La Varese Nascosta - 20 settembre 2025, 08:05

LA VARESE NASCOSTA. Settembre 1953, giù il sipario: il Teatro Sociale viene raso al suolo

Un esempio di metamorfosi urbana in piazza Giovane Italia: dopo 162 anni giunse la fine del tempio della lirica varesina

Torna l'appuntamento con la rubrica dedicata alla storia, agli aneddoti, alle leggende e al patrimonio storico e culturale di Varese e del Varesotto in collaborazione con l'associazione La Varese Nascosta. Ogni sabato pubblichiamo un contributo per conoscere meglio il territorio che ci circonda. 

Settembre 1953: dopo 162 anni il Teatro Sociale in piazza Giovine Italia viene raso al suolo

Il 18 settembre 1953 segna una data dolorosa e quasi dimenticata nella storia di Varese: in quel giorno, senza grandi proteste né clamori, venne raso al suolo il Teatro Sociale. L’edificio, costruito nel 1791 da Fedele Torelli su progetto dell’ingegnere Ottavio Torelli, era stato per oltre un secolo e mezzo il cuore pulsante della vita culturale cittadina. La sua demolizione, avvenuta nell’indifferenza generale, rappresentò un colpo al patrimonio architettonico e identitario della città.

Per tutto l’Ottocento e i primi decenni del Novecento, il Teatro Sociale fu il tempio della lirica varesina. Vi si tennero prime assolute, spettacoli di prosa, concerti, feste popolari e balli. Non era uno spazio esclusivamente elitario: se da un lato i palchi erano stati sottoscritti dai soci, varesini e milanesi villeggianti all’ombra del Sacro Monte, dall’altro la platea e le feste erano aperte a un pubblico più vasto, che trovava nel teatro non solo intrattenimento, ma anche un luogo di socialità e riconoscimento collettivo.

Il prestigio del Sociale era tale che, tra il 1830 e il 1845, sotto la direzione dell’impresario Bartolomeo Merelli – lo stesso che guidava la Scala di Milano – il palcoscenico varesino divenne una sorta di “succursale” del celebre teatro milanese. In quegli anni furono “testate” a Varese opere destinate poi alla ribalta della Scala, facendo del Sociale un anello importante della catena teatrale lombarda.

Dopo la sua ultima stagione, nel 1930, il teatro venne lasciato decadere. La costruzione del moderno Teatro Impero negli anni Trenta rese agli occhi dei più inutile qualsiasi progetto di recupero. Così, lentamente, il Sociale si trasformò in un rudere ingombrante, al punto che nel 1953 la sua demolizione venne salutata dal quotidiano La Prealpina come un atto positivo, sottolineando che al suo posto sarebbe sorto “un bel condominio”. Quel palazzo esiste ancora oggi, in Piazza Giovine Italia, dove una targa ricorda il teatro perduto.

Non mancarono tuttavia voci critiche. L’architetto Bruno Ravasi lasciò un disegno amaro, vero grido di dolore, come testimonianza della perdita di un luogo che aveva segnato più di un secolo di vita culturale varesina. La sua definizione di “Teatro Sociale” derivava dal fatto che la costruzione era stata finanziata dai soci che avevano acquistato i palchi: un’opera quindi collettiva, e in qualche modo popolare, più di quanto spesso si immagini.

Alla storia del Sociale si sono dedicati diversi studiosi. Pietro Macchione pubblicò nel 1987 Due secoli di teatro a Varese; Bruno Belli approfondì la stagione ottocentesca nel volume Teatro Sociale di Varese nell’Ottocento (2003), divenendo anche promotore della targa commemorativa oggi visibile in piazza. Più recentemente, Giovanni Zappalà ha inserito il Sociale tra i “teatri mai risorti” nel suo libro I teatri mai nati, i teatri mai risorti, mentre Massimiliano Broglia ha esplorato l’età d’oro del teatro, tra il 1830 e l’Unità d’Italia, in Arpa che muta giaci (2024).

Il Teatro Sociale dava il nome anche alla via che oggi conosciamo come “Via Rossini”, aperta nel 1874 come “via al Teatro”. Paradossalmente, mentre il teatro fu sacrificato sull’altare di un modernismo edilizio privo di memoria, gli edifici del lato opposto, restaurati in anni più recenti, mostrano ancora oggi la loro bellezza.

Il 18 settembre 1953 resta quindi una data emblematica della metamorfosi urbana di Varese: il giorno in cui, insieme a un edificio, venne abbattuto un frammento identitario della città. La demolizione del Sociale non è solo un episodio architettonico, ma anche il simbolo di una transizione: dalla città borghese e colta dell’Ottocento a una Varese proiettata verso la modernità, ma forse meno attenta alla propria memoria.

Fausto Bonoldi da La Varese Nascosta

Fausto Bonoldi da La Varese Nascosta