Non è un caso che Carlo Meazza abbia scelto per la copertina del libro della vita una fotografia capace di riassumere l’intero suo percorso di uomo e di artista, ma anche di restituire una certa bizzarria del carattere, una sorta di bastiancontrarismo talentuoso ben rappresentato dall’andare à rebours, come fa del resto il ragazzo in groppa all’asino in una pianura libanese.
Al contrario, appunto, come ha scelto di essere Carlo in tutti questi anni, denunciando le ingiustizie e le ipocrisie, i soprusi, facendoci vedere con occhi freschi e partecipi gli orrori delle guerre, le devastazioni, la povertà assoluta e la fede più profonda, ma anche documentando la bellezza di un’alba in montagna, la fatica dei pastori e dei pescatori, il divertimento in musica e la Varese del buon tempo, quella dei negozi amicali e della favolosa leggenda del basket. L’altro lato della medaglia insomma, spesso assai difficile da lucidare e spesso poco piacevole.
“Carlo Meazza 80 - Sguardi sul mondo” - la presentazione del volume avverrà venerdì 5 dicembre alle ore 21 alla Sala Montanari di Largo Bersaglieri d’Italia - è un atto d’amore verso sé stesso e gli altri, un tributo alle 80 primavere del “fotografo di Varese”, un tempo con la Leica M al collo e la Nikon dei reporter della Magnum, oggi con i corrispondenti modelli digitali, ma sempre felice di affrontare la vita e di documentarla, magari in immediati dintorni che grazie agli scatti diventano universali.
Il libro, impaginato da Laura Tenti, prodotto dallo stesso Meazza con l’aiuto di sponsor privati per i tipi di Artestampa di Galliate Lombardo, è diviso in quattro sezioni: terre lontane, incontri, paesaggi e in cammino, e racconta del giovane Carlo in viaggio verso il Tibet con un pullmino Volkswagen, poi inviato con il giornalista del “Sabato” Robi Ronza in India per incontrare Madre Teresa, in Libano, Israele e Palestina, in Iran, Cambogia, Uganda e Sud Sudan.
Ecco poi le immagini in bianco e nero di Dizzie Gillespie a “Umbria Jazz”, del terribile terremoto del Friuli, quelle crude dei malati psichiatrici e la delicata poesia con cui sono descritte le persone affette dalla sindrome di Down, ma anche le note più accentate dei luoghi che hanno accolto i nostri letterati, da Fenoglio a Calvino, da Chiara a Sereni, alla Milano di Gadda e Testori.
Il mondo di ieri, invece, ci è restituito attraverso i volti e i gesti dei pescatori del lago di Varese, oggi rimasti soltanto in tre, ma allora assai più numerosi, uomini che hanno trascorso la vita tra reti e pleniluni, gelate e nebbie da tagliare con il coltello, prima che l’inquinamento ne mutasse il destino. Meazza fa poi passeggiare l’osservatore in una Varese scomparsa, quella dei “bei negozi” del centro, con le loro boiserie e la convivialità del bar Garibaldi e del Ghezzi, per fortuna ancora lì dal 1919, la passione di Mario e Anita Vercellini sulla porta del negozio di via Croce. Era il mondo dei nostri genitori, che ci tenevano per mano davanti alle vetrine illuminate del Corso, del libro che si faceva arrivare o dell’etto di prosciutto San Daniele da portare a casa per la cena.
Vita di tutti i giorni, storie di persone e non di personaggi, della cioccolata calda bevuta al caffè dei Lonati alla “Madona dul Mont” (come i vecchi chiamavano il Sacro Monte) dopo una bella camminata mattutina, o dell’elisir del Borducan servito con il carillon dal baffuto signor Bregonzio a coronamento di una solenne bigiata. E ancora il cameo della Pallacanestro Varese, l’epopea Ignis raccontata da Toto Bulgheroni «di proprietà dei tifosi e della città», e dagli scatti leggendari di Meneghin Morse Rusconi Ossola Zanatta e poi di Meo Sacchetti e del “Poz”’, di Charlie Yelverton al sax e del monumentale Joe Isaac.
Lo stare dalla parte della gente è la cifra di Meazza, e non a caso ha scelto di corredare il libro con i testi preziosi degli amici e persino dei suoi figli, Rachele e Pietro, in un racconto corale che vede le penne di Marta Morazzoni e Giuseppe Cederna, autori dei testi iniziali, di Robi Ronza, Claudio Piovanelli, Giovanna Brebbia, Enzo Laforgia, Betty Colombo, Giuseppe Armocida, Roberto Piumini, Antonio Bulgheroni e Renzo Basora, oltre naturalmente a brani tratti dai diari di viaggio di Carlo.
Con l’avanzar degli anni, il sempre baffuto Carlo - ornamento che condivise, assieme alla Leica M e al segno zodiacale, con Tiziano Terzani incontrato a Hong Kong - si radica ancor di più alla sua terra e alle vicinanze, e così non poteva mancare un omaggio rinnovato al suo lare di roccia, il Rosa, amato da suo padre Giuseppe e già fotografato nel 1992 e la “citazione” del suo “Remènch. Transumanza in Lombardia”, libro del 2020 tra i suoi più appassionati e poetici, epifania rinnovata di un mestiere arcaico approcciato dal fotografo con un sacrale rispetto.
Carlo Meazza incominciò a pubblicare libri nel 1979 proprio con gli amori di sempre, il Sacro Monte e il Lago di Varese, scatti con le pellicole sgranate del tempo che facevano tanto fotoreporter impegnato, ma nel fondo di quelle sfumature di grigi e neri c’è la totale identificazione del fotografo con il territorio e la sua gente, affetti mai traditi e tuttora alimentati, perché non è sempre detto che chi va controcorrente poi non si fermi a lasciar sedimentare il vissuto, fissandolo per sempre sulla carta di un libro. Così ha fatto l’autore, mettendosi a nudo, specchiato dalla lente di una reflex, facendo ricadere su di noi i bagliori della sua scrittura di luce.