Arsizio contro la Pro Patria nel 1997 con gol di Sala nell’anno della promozione in C1 con Giorgio Roselli allenatore.
Qual è la giusta categoria del Varese?
A mio parere la serie C. Certo che adesso sul territorio mancano gli imprenditori locali che una volta mettevano mano al portafoglio. Ma erano altri tempi... il calcio, purtroppo, è cambiato.
Ricordi con suo padre allo stadio?
Tanti, belli ed emozionanti. Era un grande tifoso di tutto ciò che riguardava Varese e quindi anche del Varese Calcio. Mi ha trasmesso sin da ragazzo questa passione con relativa sofferenza: quando il Varese retrocesse all’ultima giornata a Empoli nel 1991, lui non riuscì a dormire.
Ermanno Montoli era un'istituzione come medico al pronto soccorso. Che insegnamenti le ha dato?
Mi ha trasmesso il senso del dovere. Per papà la professione del medico era una vocazione: era sempre pronto ad aiutare tutti e non si risparmiava negli orari. Il suo ufficio era “al fronte”, nel corridoio del Pronto Soccorso: questo era di esempio per i suoi collaboratori, ma gli consentiva anche di intervenire prontamente in caso di necessità. È stato un maestro per tanti medici.