Quando è arrivato Balotelli, in sala non si poteva nemmeno camminare: «Era sabato sera, il locale era già pieno. Entra uno e ci chiede un tavolo per tre. Ho difficoltà ad accontentarlo, ma lui insiste: “Nemmeno se ti porto un vip?”. Io, che avevo letto poco prima che Super Mario era appena sbarcato a Malpensa proveniente da Liverpool perché acquistato dal Milan, gli rispondo con una battuta: “Solo se è Balotelli…”. Era veramente lui… La notizia si sparse e vennero da tutta la città per vederlo: si era preso un tavolo al centro del locale perché voleva guardare Milan-Torino in Tv, si creò il caos… Dopo quella volta ci frequentò per un mese quasi tutti i giorni: mangiava pasta panna e salmone e beveva tè alla pesca o succo di mela…».
L’elenco dei "personaggi" è lunghissimo, quasi sorprendente, immortalato da decine di foto alle pareti e addirittura da una sezione speciale del sito internet, contenente tutti gli scatti dei commensali illustri. I due fratelli vanno a memoria ma neppure loro ce la fanno a ricordarli: «I milanisti Dida, Bonera e Pioli, ma anche Pavoletti e Behrami. E poi i cantanti Massimo Ranieri e De Gregori. E ancora Dario Fo, Lorella Cuccarini, Michele Placido, Bianca Guaccero, Giovanni Storti, le gemelle Kessler, Sabina Guzzanti, Romina Mondello, Adriana Romero e Luigi De Filippo, il figlio di Peppino, che si commosse perché vide appesa alle pareti una stampa di un film di suo padre. E ancora, ovviamente, anche i giocatori della Pallacanestro Varese: Ferrero, Avramovic, Polonara, Sim Sander Vene e Nico Mannion, portato da mamma Gaia che aveva chiesto informazioni su di noi. Un ragazzo e una famiglia splendida: speriamo che Varese se lo tenga stretto…».
La canzone di Daniele Silvestri
Ristorante-pizzeria oppure il ritrovo dei vip? Semplicemente Paranza, ovvero un luogo che in 17 anni tanti varesini hanno imparato a definire casa. E allora la voce si sparge, diventa consiglio e raggiunge anche le orecchie di chi nella Città Giardino ci capita e vuole star bene. Di più: vuol sentirsi in famiglia.
Questo sono Pietro e Attilio Epifano, pugliesi di origine (vengono da Martina Franca), ma ormai da più di trent’anni a Varese tanto da sentirsi più varesini di Pin Girometta. Una famiglia che è tale anche nel lavoro, con i dipendenti, con i clienti. Se un segreto c’è, è allora proprio questo.
Non possono quindi che essere loro, davanti a un caffè, prima del servizio serale, a raccontare la storia di uno dei punti di ritrovo più conosciuti e apprezzati del centro, pronto a tagliare il traguardo dei 17 anni: «Io ho iniziato a fare la gavetta durante la scuola alberghiera - dice Pietro - collezionando esperienze in Svizzera (ho imparato questo lavoro al prestigioso Suvretta House, 5 stelle lusso), in Germania e a Cesenatico. Qui a Varese ho lavorato invece alla Premiata Pizzeria della Motta e in un locale che avevo aperto a Sant'Ambrogio, mentre mio fratello faceva esperienza alla Voce del Mare di Azzate. A un certo punto abbiamo deciso di aprire un posto insieme, pagando la licenza e venendo qui. Era il 7 luglio 2007: per qualche anno abbiamo avuto solo una cinquantina di coperti, mamma Antonia in cucina e uno chef nostro amico, Daniele, a darci una mano, poi - nel 2014 - ci siamo allargati rilevando gli spazi a fianco da quello che era un negozio di vestiti. Da allora abbiamo iniziato a volare...».
Per chi si sta chiedendo perché Paranza, beh sappia che in realtà la prima opzione sarebbe stata il “Tavoliere delle Puglie”, un omaggio alle proprie origini. Un giorno, però, Attilio ascolta dal divano il successo di Daniele Silvestri ed è subito amore: «Ho chiamato Pietro e gli ho gridato: “abbiamo il nome!”. D’altronde era perfetto per chi come noi voleva concentrarsi su una cucina mediterranea e sul pesce».
Chi invece si sta domandando cosa voglia dire raggiungere il successo insieme al proprio fratello, legga questo: «Non abbiamo mai litigato, forse nemmeno discusso - affermano i due in coro - perché c’è un enorme fiducia l’uno nell’altro alla base di tutto. Uno apre, l’altro chiude, arriviamo prima e andiamo via dopo tutti i nostri dipendenti».
Far felici gli altri
Con i quali, peraltro, l’impostazione è la stessa: «Non siamo quasi mai rimasti delusi da qualcuno, tanto che c’è chi è con noi da quasi 15 anni. Possiamo dire di provare la soddisfazione di aver cresciuto dei ragazzi, di averli fatti diventare uomini. È anche per loro che chiudiamo due giorni alla settimana, non sono tanti ristoranti a farlo in Lombardia… È giusto avere più tempo fuori dal lavoro».
Anche perché il resto della loro esistenza Pietro e Attilio lo dedicano letteralmente agli altri, alla missione di renderli felici: «Penso siano pochi i clienti che ci hanno lasciato perché non si sono trovati bene. Il miglior complimento ricevuto? È quello di chi sostiene che dai noi si trova in famiglia… Ai nostri ragazzi diciamo sempre che ci sono tre cose che nel nostro locale non devono mancare: la pulizia, l'allegria e l'armonia in sala e la fidelizzazione del cliente. Alle persone piace essere riconosciute e coccolate: c’è chi da 17 anni viene qui perché vuole la stessa sala o sempre quel tavolo o sempre quella pizza e noi lo sappiamo e glieli diamo senza che neppure ce lo chiedano». È forse uno dei modi migliori per combattere una concorrenza spietata e una pretesa generale che non fa più assomigliare le pizzerie di oggi a quelle dei nostri padri: «Prima il cuoco spadellava, metteva nel piatto e via, mentre oggi l’immagine fa tanto. E allora se una volta bastavano un cuoco, un pizzaiolo e un cameriere, ora in cucina c'è bisogno anche di chi si occupa solo dell’impiattamento».
Lo stesso vale per la pizza: «Che è una delle cose più soggettive che ci sia - parla dall’alto della sua esperienza Attilio - Bordi bassi, bordi alti, croccante, meno croccante… Con il tempo abbiamo dunque cercato di proporre prodotti diversi, farine differenti, lo stile napoletano e quello romano, poi le linguacce, le pucce e le pizze arrotolate. Abbiamo anche un piatto registrato alla Camera di commercio, il Paranzerotto, un panzerotto aperto pugliese che contiene una zuppa di pesce al pomodoro. La nostra pizza che amiamo di più? Non si può scegliere: sono come dei figli. Quella che invece chiedono maggiormente i clienti è la Paranza, con il pesce fritto sopra: ce l’abbiamo solo noi».
«Più pulizia e più forze dell’ordine»
Com’è cambiata Varese? Una domanda classica di “Varese dalla vetrina”, forse ancora più opportuna se ha come destinatari quei commercianti come Pietro e Attilio che tengono alto il vessillo del presidio in una delle zone considerate più problematiche della Città Giardino, ovvero via Morosini, zona stazioni. La risposta non ha gli occhi chiusi: «Non si percepisce più la sicurezza di una volta in questa zona, ci dispiace dirlo ma è così. Alcuni clienti ci hanno detto di avere paura a venire di sera in questo quartiere, o a fare il tragitto da qui al parcheggio delle Corti: addirittura una signora che tanto ci tiene a mangiare da noi, dobbiamo andare a prenderla in macchina. Un nostro stesso dipendente qualche sera fa è stato seguito e aggredito per il portafoglio, anche se è poi riuscito a togliersi di impiccio e a far scappare l’aggressore. Cosa deve migliorare? Ad alcune cose ci abbiamo pensato noi, come all’illuminazione e alla videosorveglianza, ma da deterrente fungerebbero anche la cura e la pulizia delle strade, oltre a una presenza maggiore delle forze dell’ordine».
Chi ringraziano Pietro e Attilio per questi 17 anni? «Io ringrazio lui» risponde Pietro, con l’altro che lo segue a ruota. «E ringraziamo i nostri dipendenti, per la fiducia che ripongono in noi, e tutti i varesini, perché senza di loro non saremmo diventati quello che siamo diventati».