I più letti della settimana - 09 novembre 2025, 08:11

Laureato in Biotecnologie a calzolaio: la storia e la lezione di Marco Del Tredici è l'articolo più letto della settimana

Raccontiamo la storia del giovane artigiano di Sesto Calende, che nel 2009 ha aperto la sua bottega sulle rive del Ticino: «Comprate prodotti di qualità, non possiamo più vivere in un mondo dove nulla è riparabile». La svolta? «Vivevo il lunedì come un peso, la svolta da amante dell'arrampicata dove le scarpe da scalata necessitano di una risuolatura frequente e lì ho trovato la mia strada. Ho fatto la gavetta a Varallo e Angera e poi mi sono messo in proprio. Trovo gratificante essere utile, molto più di quanto non lo fosse il lavoro in laboratorio, dove mancava un riscontro diretto e immediato di ciò che facevo»

Nuovo appuntamento domenicale con la rubrica che vi riproporrà ogni sette giorni l'articolo più letto della settimana appena conclusa. Nell'ultima settimana la notizia più "cliccata" dai lettori di VareseNoi è l'intervista, a cura di Giovanna Bochicchio, a Marco Del Tredici, giovane calzolaio di Sesto Calende che ci ha raccontato la sua storia di vita e il futuro di un mestiere in evoluzione. Riproponiamo di seguito il testo integrale dell'articolo.

«Comprate prodotti di qualità e durevoli. Non possiamo più vivere in un sistema in cui nulla è riparabile: il pianeta è già fortemente inquinato e non possiamo permetterci di sprecare risorse»

Ha le idee chiare Marco Del Tredici, giovane calzolaio di Sesto Calende che ci ha raccontato la sua storia di vita e il futuro di un mestiere "di una volta" che però anche oggi può avere un futuro importante. 

Marco ci racconta la sua storia e di com’è nato il negozio?

Sono laureato in Biotecnologie del Farmaco, ma la prospettiva di lavorare a Milano non mi entusiasmava. Vivevo il lunedì come un peso. Da sempre appassionato di arrampicata, mi sono reso conto che le scarpe da scalata necessitano di una risuolatura frequente. Così, mentre terminavo gli studi, ho deciso di cercare qualcuno che mi insegnasse a ripararle. Ho iniziato a fare pratica con un calzolaio di Varallo Pombia, che mi ha trasmesso le basi del mestiere; non aveva però molto tempo da dedicarmi e per questo mi sono rivolto a un altro artigiano ad Angera. Da quel momento il lunedì ha cambiato volto: non lo vivevo più come un peso, ma come un giorno di entusiasmo. È stato allora che ho capito di aver trovato la mia strada. Ho lasciato l’università e, dopo circa un anno di gavetta, nel 2009 ho aperto la mia bottega a Sesto Calende. In passato ho collaborato con una ragazza che lavorava con me: oggi ha aperto un proprio negozio di pelletteria a Taino. Siamo rimasti in ottimi rapporti e continuiamo a collaborare, anche se lei ormai si è specializzata in un altro settore.

Gli strumenti che utilizza nel suo lavoro sono cambiati nel corso degli anni?

Quando ho iniziato, ho recuperato i vecchi macchinari da un calzolaio che stava chiudendo l’attività. Rispetto ai modelli più moderni, forse hanno prestazioni inferiori, ma sono estremamente robusti e durevoli. In questo mestiere ci si rende conto che oggi molte cose non sono più fatte per durare, mentre le macchine di una volta erano costruite per resistere nel tempo. Quelle che utilizzo – macchine da cucire e da finissaggio – saranno anche datate, ma mi hanno permesso di aprire e avviare la mia attività. L’unico limite è che, se un giorno dovessi assumere del personale, probabilmente dovrei sostituirle con modelli più recenti. Per ora, però, vanno benissimo così.

Com’è cambiato il rapporto con i clienti? Ha notato differenze nella modalità di cura delle scarpe da parte delle persone?

Più che il rapporto con i clienti, ho visto cambiare la qualità delle scarpe. È peggiorata notevolmente: oggi, anche marchi importanti, non offrono più la qualità di una volta. Purtroppo, le persone tendono ad avere fretta e a desiderare molte paia di scarpe, spesso a basso costo. Non è un problema legato alla Cina – anzi, lì si producono scarpe di qualità eccellente – ma al mercato stesso. Loro producono prodotti di qualità, ma qui arrivano prodotti che costano poco perché è il nostro mercato a richiederlo. Siamo noi a voler spendere poco, anche perché gli stipendi non sono alti. Quindi è il mercato ad adeguarsi alle nostre esigenze e, di conseguenza, ritengo che siamo noi ad avere il potere di cambiare il mercato.  Alla fine, é così, siamo noi consumatori ad avere il potere decisionale: dovremmo imparare a chiedere e a voler comprare scarpe di qualità e in modo più consapevole. Per quanto riguarda invece il rapporto con i clienti è cambiato perché sono cambiato io. Col tempo sono cresciuto e ho imparato molto proprio da loro: mi hanno insegnato a relazionarmi meglio, ad ascoltare, a spiegare ogni aspetto del mio lavoro senza dare nulla per scontato. Essere chiari e trasparenti, soprattutto sui tempi di consegna, evita incomprensioni e mantiene un rapporto di fiducia.

Secondo lei, i giovani sono ancora interessati a fare questo mestiere?

Sinceramente credo di sì. Ne ho avuto prova diretta: la ragazza che ha lavorato con me, ad esempio, ha iniziato quando aveva 25 anni e oggi, a 30, ha modellato questo mestiere sulla sua persona. Un altro ragazzo a cui ho insegnato il lavoro ora fa il calzolaio a Milano. Sono giovani che hanno scelto di mettersi in proprio, aprendo la loro attività e la loro partita IVA. Purtroppo, per me non è semplice assumere un dipendente: non ci sono grandi agevolazioni e il valore economico delle scarpe non è così alto da permettere grandi margini. Insegnare a qualcuno, formarlo e aggiornarlo richiede tempo e risorse; quindi, finora le collaborazioni sono sempre state indipendenti. Forse in futuro potrei tornare a insegnare, chissà. In ogni caso, credo che i giovani si stiano lentamente riavvicinando ai lavori artigianali.

Ricorda qualche episodio del suo lavoro che le è rimasto impresso?

Oggi ho sicuramente meno tempo e molto più lavoro, ma agli inizi mi capitava spesso di chiacchierare con tantissime persone e da ognuna di loro ho imparato qualcosa. Ricordo in particolare molti anziani, persone che oggi purtroppo non ci sono più, ma che mi hanno trasmesso moltissimo. Mi piace avere a che fare con il pubblico, perché sento di poter dare un contributo concreto, di fare qualcosa di utile per gli altri. È un aspetto che mi fa sentire parte di una comunità. Trovo gratificante essere utile, molto più di quanto non lo fosse il lavoro in laboratorio, dove mancava un riscontro diretto e immediato di ciò che facevo. Con il tempo ho scoperto che ogni persona ha un lato positivo, qualcosa di interessante da raccontare. Bisogna solo avere la pazienza e la sensibilità di trovare il momento giusto per ascoltare.

Quale sarà secondo lei il futuro di questo mestiere? Come pensa sia possibile valorizzare i mestieri tradizionali oggi?

Credo che, inevitabilmente, la riscoperta dei mestieri artigianali diventerà una necessità. Non possiamo più vivere in un sistema in cui nulla è riparabile: il pianeta è già fortemente inquinato e non possiamo permetterci di sprecare risorse. Fortunatamente, le persone stanno iniziando ad accorgersene. Quando ho aperto la mia attività ci è voluto tempo prima di riuscire a guadagnarmi uno stipendio vero e proprio. Oggi, invece, chi apre un laboratorio simile si trova da subito con molto lavoro. Questo significa che la domanda esiste, che le persone apprezzano sempre di più chi ripara e dà nuova vita agli oggetti. Ricordo, ad esempio, un festival di arrampicata dedicato alla causa palestinese a cui ho partecipato: avevo portato un piccolo banchetto per fare riparazioni e raccogliere fondi e sono rimasto sorpreso da quante persone avevano bisogno di sistemare le proprie cose. È il segno che sta cambiando la mentalità. Anche le grandi aziende lo hanno capito: basti pensare a Patagonia, che ha aperto intere sezioni dedicate alla riparazione dei propri prodotti. Ma anche altre aziende italiane lo hanno fatto, come Scarpa, di cui  sono risuolatore ufficiale delle loro scarpe. Oggi i costi sono alti  e le persone cercano alternative sostenibili.

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Cercate di informarvi e di comprare prodotti durevoli e di qualità e, dove ne vale la pena, riparate.