È una tradizione che un gruppo crescente di bustocchi ha preso a cuore, raccogliendo i preziosi semi e il non meno prezioso suggerimento dallo storico Luigi Giavini: coltivare il cotone sui propri balconi (LEGGI QUI).
Ogni anno c'è lo sguardo puntato sui vasi a scrutare la fatidica fioritura che riporta al passato di Busto Arsizio: la città che certo il cotone lo lavorava, ma non dimentichiamo che c'erano i contadini-tessitori.
Ora sono sbocciati i primi fiori: in apparenza, come altri, con i colori tenui diversi a seconda della provenienza del cotone (egiziano o americano). Se oggi sono un delizioso spettacolo della natura, in autunno però mutano aspetto e mostrano il cotone vero e proprio.
Giavini ha diffuso le prime immagini e ha ricevuto tra le risposte una dell'industriale tessile bustocco Piero Sandroni: «Il fenomeno del "clima-change" ha spostato non poco la nostra latitudine apparente. Forse potremmo utilmente coltivare nei nostri campi il pregiatissimo cotone egiziano. E non è una battuta: lo dimostrano i tuoi esperimenti».
Il cotone oggi richiede molta acqua, quindi entra in gioco la sostenibilità, è vero. Ma questa riflessione coinvolge e mette di fronte Busto a ciò che è stata e che può essere, pur in maniera diversa. Un po' come a Como è scoppiata la bacomania, sarebbe bello che i balconi (e magari qualche terreno) si colorassero sempre di più di fiori del cotone incentivando a ricordare la storia industriale. Tanti ci stanno provando, sarebbe bello che fossero sempre più numerosi.