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Storie | 15 novembre 2024, 12:13

Dopo l’incidente e il coma, quei novecento chilometri fino a Santiago di Compostela sono stati la rivincita di Samuele

Era una notte del giugno 2021 quando Samuele Valeri, ventinovenne di Arcisate, rimase vittima di uno scontro in moto a Induno Olona: dopo due settimane di coma, sei mesi di ospedale, tanta fisioterapia, la perdita dell’uso del braccio sinistro e danni midollari, il mese scorso ha intrapreso un viaggio in solitaria che sa di riscatto: «Tra gli estranei capivo davvero come venivo percepito. Il Cammino è un’altra dimensione: lo scorrere del tempo cambia completamente, si lega più facilmente e si viene subito a contatto con la parte umana delle persone. Dovevo tirarmi fuori e dimostrare e me stesso che posso ancora riuscire a fare qualcosa»

Samuele Valeri in alcuni momenti del suo Cammino di Santiago

Samuele Valeri in alcuni momenti del suo Cammino di Santiago

L’incidente, il coma, il risveglio e la lunga riabilitazione, fino ad arrivare agli oltre novecento chilometri percorsi in solitaria lungo i noti sentieri del Cammino di Santiago.

Tre anni in cui la vita di Samuele Valeri, ventinovenne di Arcisate, è cambiata: da quella notte del giugno 2021, in cui un grave incidente gli ha fatto perdere l’uso del braccio sinistro, fino all’avventura in solitaria compiuta tra il 13 settembre e il 24 ottobre.

Flashback a poco più di tre anni fa: Samuele con la sua moto sta rientrando da Varese, dopo aver festeggiato il compleanno di un amico. All’altezza di Induno Olona, l’impatto con una moto che arrivava in senso opposto, e che impennando ha invaso la corsia in cui viaggiava Samuele.

«Ho fatto circa sei mesi in ospedale e due settimane di coma - racconta Samuele - Le prime cose che i medici hanno detto sono che sarei rimasto paralizzato e che non avrei riconosciuto più nessuno, visto il grande trauma cranico rimediato».

Al risveglio, e dopo varie operazioni, Samuele ne è uscito con la frattura di alcune vertebre, la perdita dell’uso del braccio sinistro, una lesione al braccio destro di cui oggi ho un uso quasi normale») e un danno midollare che gli ha tolto un po’ di forza dalla gamba destra. E così via al dentro-fuori in varie strutture ospedaliere per fisioterapie e riabilitazione.

«Successivamente ho passato un brutto periodo - ricorda - in cui ho dovuto prendere coscienza di tutta la situazione e di un mondo per me completamente nuovo».

Tre anni dopo, la decisione di intraprendere l’avventura del Cammino di Santiago, in solitaria, maturata principalmente per due motivi: «Il primo è che volevo capire quanto il mio problema fosse un problema per gli altri: quando mi confronto con famigliari e amici c’è chiaramente un sentimento di affetto, ma buttandomi in mezzo agli estranei e venendo a contatto con persone da tutto il mondo capisci come vieni davvero percepito e ricevo una sorta di giudizio spassionato. L’altro motivo è che io ho sempre lavorato e studiato, e dopo l’incidente mi ero fermato completamente a livello fisico e di impegni. Mi sono detto che dovevo tirarmi fuori e dimostrare e me stesso che posso ancora riuscire a fare qualcosa».

Perciò zaino in spalla e via lungo il Camino Francés, la più importante e famosa strada, nonché la più frequentata, tra quelle che compongono il Cammino di Santiago. Da Saint-Jean-Pied-de-Port a Finisterre, circa novanta chilometri oltre Santiago di Compostela.

«Il Cammino è un’altra dimensione, lo scorrere del tempo cambia completamente. Il 70% delle persone lo fa da sola, quindi si è tutti sulla stessa barca, si lega più facilmente e si viene subito a contatto con la parte umana delle persone».

E una volta instaurato un rapporto umano con qualcun altro dei viaggiatori, ecco ciò che Samuele cercava, ovvero l’essere visto con occhi estranei: «Cercavo di captare come venissi percepito. Molti sembrava mi vedessero come un supereroe, qualcuno mi chiedeva come era successo e poi rimanevano con un senso di colpa, ma poi rimanevano stupiti e affascinati. Ero stupito anche io nel vedere come loro considerassero la mia difficoltà, in quel caso. Io avevo un reggibraccio legato allo zaino, c’è tutta quella parte di meccanica per un arto che non si muove e tende a fare male, la gamba destra alcune volte mi dava dolore, la prima settimana e mezzo avevo l’anca distrutta… Sono problemi che mi trascino nella vita quotidiana, ma lì vengono sottolineati. Soprattutto quando non hai gli aiuti che hai a casa».

Dopo novecento chilometri in marcia e l’arrivo a Finisterre, Samuele è ripartito in direzione Madrid per il ritorno a casa. Nella capitale spagnola, ad attenderlo e accoglierlo, un gruppo di suoi amici (nell'ultima foto sotto, in aeroporto), giunti direttamente dall’Italia per festeggiare con lui.

«Quando ho detto ai miei amici che sarei partito mi hanno detto "Ma sei pazzo?", "Ma lo vuoi fare tutto?", "Ma sei sicuro?", "Sei allenato?", ma erano comunque contenti. Chiaramente ho valutato il rischio e raccolto le informazioni necessarie, come il peso ideale dello zaino o come curare i piedi. Mio papà, poi, ha sempre voluto il Cammino di Santiago, ma per varie ragioni non ha mai trovato il modo, spero che un giorno ci riuscirà anche lui. Mia mamma e mio fratello sono stati contenti, per l’esperienza e anche un po’ per me».

«È stato il mio primo viaggio ed è stata la mia prima decisione importante dopo l’incidente. Una bella dimostrazione a me stesso che posso comunque fare qualcosa».

Lorenzo D'Angelo

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