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Un Occhio sul Mondo | 06 dicembre 2025, 09:00

“La nota di linguaggio”

Il punto di vista di Marcello Bellacicco

“La nota di linguaggio”

L'Ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone non è proprio la cosiddetta “ultima ruota del carro”, anzi lo si può definire come la più alta Autorità militare del mondo occidentale, anche perché, essendo il Presidente del Comitato Militare della NATO, è il Referente più alto in grado in uniforme della più potente Alleanza politico-Militare del pianeta.

Pertanto, quando parla una figura del genere, almeno teoricamente, ogni singolo concetto che esprime lo si può definire come una sorta di Vangelo per tutti i soldati della NATO, ma anche come un riferimento di natura militare per tutti i Governanti dei Paesi membri, i loro diplomatici ed i loro Capi della Difesa, che ne sono gli elettori.

Tuttavia, nonostante abbia questa grande valenza, come in ogni ordine democratico, in quanto militare è comunque sottoposto alla volontà politica che, nell'ambito dell'Alleanza, al massimo livello, è rappresentata dal Consiglio Atlantico, l'organo politico supremo che si può riunire a vari livelli, di cui il più alto è quello dei Capi di Governo, che ha potere sulle decisioni più importanti, compreso l'indirizzo strategico dell'Alleanza, nell'ambito del quale vengono definite le linee militari da adottare.

Ergo, è assolutamente lecito pensare che le ultime dichiarazioni di Cavo Dragone rilasciate al Financial Times, che tanto scalpore hanno suscitato in ambito nazionale e che hanno sollecitato la dura reazione russa, non siano frutto estemporaneo del suo pensiero, ma si debbano inquadrare in una volontà politica che le giustifica e supporta.

L'Ammiraglio italiano ha parlato usando parole attente e misurate, come è suo costume e come si deve per l'incarico che riveste, che sembrano avere una natura prettamente tecnica, in quanto si riferiscono ad un preciso ambito come la guerra ibrida, che solo apparentemente riguarda il settore militare. Infatti, tra i target che tale nuova tipologia di minaccia predilige, ci sono proprio assetti e funzioni civili, come l'economia, le comunicazioni, le strutture finanziarie ed i servizi, perché vitali nella potenzialità di una Nazione o di una Alleanza.

Tuttavia, la riflessione principale riguarda l'inversione di approccio che Cavo Dragone ha prospettato, affermando che, in un'ottica di quella difesa che deve sempre contraddistinguere la NATO, che è fondamentalmente un'Alleanza difensiva, si debba prendere in considerazione la possibilità di poter condurre attacchi preventivi. In poche e sostanziali parole, l'alto Ufficiale ha inteso dire che, in caso di una veritiera conoscenza di precisi intendimenti di essere attaccati, gli Alleati possano precedere questa azione, intervenendo per primi.

Questa interpretazione della difesa, in termini strettamente militari, non è assolutamente una novità, perché rientra nella dottrina operativa di qualsiasi Forza Armata, ma se la si traspone in ambito politico assume tutto un altro significato e, soprattutto, ha una valenza talmente grande da essere in grado di modificare sostanzialmente l'evoluzione di una situazione strategica. Tanto è vero che l'intervista di Cavo Dragone ha innescato l'immediata e durissima reazione di Mosca la quale, a parte le affermazioni di rito sulla irresponsabilità dell'Ammiraglio ad aver detto cose del genere in un momento cruciale delle trattative di pace, ha poi affondato durissimamente il colpo dichiarando, per bocca dello stesso Putin, “Se l'Europa vuole la guerra noi siamo pronti subito”.

A tali parole, manco a dirlo la propaganda occidentale ha immediatamente gridato scandalizzata “Putin minaccia l'Europa”, ma se si vuole, come si dovrebbe, rimanere con i piedi ben ancorati a terra, le valutazioni da fare sono ben altre.

L'inopportunità del momento delle “dichiarazioni dragoniane” è stata evidenziata anche dalla stessa premier Meloni, la quale ha dichiarato “Io penso che siamo in una fase in cui bisogna misurare bene le parole e bisogna evitare tutto ciò che può generare confusione, può spaventare e far surriscaldare gli animi”. Concetti espressi in maniera molto soft e senza riferimenti diretti, ma che se pronunciati da un Capo di governo verso un'altissima figura militare, assumono il peso specifico del piombo che, probabilmente, non è stato usato per impallinare l'Ammiraglio sia per motivazioni interne nazionali, visto che la sua nomina alla carica NATO è stata proposta proprio da questo esecutivo sia per motivazioni di politica internazionale.

Un suo “siluramento” avrebbe dato ulteriore fiato alle trombe propagandistiche russe, in un momento in cui Putin sta godendo di una posizione di forza, perché le operazioni sul campo procedono lentamente, ma vittoriosamente, ha ormai persuaso Trump che l'unica via per la pace in Ucraina è quella più o meno delineata nei 28 punti della prima bozza dell'accordo di pace e guarda all'Europa come l'ultimo ostacolo per il conseguimento di buona parte dei suoi obiettivi, perlomeno quelli territoriali.

Peraltro, in merito a questa particolare vicenda si possono individuare almeno tre aspetti abbastanza strani che, sostanzialmente, non collidono con le normali aspettative per una situazione del genere.

Per quanto riguarda la reazione di Mosca, repentina e quasi rabbiosa, è infatti singolare che si sia rivolta esclusivamente al Vecchio Continente, nonostante le dichiarazioni siano state di un Comandante della NATO, come se i Russi abbiano ritenuto che Cavo Dragone abbia parlato solo a nome dei Membri europei e non di tutta l'Alleanza.

La seconda stranezza é identificabile nel fatto che, da parte americana, non si sia registrata alcuna reazione o, quanto meno alcun commento, nonostante sia plausibile pensare che dichiarazioni di tale portata, nell'ambito della Coalizione in cui sono egemoni, possano costituire un grosso problema per le trattative di pace, in corso tra Putin e Trump.

In ultimo, la terminologia utilizzata da Cavo Dragone in merito all'approccio “proattivo” che dovrebbe assumere la NATO, è ricorsa nell'ambito della prima edizione del “Defence Summit”, tenutosi a Roma il 4 dicembre scorso, un incontro ad altissimo livello nazionale del settore Difesa, cui hanno partecipato i massimi vertici politici, militari e dell'industria. E in tale ambito, relativamente alla minaccia ibrida, la Sottosegretaria di Stato alla Difesa Isabella Rauti ha testualmente dichiarato “Dobbiamo essere capaci di rispondere in modo proattivo con una risposta integrata”. Potrebbe trattarsi di una coincidenza, tuttavia è giusto considerare che, a tali livelli, nei discorsi ufficiali, soprattutto nel settore della Difesa, che rimane ancora un ambito con regole monastiche (e Cavo Dragone è uno dei massimi Priori), l'improvvisazione non è una prassi molto seguita, soprattutto dai politici che, nella loro tuttologia, parlano di qualsiasi cosa, ma spesso conoscono poco l'argomento trattato. Pertanto, sia per questo motivo sia per tutelare l'uniformità della policy governativa, vengono definite le cosiddette “norme di linguaggio”, vincoli concettuali delle esternazioni pubbliche di ogni natura. E a questo punto vale la pena chiedersi se questa “proattività”, che ha scatenato le reazioni russe, faccia proprio parte di una “nota di linguaggio” e, in caso affermativo, da chi sia stata definita e, soprattutto, approvata.

I suoi obiettivi ha già la sua soluzione per la pace in Ucraina, che ha presumibilmente concordato con il Russo e l'Europa, è con il cosiddetto “cerino in mano”, perchè non accetta le condizioni, pur se in maniera molto sottosegretario di Stato alla Difesa, Isabella Rauti, ha declinato così: «Dobbiamo essere capaci di rispondere in modo proattivo con una risposta integrata»  prima edizione del Defence Summit, che si è svolto giovedì 4 dicembre. Curato da Il Sole 24 Ore e dall’Istituto Affari Internazionali in collaborazione con il Centro alti studi per la difesa  ma segna un chiaro cambiamento nella percezione della minaccia e nella definizione stessa di deterrenza.

Le parole pronunciate dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del Comitato Militare della NATO, sulla necessità di una postura più “proattiva” nei confronti della Russia hanno subito catturato l’attenzione di osservatori e media internazionali. A prima vista, le dichiarazioni sembrano misurate, quasi tecniche, ma scavando sotto la superficie emergono segnali politici e strategici di grande rilevanza. Cavo Dragone non ha parlato in qualità di comandante operativo, ruolo che spetta a Christopher Cavoli, l’attuale Supreme Allied Commander Europe, statunitense, responsabile delle forze NATO e delle operazioni sul campo. Non è stato neppure il comandante della trasformazione, il generale europeo che coordina dottrina e innovazione. Le parole di Cavo Dragone arrivano invece da chi rappresenta tutti i capi di Stato Maggiore dell’Alleanza e consiglia il Consiglio Atlantico: un ruolo che trasforma valutazioni tecniche in messaggi politici destinati agli alleati, ai governi e indirettamente anche a Mosca. In questo senso, la sua uscita non indica alcuna mobilitazione immediata, ma segna un chiaro cambiamento nella percezione della minaccia e nella definizione stessa di deterrenza.

Il contesto europeo rende la questione ancora più complessa. Il riarmo in corso è frammentato e disorganico. Ogni Stato acquista armi e sistemi autonomamente, spesso incompatibili tra loro, seguendo logiche nazionali e industriali piuttosto che una strategia comune. Questo crea arsenali costosi, inefficaci e difficilmente interoperabili, e rafforza paradossalmente la dipendenza dall’ombrello statunitense della NATO. È una corsa caotica che produce rumore, ma non sicurezza. In questo scenario, le dichiarazioni di un vertice militare assumono peso politico e simbolico: servono a indirizzare il dibattito tra i governi, a rafforzare le aspettative dei Paesi più esposti alla minaccia russa e a testare le reazioni internazionali, senza però tradursi in ordini operativi.

A tutto questo si aggiunge la dimensione della cosiddetta guerra ibrida. Con cyberattacchi, sabotaggi, pressione mediatica e operazioni non attribuibili, il confine tra attacco e difesa è sfumato. In un contesto del genere, parlare di “postura proattiva” significa spostare la soglia tra deterrenza e escalation, con il rischio che anche una mossa preventiva possa essere letta come provocazione. Ogni dichiarazione diventa quindi parte della contesa stessa: un gesto di politica militare che pesa quanto le operazioni sul campo. La NATO, così come si sta muovendo, vive in un territorio grigio dove le parole contano quasi più delle armi, e la percezione può facilmente trasformarsi in realtà.

Quello che emerge, in definitiva, è una situazione più fragile e più complessa di quanto non appaia in superficie. Non siamo ancora davanti a un conflitto aperto, ma la combinazione di una percezione di minaccia crescente, un riarmo europeo disorganico e la ridefinizione delle regole della guerra ibrida crea uno scenario di tensione permanente. Le parole di Cavo Dragone non sono un annuncio di guerra, ma sono un segnale chiaro: l’Alleanza sta ridefinendo la deterrenza e spostando gradualmente il confine tra difesa e iniziativa, mentre l’Europa resta divisa e mal coordinata. In questo contesto, la situazione è più preoccupante di quanto già appaia, perché la vera vulnerabilità non è solo militare, ma nasce dalla percezione stessa del rischio e dalla mancanza di strategie coerenti e condivise.

Io mi immagino l'ammiraglio Cavo Dragone che di fronte alla domanda "quante vittime avete messo in conto di fronte ad una eventuale rappresaglia russa al vostro attacco preventivo"?, risponde, senza muovere il baffo ottocentesco, "tra i dieci ed i venti milioni". 

Ora, non si riesce a capire esattamente come mai i nostri giornali titolino "Putin minaccia l'Europa", quando lo stesso Putin ha semplicemente risposto per le rime alle affermazioni improvvide del suddetto personaggio, ribadendo, tra l'altro, che la Russia non ha alcuna intenzione di attaccare l'Europa ma è semplicemente pronta a rispondere qualora venisse attaccata. 

Esiste purtroppo un Partito della guerra in Europa, concentrato tra Regno Unito, Germania, Francia (ed anche Italia, dove i generali in attività sono assai più inclini ad un conflitto per il quale non siamo assolutamente preparati, rispetto a quelli in pensione, assai più coscienti dei rischi). È il Partito di quelli che vogliono attaccare Kaliningrad, la Transnistria o sbarcare in Crimea, attaccare la flotta petrolifera russa nel Mar Nero e così via (dando, tra l'altro, a Mosca un'ottima scusa per avanzare verso Odessa dopo la liberazione del Donetsk). Ho criticato il piano di pace di Trump, perché onestamente non credo possa rappresentare una soluzione definitiva al conflitto (tra 10 o venti anni saremo punto e a capo, ed a Mosca lo sanno bene). E ritengo che la sconfitta strategica della NATO in Ucraina sia necessaria: 1) per porre fine alla sua trentennale avanzata orientale; 2) per un reale risveglio europeo, con la conseguente messa alla porta dei disastrosi attuali vertici politici non nel modo che vogliono USA (sostituendoli con altri ancora più proni ai loro disegni - passaggio che sta già avvenendo - con la tradizionale strategia della giustizia ad orologeria) ma magari tramite sincero moto popolare. In questo senso, credo che l'obiettivo degli USA con il negoziato sia proprio quello di "limitare i danni", salvando uno strumento che gli aiuta a mantenere l'Europa in una condizione di cattività geopolitica, e trasformando ciò che rimane dell'Ucraina in un loro protettorato, sebbene fuori dall'Alleanza.

Perché dico "salvare la NATO"? Spesso si parla del PIL russo a sproposito, dicendo che questo è inferiore a quello del Massachusetts o di vari Stati europei. In realtà, il PIL andrebbe sempre contestualizzato. La Russia, a differenza dell'Italia (per fare l'esempio a noi più vicino), non ha un'economia basata sui servizi; non è de-industrializzata; possiede risorse critiche. Senza fare troppi giri di parole la Russia non ha bisogno di componenti che arrivano da dieci Paesi diversi per costruire un'arma. Questo le fornisce un vantaggio strategico che la quasi totalità dei membri NATO non hanno. E questo è il motivo per cui produce in tre mesi gli armamenti che i membri NATO (insieme) producono in un anno. Ed una riconversione industriale europea richiede un decennio almeno. Motivo per cui affermo che il piano Trump è solo una "pezza" che congelerà il  conflitto, preparandone di nuovi (quando la NATO sara' "pronta"). 

Detto ciò, il negoziato è comunque un punto di partenza. Ed è interessante il fatto che a Mosca, oltre a Witkoff sia andato anche Jared Kushner (il genero di Trump vicino alla setta dei Chabad Lubavitch che ha una certa presa anche nella capitale russa). Questo ci dice in primo luogo che pure Israele, con enormi interessi in Ucraina, sta partecipando al negoziato. E ci dice che in gioco c'è anche altro, dall'America Latina al Vicino Oriente. Infine, mi sembra importante sottolineare la presenza del potente ministro degli esteri cinese Wang Yi, sempre a Mosca, in questi giorni. Forse a voler sottolineare che il piano USA di disarticolare l'asse Mosca-Pechino è comunque destinato al fallimento, a prescindere da eventuali accordi. A dimostrazione di ciò, si pensi all'apertura alla libera circolazione dei cittadini russi in Cina e viceversa.

Cavo Dragone e gli attacchi “preventivi” a Mosca, il generale Mini: “Altro che ‘proattivi’: siamo già in guerra anche senza pretesti”

di Fabio Mini

Il capo del Comitato militare, pur usando nell’intervista termini tenui, intende dire: “Attaccare per primi”

Attenendomi alle dichiarazioni pubbliche del Comandante supremo della Nato, generale Cristopher Cavoli e sulla base della conoscenza della sintassi operativa, ho desunto che la Nato non solo in campo cyber, ma in tutti i sensi e domini, è già in guerra contro la Russia e attaccherà per prima. Sta già mobilitando le forze di tutti i Paesi per quella “difesa” che si dovrebbe realizzare con un attacco preventivo sulla Russia talmente devastante da impedirle perfino di rispondere. “Perché – dice Cavoli – se non ci riusciamo al primo colpo, ci aspetteranno 15 anni di guerra di logoramento”.

In quest’ottica è inutile farsi delle illusioni. Qualcuno per conto nostro ha deciso che siamo in guerra e anche contro chi. Perdono così di valore tutti i distinguo di casa nostra e tutte le dichiarazioni ufficiali dei russi che non si sognano nemmeno di attaccare la Nato. A meno che… una decisione già presa nel 2022 e da allora in piena fase di strutturazione delle forze, anche nucleari, perseguita in barba alla fondamentale correzione di rotta imposta dal presidente Trump all’Aja. Al termine del vertice Nato è stato ufficialmente dichiarato che non si considera la Russia una minaccia a breve termine (da ora a 3 anni), nemmeno a medio termine (da 3 a 10 anni) ma, proprio a volercela tirare, a lungo termine (oltre 10 anni). Tale dichiarazione è stata ignorata dai principali alleati e dalla Nato stessa che invece considerano la Russia come nemico permanente. A prescindere da cosa potrà succedere da qui a 3 o 10 anni e anche da ciò che accadrà all’Ucraina. Il Comitato militare è dominato dalle spinte antirusse e il nuovo chairman ha ricevuto dal predecessore il testimone nella staffetta pro armamenti e pro-guerra. Le osservazioni dell’ammiraglio Cavo Dragone, nuovo chairman del Comitato Militare sulla possibilità d’attacco preventivo alla Russia si devono inquadrare in tale contesto.

Ovviamente l’ammiraglio non s’è messo la feluca e dichiarato guerra. Anzi s’è mosso molto cautamente su un terreno scivoloso sapendo benissimo che in ambito Comitato Militare, come nel Consiglio Atlantico, non c’è affatto quel consenso necessario a passare da una difesa e una deterrenza a una difesa “proattiva”, che nel linguaggio degli ignari suona bene ma che in quello militare e soprattutto popolare significa solo attaccare per primi, in ogni campo. Sa bene che la guerra ibrida è tale anche perché connette tutte le forme disponibili. L’ambito cyber, al quale si riferisce, non è isolato dagli altri e non è detto che la risposta dell’avversario debba essere dello stesso tipo. I pretesti di guerra sembrano essere scollegati dalla guerra ma finiscono sempre per scatenarla. Il comandante del Maddox (l’unità militare Usa protagonista dell’episodio del Golfo del Tonchino, ndr) che entra nel panico per qualcosa che non è successo non sembra avere l’intenzione di scatenare l’escalation della guerra in Vietnam, ma qualcun altro ci ha pensato da solo. Non aspettava altro. L’esplicitazione dell’Ammiraglio ancorché moderata diventa tuttavia funzionale alla guerra già in corso e alla postura militare che la Nato ha già assunto. “Dovremmo agire in modo più aggressivo del nostro avversario”. Anche se sul piatto ci sono “questioni di quadro giuridico, di giurisdizione: chi lo farà?”. Già, quale organizzazione o nazione s’incaricherà d’attaccare per prima? E in ragione di quale minaccia concreta? E se il nemico ce l’avessimo in casa? La Nato sta facendo un gran baccano per presunti attacchi russi cyber, droni e sabotaggi. Tutte cose uscite dal manuale delle giovani marmotte anglo-ucraine. Cavo Dragone cita il successo dell’operazione Baltic Sentry nel Mar Baltico, dall’inizio della quale “non è successo nulla. Quindi significa che tale deterrenza sta funzionando”. Oppure che non erano russi i responsabili come non lo erano stati negli anni precedenti? Rispetto alla Russia, dice l’ammiraglio, la Nato “ha molti più vincoli a causa di etica, leggi e giurisdizioni”. Sarebbe vero se li rispettassimo. Che dire delle operazioni nei Balcani e altrove, illegali, illegittime, non provocate condotte dal 1990 in poi? “Dobbiamo analizzare come si ottiene la deterrenza: attraverso azioni di ritorsione o attraverso un attacco preventivo?”, si chiede l’Ammiraglio. Ce lo chiediamo tutti, ma è proprio vero che non ci siano alternative al contrattacco e all’attacco? Rendiamo seria la difesa Nato a partire dalla politica e dall’individuazione del nemico. Quello vero.

SCALATION UCRAINA - Bertolini: dalla Nato parole gravi, non si crea la pace minacciando la guerra

Cavo Dragone al FT annuncia che la NATO sarà più aggressiva: una pericolosa reazione alla sconfitta dell’Ucraina, che per Putin si sta avvicinando al crollo.
La NATO valuta di essere più aggressiva nella guerra ibrida contro la Russia. Le parole dell’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, presidente del comitato militare dell’Alleanza atlantica in un’intervista concessa al Financial Times, fanno presagire una postura diversa in merito al conflitto in Ucraina, facendo pensare a una possibile escalation proprio nel momento in cui tengono banco le trattative Witkoff-Putin di oggi.

L’Alleanza atlantica, che in realtà è solo difensiva, intende essere proattiva: si pensa a un “attacco preventivo” da considerare una sorta di “azione difensiva” di fronte a episodi di attacchi informatici e sconfinamento di droni. In realtà l’intervista al FT va vista nel contesto di una serie di dichiarazioni che concorrono a drammatizzare la situazione in un momento di grossa difficoltà per l’Ucraina, in cui anche UE e NATO temono le conseguenze di una sconfitta di Kiev.

Il problema, osserva Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, è che l’escalation delle parole è molto pericolosa e può portare a un innalzamento dello scontro. Mentre si attende il confronto Russia-USA, Putin, però, ha dichiarato che l’Ucraina sta cedendo e che bisogna continuare a combattere per accelerarne la caduta.

Generale, la NATO sta pensando davvero di attaccare in qualche modo la Russia?

È in atto una drammatizzazione dei toni, da parte della NATO e non solo, perché si trova, insieme all’Unione Europea, a fronteggiare una sconfitta militare che non è esclusivamente dell’Ucraina, ma anche, appunto della NATO e della UE che l’hanno appoggiata per quattro anni. Di fronte a questo insuccesso la loro credibilità crolla, anche per il fatto che gli Stati Uniti stessi si stanno allontanando dall’Alleanza atlantica.

Che cosa sostiene questa interpretazione dei fatti?

Bisogna considerare anche altre affermazioni collegate alle ultime dichiarazioni. Il capo di stato maggiore francese ha detto che bisogna essere pronti a sacrificare i propri figli, il cancelliere tedesco Merz ha reso delle dichiarazioni incendiarie, sostenendo che Putin deve capire che non può vincere. Ed è anche uscita una indiscrezione su piano elaborato dai tedeschi negli ultimi anni per una eventuale guerra con la Russia. C’è tutto un contesto di drammatizzazione generale e crescente. Spero non per ottenere una guerra aperta con la Russia, perché sarebbe una sventura, anche se partecipassero gli americani.

A cosa può servire allora minacciare un atteggiamento più aggressivo?

Forse serve a spingere Putin ad abbassare le sue pretese al tavolo negoziale, però non mi sembra che il capo del Cremlino abbia intenzione di cambiare quelle che sono richieste estremamente coerenti dall’inizio della guerra: l’acquisizione di Crimea e Donbass, l’Ucraina neutrale e fuori dalla NATO, con un esercito ridotto. Esattamente il contrario di quello che vuole l’UE: secondo von der Leyen, infatti, l’Ucraina dovrebbe trasformarsi in un istrice d’acciaio in funzione antirussa.

Perché questo innalzamento della tensione, almeno a livello verbale, arriva proprio ora?

È un momento di crisi nera per l’Ucraina dal punto di vista operativo e poi c’è questo colpo di Stato strisciante, a puntate, rappresentato dall’eliminazione dei vertici ucraini nella “Mani pulite” di Kiev, che sta toccando anche Zelensky e gli ha tolto Yermak. È il momento nel quale si gioca il tutto per tutto.

Si parla, comunque, di un attacco preventivo ibrido, facendo riferimento alla necessità di far fronte, ad esempio, al presunto sconfinamento dei droni. Non si annuncia, insomma, un attacco in grande stile: viste così le affermazioni al FT sono meno preoccupanti?

Le parole sono pericolose. Si parla di una “azione proattiva” mentre la NATO è un’alleanza difensiva. E se si cancella la natura difensiva dell’Alleanza a quel punto tutto è possibile. Tra l’altro si forza la mano enfatizzando degli incidenti sui quali ci sono molti dubbi, come l’interferenza sul GPS dell’aereo della von der Leyen, i droni in Bulgaria, quelli in Polonia atterrati sul tetto di una conigliera, più altri casi di droni segnalati in giro per l’Europa, che non si sa da dove sono partiti. Certamente non dalla Russia. C’è la ricerca di un pretesto per cambiare la fisionomia della NATO.

Possono essere considerate schermaglie verbali oppure ciò che viene prospettato al FT è una possibilità concreta?

Quelle dei militari non sono mai solo parole, anche perché si sa che possono innescare delle reazioni. Usare certi toni è pericoloso: portano automaticamente alla guerra. Se definisco il mio interlocutore un criminale non potrò mai sedermi a un tavolo a negoziare con lui. E questo è stato fatto dall’inizio della guerra. Merz dice che la Russia non può vincere, ma Mosca dal suo punto di vista non può perdere, anche perché se stiamo a quello che dice Kaja Kallas verrebbe smembrata. Bisogna fare attenzione ad affermazioni così dure: le parole tagliano i ponti dietro le spalle.

L’intervista al FT e il clima che può creare non sono certo un’iniziativa di Cavo Dragone. Chi sono i “mandanti”?

Non credo gli americani, anche se adesso sono un’entità difficile da individuare: ci sono quelli che facevano capo a Biden che sono sempre lì, non sono scomparsi, hanno sempre le mani in pasta nell’amministrazione e sono in grado di esercitare la loro influenza. Può darsi che ci siano dietro gli USA, ma non Trump. È un’azione di drammatizzazione concordata, sincronizzata, come dimostrano anche le dichiarazioni rese in precedenza da altri soggetti.

Può essere vista come un’azione di disturbo delle trattative Russia-USA di questa settimana?

Il secondo piano di pace di cui si parla, quello dei 19 punti, non va bene a Putin, per il quale anche il documento dei 28 punti poteva andare bene come punto di partenza per la discussione, ma non come risultato finale. Di fronte a una posizione del genere, coerente comunque con quello che Mosca ha sempre detto, forse si cerca di spaventare Putin e  spingerlo a più miti consigli. Però mi sembra abbastanza difficile. Quello che passerà invece è che si innalzerà il rischio di uno scontro e questo è pericoloso.

Mentre tratta con gli americani, intanto, Putin pensa però che l’Ucraina stia crollando. Più che nel negoziato crede in questo?

Una conferma del periodo di crisi per l’Ucraina e per chi l’ha sostenuta in questi anni, in primis UE e NATO, è rappresentato dall’affermazione di Putin per il quale è il momento di “continuare a combattere” per favorirne una caduta che ritiene imminente. È probabilmente questa consapevolezza, condivisa in Occidente e non da oggi, ad avere innescato il crescendo dei toni al quale stiamo assistendo, nella speranza di rallentare la progressione russa col timore di un’escalation che sarebbe contro l’interesse di Mosca. Sul piano interno, contemporaneamente, si nota uno sforzo notevole da parte dei media europei a mettere in sordina la gravità della crisi innescata dalla corruzione che ha investito l’inner circle di Zelensky, argomento di solito “ghiotto” per le nostre opinioni pubbliche, per lo stesso motivo.

Ieri, per dire, l’ammiraglio Cavo Dragone, presidente del Comitato militare Nato, ha fatto un lieto annuncio al Financial Times: mentre Trump (teoricamente primo azionista Nato) si sbatte per chiudere la guerra in Ucraina prima che diventi mondiale e l’Ue continua sabotarlo con piani di guerra e annunci sugli asset russi (oggetto dei negoziati), il nostro eroe vuole una Nato “più aggressiva e proattiva” e non esclude un “attacco ibrido preventivo” contro la Russia, che ovviamente sarebbe un’“azione difensiva”. Anche se resta ancora da capire “chi lo farà”. Eh già.

Le implicazioni strategiche di queste frasi sciagurate le analizza Mini a pag. 3, mentre per l’aggettivo alla vaselina “proattivo” non basterebbe neppure Totò. Ma poiché – a quanto risulterebbe – l’articolo 11 della Costituzione che “ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” non è stato abolito, abbiamo atteso per tutto il giorno (invano) un severo monito di Mattarella: “Non in nostro nome, perché noi non possiamo sferrare attacchi preventivi contro chicchessia”. E magari una richiesta di spiegazioni sulla seguente frase del proattivo ammiraglio: “Dall’inizio di Baltic Sentry (operazione di sicurezza Nato lanciata nel Baltico il 14 gennaio, cioè 11 mesi fa, ndr), non è successo nulla. Quindi significa che questa deterrenza sta funzionando”. Ma, se “non è successo nulla”, come si spiegano mesi e mesi di allarmi Nato e Ue su attacchi ibridi russi nel Nord Europa a botte di droni e palloni aerostatici, peraltro curiosamente mai abbattuti? Erano tutte balle ibride? O i droni e i palloni ce li lanciamo da soli con la vecchia tecnica del false flag, già sperimentata con successo sui gasdotti Nord Stream? E, se dal 14 gennaio “non è successo niente”, che gli salta in mente di scagliare un’ibridissima bomba sui negoziati evocando attacchi preventivi alla Russia? A una cert’ora, nelle migliori caserme, il trombettiere suona una splendida musica: il silenzio.

Marcello Bellacicco

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