Basket - 18 aprile 2021, 22:10

Il senso gravitazionale che non c’è. Varese illogica, eppure vera. E per questo (quasi) salva

IL COMMENTO DI FABIO GANDINI Vera nelle sconfitte, come quella di mercoledì, vera nelle vittorie, come quella di questa sera, trovata nonostante difetti e problemi. Perché il regno dei cieli cestistici non è dei perfetti, è di chi vive e si redime, anche all’ultimo. La Openjobmetis ci entrerà, senza dover ringraziare nessuno

Foto Alessandro Galbiati

Bisogna sudare di neuroni per trovare un filo logico alla Varese di quest’anno. 

Chi lo avrebbe mai detto - dopo i quattro successi consecutivi e lo scalpo di Milano - che saremmo stati costretti a vivere un finale così drammatico e incerto, così foriero di preoccupazione, così precario nel materializzarsi del destino?

E chi avrebbe mai creduto possibile vincere al Palaverde subendo la bellezza di 94 punti, difendendo in maniera problematica e a conti fatti inadeguata per almeno 30 minuti su 40, scialacquando una quantità esorbitante di palloni (16)?

Il senso gravitazionale che non c’è, cantava Samuele Bersani.

Lasciamola allora per un attimo da parte questa voglia di razionalità, di controllare sempre lo scorrere delle cose, di dare un senso a prova di bomba al tutto. Se si salverà, Varese lo farà perché è diventata vera. A volte bruttina, altre incosciente, altrettante sbagliata, sicuramente perfettibile. Ma vera. Con un’anima. Lontanissima parente da quell’automa disgraziato vissuto per un girone abbondante.

Vera nelle vittorie, come quella di questa sera: totalmente imperfetta dietro - a subire i giochi a due della De Longhi, senza freno nel contenere le sortite di Russell (che con due passi e uno scarico ha fatto sempre saltare il banco) e incapace di filtrare sotto canestro - ma perentoria in attacco, sprovvista di tremore (andate a vedervi la tensione dell’ultimo quarto tra Cantù e Reggio… A Treviso Scola e compagni sembravano sereni come delle Gioconde…), sontuosa. Perché alla fine ogni maledetta domenica è come se fosse un’altrettanto maledetta partita doppia: per vincere devi mettere da una parte quello che togli dall’altra.

Vera nelle sconfitte, come quella di mercoledì contro Venezia, in una prova complessivamente addirittura migliore di quella odierna, in un match tatticamente complicatissimo. Quattro giorni fa i biancorossi ci hanno provato fino in fondo, fino all’ultimo tiro sbagliato, rintuzzando ogni parziale oro-granata, calandosi senza timore in terreni a loro poco congeniali.

Vera, perché in grado di farsi trovare pronta sempre, quindi, indipendentemente dal sapore della contesa e dell’avversaria. E di leggere e capire la diversità di ogni impegno, di ogni momento: non vinci a Treviso una gara come quella appena andata in onda se non hai l’abilità di adattarti, di comprendere ciò che le trappole di giornata stanno ponendo sul tuo cammino per farti inciampare.

Vera Varese, veri i suoi giocatori. Ognuno con una storia dietro, di peccatori eppure spalancata sul regno dei cieli cestistici, aperti non alla perfezione (che banalità…), quanto alla vita vera, vissuta, redenta anche all’ultimo respiro. 

Il Ruzzier deleterio diventato indispensabile, il Douglas che sparacchiava da tre trasformatosi in leader silenzioso, il Beane (che sforzo che facciamo nel scriverlo: vedi le pagelle) che a furia di spegnere la luce del buon senso arriva a illuminare la strada come un faro, il Ferrero vecchio e stanco e martoriato tornato ruggente come un leone adolescente, l’Egbunu che le prende e le dà e il cui arrivo rimane l’unico segnale di razionalità da applicare all’intera storia: senza di lui sarebbe stata A2. E Luis il saggio, uno che ha aspettato Treviso sulla riva del fiume, come si fa con i nemici: all’andata la sua irruenza ci costò due punti già in saccoccia, stasera ha ammazzato la squadra di Menetti con la furia del Pelide Achille. Eroe, dentro il suo esercito.

La volpe meno amata a Masnago e dintorni, intanto, ha appena battuto e inguaiato i cugini della Brianza. E anche su questo, a meno di voler negare anche l’evidenza (abitudine ormai pienamente sdoganata in nome della propria partigianeria in questi umanamente disastrosi tempi moderni), c’erano pochi dubbi per chi lo conosce bene. Ma - tranquilli cari haters - nessuno da Varese sarà mai costretto a ringraziare l’Artiglio: la salvezza a un passo è (o meglio sarà) solo di Massimo Bulleri e dei suoi alfieri. 

Fabio Gandini


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